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Naturalmente benvenuto anche da parte mia e se avessi bisogno non esitare a contattarmi. --Jacopo (msg) 16:47, 8 mar 2006 (CET)Rispondi

Ciao, le categorie nn si costruiscono in quel modo. Perfavore leggi i link indicati nel messaggio di benvenuto.. ciao RdocB 10:12, 21 lug 2006 (CEST)Rispondi

re: Email

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Ciao, il messagio mi è arrivato. Tieni presente che cliccando su "scrivi all'utente" invii un messaggio di posta elettronica mentre accedendo e modifcando la pagina di discussione dell'utente, nel mio caso clicca su (msg) a destra del mio nome, puoi scrivere più rapidamente sfruttando il software di wikipedia. Se ti servisse una mano per qualsiasi cosa chiedimi pure. Ciao --Jacopo (msg) 14:03, 22 lug 2006 (CEST)Rispondi

Callas

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Attenzione ai wikilink! è abitudine non ripeterli nella stessa voce (vedi Norma, Tosca ecc...) e inoltre in alcuni casi il link non porta all'opera. Bisognerebbe controllare con pazienza. Li avevo sistemati. Potresti per favore rimettili com'erano? Grazie --Al Pereira 15:02, 17 nov 2006 (CET)Rispondi

Scusami tanto, Al Pereira. Rimedio tutto in giornata (ho poco tempo per la connessione e devo fare tutto a pizzichi e bocconi, ma ci arrivo). Ciao. Utente:Anfiosso

Ancora Callas

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Cercherò di pensare, nei prossimi giorni, a come spiegare la questione nel modo migliore all'interno della voce. Capisco il tuo punto di vista, che tra l'altro conosco, ma provo a spiegarti meglio il mio precisando alcuni punti. L'"intento filologico" di fatto non ci fu: ci fu piuttosto il desiderio della riscoperta e l'amore per alcuni compositori e alcuni personaggi. Molto probabilmente tu conosci il personaggio Callas meglio di me e quindi sai che il suo approccio artistico fu sempre molto caldo e "passionale", nonostante la straordinaria tecnica. Insomma se la Callas ha eliminato determinate incrostazioni interpretative l'ha fatto con istinto di artista, non con scrupolo da filologa. Quanto ai tagli, negli anni 50 erano una prassi ma non per questo erano filologici! Il discorso vale a maggior ragione nel caso di opere fuori repertorio, per le quali non esisteva una ahimè consolidata tradizione di tagli come per Lucia o Sonnambula (a meno che non salisse sul podio Bernstein.... magari proprio con la Callas!). Ma in questi casi i tagli risultano ancora più pesanti e - onestamente - maldestri che nelle opere di repertorio. Così come le cadenze. Tra le lezioni che la Callas tenne negli anni 70 (non ricordo esattamente dove) e che furono pubblicate, ne esiste una in cui parla proprio di Bellini e Donizetti, del suo grande amore per questi autori, ma al tempo stesso afferma chiaro e tondo (come docente!... e non più negli anni 50) che questi spartiti sono pieni di difetti e che compito preciso del cantante è correggerli. Purtroppo non ho l'intervista, altrimenti varrebbe la pena di citarla, ma ricordo il passo dato che quando lo lessi mi colpì molto. Riguardo alle modifiche alle linee vocali, purtroppo ci sono anche quelle, e non mi riferisco alle variazioni delle ripetizioni delle cabalette (le rarissime volte che le canta) che come osservavi fanno parte di una prassi esecutiva dell'epoca (malauguratamente cristallizzatasi nelle variazioni rossiniane di Ricci, ma questo è un altro discorso). Mi riferisco ad altre modifiche, sia pure non altrettanto frequenti. Penso ad esempio al suo Pirata. Non si tratta di riscritture creative ma in genere di semplificazioni. Ripeto: questo non toglie che posso riscrivere il passaggio in modo da renderlo meno perentorio. Riguardo al fatto che queste modifiche rientrassero nella prassi del tempo di Bellini e Donizetti, è vero ma non bisogna dimenticare che era una prassi che loro stessi combattevano, limitando sempre più i passaggi ad libitum del cantante e combattendo gli abusi. Comunque quando il cantante "compone" entro i passaggi deputati (ripetizioni di cabalette e alcune cadenze), niente da ridire, ma se lo fa dove vuole lui, allora siamo di nuovo fuori da ogni prospettiva filologica. Mi pare indicativo del suo approccio naïve verso le "riscoperte", il fatto che dove si trovano ancora le vecchie corone ad indicare passaggi ad libitum, la Callas esegua la nota scritta, senza aggiungere gli abbellimenti che pure dovrebbero esserci. Devo anche dirti, già che siamo entrati nel discorso, che ho molte riserve anche sul fatto che il modo di cantare della Callas avesse troppo a che fare con il modo di cantare delle grandi cantanti degli anni 20-40 dell'Ottocento (non parliamo dei soprani rossiniani), tanto è vero che fu magnifica come Tosca e come Gioconda. Un giorno un noto ex critico musicale veneziano mi disse che secondo lui la Callas fu una strana miscela di epoche e stili diversi, e tenderei ad essere d'accordo. In questo senso fu unica. È anche interessante il fatto che le opere che ha "riscoperto" hanno fatto clamore ma non hanno avuto in seguito una gran fortuna, credo proprio perché il loro successo era legato all'elemento aleatorio della sua presenza (anche scenica) e di determinati suoi colpi d'ala, non alla scoperta di una chiave interpretativa che altri potessero raccogliere, com'è accaduto invece poi nel caso delle riscoperte rossiniane, dietro le quali esiste una consapevolezza storica e filologica. Colpa dei direttori? Certo, ma dubito che la Callas avrebbe accettato un direttore che le modificasse la linea interpretativa: forse forse se ci fosse stato Vincenzillo in persona... Scusa la chiacchierata e intanto grazie per i contributi alla voce. Ciao --Al Pereira 02:09, 21 nov 2006 (CET)Rispondi

