Dinopithecus (il cui nome significa "scimmia terribile") è un genere estinto di primati di grandi dimensioni imparentato con i moderni babbuini, vissuto dal Pliocene al Pleistocene, in Sudafrica.[1][2] Il genere venne denominato dal paleontologo scozzese Robert Broom, nel 1937.[3] L'unica specie attualmente riconosciuta è Dinopithecus ingens, in quanto la presunta specie D. quadratirostris è stata riassegnata al genere Soromandrillus.[4] I resti di questa scimmia sono stati ritrovati in diversi siti di grotte in Sudafrica, tutti risalenti alla prima metà del Pleistocene, tra cui Skurweberg, Swartkrans (membro 1) e Sterkfontein (membro 4 o 5, ma probabilmente membro 4).[1][2][5]

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Dinopithecus
Cranio di Dinopithecus ingens
Stato di conservazione
Fossile
Classificazione scientifica
Dominio Eukaryota
Regno Animalia
Phylum Chordata
Classe Mammalia
Ordine Primates
Sottordine Haplorhini
Infraordine Simiiformes
Famiglia Cercopithecidae
Tribù Papionini
Genere Dinopithecus
Broom, 1937
Nomenclatura binomiale
† Dinopithecus ingens
Broom, 1937

Descrizione modifica

Dinopithecus ingens era circa il doppio delle dimensioni dei più grandi babbuini viventi, con i maschi che in media potevano raggiungere i 46 kg (101 libbre) mentre le femmine raggiungevano anche i 29 kg (64 libbre), sulla base delle stime estrapolate dai denti molari.[6] In alcuni casi si stima che i maschi raggiungessero nella loro piena maturità sessuale un peso di 77 kg (170 libbre).[6] La caratteristica più distintiva del genere sono le grandi dimensioni rispetto ad altri papionini. Le uniche altre specie di papionini a raggiungere dimensioni simili furono Theropithecus brumpti e Theropithecus oswaldi.[6] Tuttavia, quest'ultimi sono piuttosto diversi da Dinopithecus nella loro morfologia dentale.[2] Nel complesso, il cranio è simile a quello dei moderni babbuini, tranne per l'assenza delle fosse facciali (depressioni ai lati del muso e della mascella inferiore) e delle creste mascellari (creste ossee che corrono lungo i lati superiori del muso).[2][4] Per questo, Dinopithecus è talvolta trattato come un sottogenere di Papio.[2][7]

Paleoecologia modifica

La maggior parte dei papionini viventi sono onnivori nutrendosi di una vasta gamma di piante facilmente digeribili, in particolare frutti, nonché insetti e altri invertebrati, e piccoli vertebrati.[8] Un'analisi degli isotopi di carbonio da campioni dello smalto dei denti ha rilevato che Dinopithecus consumava la più piccola percentuale di erbe e altri cibi che si trovano nelle savane rispetto a qualsiasi altro primate sudafricano.[9] L'analisi dei modelli di microusura sui denti molari ha dimostrato che erano simili a quelli del babbuino giallo (P. cynocephalus), suggerendo una dieta ampia ed eclettica.[10] Uno studio sugli adattamenti dei denti molari suggerisce che D. ingens si nutrisse principalmente di frutti e relativamente poche foglie.[11]

Dinopithecus è conosciuto solamente per parti del cranio e denti, e non si conosce quasi nulla sul suo scheletro appendicolare, quindi è impossibile conoscere con certezza il suo metodo di locomozione. Tuttavia, essendo un papionino di grandi dimensioni, è ipotizzabile che trascorresse molto tempo a terra, muovendosi in un moto quadrupede.

Note modifica

  1. ^ a b Leonard Freedman, The fossil Cercopithecoidea of South Africa, in Annals of the Transvaal Museum, vol. 23, 1957, pp. 121–257.
  2. ^ a b c d e Frederick S. Szalay e Eric Delson, Evolutionary history of the primates, New York, Academic Press, 1979, ISBN 0126801509, OCLC 5008038.
  3. ^ Broom R. (1937). On some new Pleistocene mammals from limestone caves of the Transvaal. S Afr J Sci, 33, p. 750-768.
  4. ^ a b Christopher C. Gilbert, Cladistic analysis of extant and fossil African papionins using craniodental data, in Journal of Human Evolution, vol. 64, n. 5, maggio 2013, pp. 399–433, DOI:10.1016/j.jhevol.2013.01.013, PMID 23490264.
  5. ^ Eric Delson, Cercopithecid biochronology of the African Plio-Pleistocene: correlation among eastern and southern hominid-bearing localities, in Courier Forschungsinstitut Senckenberg, vol. 69, 1984, pp. 199–218.
  6. ^ a b c Eric Delson, Carl J. Terranova, William J. Jungers, Eric J. Sargis, Nina G. Jablonski e Paul C. Dechow, Body mass in Cercopithecidae (Primates, Mammalia): estimation and scaling in extinct and extant taxa, in Anthropological Papers of the American Museum of Natural History, vol. 83, 2000, pp. 1–159.
  7. ^ Christopher C. Gilbert, Stephen R. Frost, Kelsey D. Pugh, Monya Anderson e Eric Delson, Evolution of the modern baboon ( Papio hamadryas ): A reassessment of the African Plio-Pleistocene record, in Journal of Human Evolution, vol. 122, Settembre 2018, pp. 38–69, DOI:10.1016/j.jhevol.2018.04.012, PMID 29954592.
  8. ^ Fleagle, John G., Primate adaptation and evolution, 3rd, Amsterdam, Elsevier/Academic Press, 2013, ISBN 9780123786326, OCLC 820107187.
  9. ^ Daryl Codron, Julie Luyt, Julia Lee-Thorp, Matt Sponheimer, Darryl de Ruiter e Jacqui Codron, Utilization of savanna-based resources by Plio-Pleistocene baboons, in South African Journal of Science, vol. 101, 2005, pp. 245–248.
  10. ^ Sireen El-Zaatari, Frederick E. Grine, Mark F. Teaford e Heather F. Smith, Molar microwear and dietary reconstructions of fossil cercopithecoidea from the Plio-Pleistocene deposits of South Africa, in Journal of Human Evolution, vol. 49, n. 2, agosto 2005, pp. 180–205, DOI:10.1016/j.jhevol.2005.03.005, PMID 15964607.
  11. ^ Brenda R Benefit, <155::AID-EVAN2>3.0.CO;2-D Victoriapithecus: The key to Old World monkey and catarrhine origins, in Evolutionary Anthropology, vol. 7, n. 5, 1999, pp. 155–174, DOI:10.1002/(SICI)1520-6505(1999)7:5<155::AID-EVAN2>3.0.CO;2-D.

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