Ti rispondo qui (Callas)

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Grazie a te per la pazienza e la precisione. Non so se so più di te a riguardo del personaggio Callas piuttosto che della musicista: sicuramente è vero che sul personaggio posso avere idee come ne hanno tutti, mentre non ho competenze di tipo musicale. Ma questo può forse essere utile a indicare quelle formulazioni troppo "tecniche" che finiscono coll'avere un tono indesideratamente limitante. Ti ringrazio di aver pensato ad una formulazione meno perentoria, intanto. Voglio solo ricordare una cosa: la Callas non fu l'unica e sola a riesumare opere. Il Maggio Musicale Fiorentino fu una vera fucina di riscoperte; la Piccola Scala e Palazzo Reale a Napoli, negli anni Cinquanta e Sessanta, anche a prescindere dalla Callas, e comunque prima del suo avvento, ha riesumato titoli numerosissimi titoli sei-settecenteschi, con la Zeani, per esempio (Giulio Cesare di Haendel), la Sciutti (molto assidua) e anche cantanti da grande repertorio, come la Barbieri (a cui ho dedicato una voce, che mancava) e persino la Tebaldi, che all'inizio ha cantato anche di coloratura, etc. Per quanto riguarda il protoromanticismo, non è stato tanto infrequente che cantanti particolarmente interessati a quel tipo di vocalità abbiano riproposto quel repertorio: Lauri Volpi con gli Ugonotti, la Moffo con la Luisa Miller (che è un esempio-limite) etc. La Callas ha fatto la stessa cosa, con una differenza: che dopo di lei i titoli che ha riesumato *sono rientrati* in repertorio, a differenza di quanto avveniva con altri, tant'è vero che ci sono state poi difficoltà a far accettare al pubblico, specie alla Scala ma non solo, interpretazioni delle stesse opere da parte di cantanti diversi. Mi pare oggettivo che la Callas abbia trovato una chiave interpretativa più valida di altri, altrimenti il revival di tante opere vecchie-e-nuove (alcune delle quali francamente inutili, o certamente meno meritevoli rispetto a quelle del repertorio di tradizioni) non sarebbe stato possibile; né l'entrata nel repertorio stabile delle varie Anne Bolene, di Gluck, del Pirata &c.

Attenzione, quindi, a sostenere che

«è interessante il fatto che le opere che ha "riscoperto" hanno fatto clamore ma non hanno avuto in seguito una gran fortuna, credo proprio perché il loro successo era legato all'elemento aleatorio della sua presenza (anche scenica) e di determinati suoi colpi d'ala, non alla scoperta di una chiave interpretativa che altri potessero raccogliere, com'è accaduto invece poi nel caso delle riscoperte rossiniane, dietro le quali esiste una consapevolezza storica e filologica».

Anna Bolena, Ifigenia in Tauride, Macbeth, il Pirata sono opere eseguite con regolarità in ogni contesto. Le opere di Rossini (alla Sigismondo, alla Torvaldo e Dorliska, non esclusi anche -- però -- titoli più importanti; persino Armida e il Turco in Italia, nonostante siano state eseguite [nel sec. scorso] le prime volte dalla C., si sono un po' affossate. Non sarà mica colpa della consapevolezza storico-filologica dei nostri dotti giorni?) sono eseguite, o almeno sono promosse, essenzialmente nei festival rossiniani. Credo che quanto sostieni in questo caso risenta di un punto di vista fin troppo appassionato, che ti porta a vedere nero il bianco e viceversa. Alla Callas conseguono la Gencer, la Sutherland, la Caballé e un esercito di altre. Al Festival di Pesaro che cosa consegue? Che grandi cantanti ha ispirato?

Sono più che d'accordo circa la "strana" mescolanza di stili (già quella misteriosa signorina Santrina, se ben ricordo, le insegnò un impasto di stile italiano e un 'metodo francese' che la C. definiva "attraverso il naso"): ma la sua non era un'impostazione troppo dissimile da una precisa linea di soprani drammatici recenti, basta sentire la Ponselle o la Muzio per sentire una forte "aria di famiglia". Per quanto riguarda la sua parentela, forse troppo ingenuamente rilevata, con le Malibran e le Pasta &c., è chiaramente una schematizzazione. Serviva a dire che la C., per prima, si è trovata *perfettamente a suo agio* in un repertorio che era anche, grosso modo (molto grosso, volendo: la C. non faceva né il Don Giovanni, o la Zauberfloete, tanto per iniziare, ma non certo perché non ne fosse in grado), il loro. Ma non bisogna dimenticare che la Pasta e la Malibran, come, volendo, le Grisi e molte altre cantanti in vista furono interpreti altamente idiosincratiche, fortemente caratterizzate e nient'affatto afferenti ad un "tipo" anche genericamente identificabile. Senza entrare nello specifico delle qualità vocali e interpretative rilevate dai critici all'epoca (sarebbe insulso: bisognerebbe poterle ascoltare, e non si può), c'è almeno da rilevare, e con grande forza, come quelle cantanti facessero, servendosi peraltro di mezzi eccezionali, quindi non "medii" -- non si può dire che "Norma" all'epoca "si cantasse *COSI'*", Norma è un'opera eccezionale scritta per una cantante eccezionale -- grande ricorso a risorse che non limitabili all'àmbito della tecnica di canto. Che poi si stabilissero alcuni canoni interpretativi certi è un fatto. Quanto ai tagli, anche lì è molto opinabile. 'Anna Bolena', per esempio, è un'opera [oggi, per "colpa" della C., in un certo senso, fin troppo rappresentata e incisa] zeppa (ti dico il mio parere) di pagine abbastanza inutili. Scorciata è stata sicuramente trasformata in un'altra cosa, e in una cosa migliore. Almeno, la finalità era questa, ed è una finalità secondo me raggiunta (non ho venerazione per Gavazzeni, tutt'altro, ma nella sua funzione di "tagliator cortese" ha avuto molto spesso tutte le ragioni, e Anna Bolena è stato uno dei casi che, anche non solo secondo me, lo dimostrano). Posso anche capire il taglio dell'aria di Raimondo, che non monda nespole, e della scena della torre (pleonastica, per quanto bella) dalla 'Lucia di Lammermoor'. Sono tagli che tengono conto della tenuta drammatica, che oggi è passata in cavalleria rispetto al problema musicale ma pure è una componente (teoricamente) fondamentale. Già un'Anna Bolena integrale è drammaticamente meno incisiva di una tagliata. Se i tagli sembrano 'goffi' ad un musicista, dal punto di vista drammatico possono essere quanto di più saggio. Bene o male, un'opera è un dramma, racconta una storia, e le lungaggini tolgono molto all'insieme. Ho letto anch'io le lezioni alla Juilliard, la C., ricordo, consigliava di falciare via i torciglioni (ma ricorderò bene?) alla fine della prima cabaletta, li definiva troppo fioriti. In effetti non sono una gran bellezza. Poi, sicuramente, faceva cose che oggi non si farebbero più: nel Turco in Italia ha rinunciato a un da capo, in compenso inserendo una cadenza enorme (anche nell'Armida). Non so se sia da considerare "naif", questo, come rinunciare a mettere un abbellimento dove c'è una corona: so che all'epoca il da capo dava problemi enormi, perché ci si chiedeva (anche Toscanini ha lasciato qualche osservazione in merito) a che scopo ripetere il già detto (con pochissime eccezioni) -- osservazioni che oggi fanno ridere, ma che all'epoca si era portati a fare. La C. doveva tenere conto di un pubblico che tendeva ad avere reazioni allergiche rispetto, in genere, al meccanismo dell'iterazione. Per questo la C. doveva far rientrare certe cose un po' di contrabbando, o di sorpresa. Può essere anche molto istruttivo, volendo, proprio perché oggi non esiste più un'attenzione del genere, che pure ha dato i suoi risultati. d.

Mi pare che una tua osservazione possa essere il punto di partenza per aggiustare il passaggio: quando noti che l'assenza di rigore filologico era una caratteristica comune ai direttori e agli interpreti dell'epoca. Intendo precisare questa cosa affinché non sembri una peculiarità della Callas.
Per il resto ci sono questioni su cui non sono troppo d'accordo. Sul fatto che le opere "riesumate" dalla Callas siano entrate in repertorio forse hai dei riscontri statistici che a me mancano. Lasciamo stare Macbeth, che tra l'altro fu diretto niente meno che da De Sabata. Ma davvero si dà così tanto Anna Bolena? Forse hai ragione, ma spero di no! :) O l'Alceste e l'Ifigenia in Tauride di Gluck? all'estero magari.... Se sai di qualche rappresentazione del Pirata invece dimmelo perché ci vado! Tu stesso riconosci che Armida e persino Il turco in Italia ormai non si fanno spesso. Per carità, le ragioni per cui un'opera rientra o no in repertorio possono essere le più svariate, non è certo solo colpa o merito dell'interprete che l'ha riproposta. Ma determinati successi legati alla presenza di un fuoriclasse secondo me restano più nel mito che altro. Altra cosa è riuscire a dare una rilettura organica ad una partitura musicale, ma per questo servono un'edizione fatta come si deve e un direttore che sappia quello che dirige. Chiacchierando di tagli d'epoca, mi è venuta in mente l'eccezione straordinaria di Bernstein che propose alla Scala la Sonnambula pressoché integrale, proprio con la Callas. Mi piacerebbe conoscere i retroscena di quell'evento: se la Callas fu contenta o meno, se piacque l'esecuzione ecc. Certo quella per me è La sonnambula, mentre quella di Votto no (e non solo a causa dei tagli). So che i fautori dei tagli in genere invocano il fattore teatralità, cosa che in parte capisco. Tuttavia persino per fare i tagli bisogna prima conoscere a fondo la partitura per quello che è, lo stile di un autore e le convenzioni di un'epoca, non si può incontrare qualche battuta che non piace e dire "via": perché i pezzi hanno una forma e quella battuta non particolarmente interessante nel contesto è necessaria. Paradossalmente trovo più accettabile l'eliminazione di un'intera scena (tu accennavi a quelle due di Lucia di Lammermoor) che una cabaletta senza ripresa, in genere tenendo la coda alla fine col risultato di avere - per dire - 1 minuto di strofa, 40 secondi di coda e sicuramente acuto sparato alla fine, perché il risultato è goffo, sia in se stesso che nel contesto del numero musicale. Insomma, la musica ha i suoi percorsi e la sua logica. A volte sono stati gli stessi compositori a tagliare, ma nel farlo hanno seguito una logica compositiva. Tu accennavi a Gavazzeni, che a volte è vero ha fatto dei tagli, ma a me è capitato di sentire opere di quel repertorio eseguite da lui in versione quasi integrale. Il suo Pirata è ben altra cosa rispetto a quello con la Callas. Riguardo al Festival di Pesaro, non ti pare che abbia allevato parecchie voci, alcune grandi (non necessariamente italiane e non necessariamente soprani) che hanno cantato quel repertorio in Italia e all'estero? Magari le cose stessero così per altri autori!.... Oggi quando si esegue un'opera di Rossini, anche senza un grande cast, le probabilità che il risultato sia almeno discreto sono elevate, perché si è creato un gusto, nell'ascoltarlo e nell'eseguirlo, grazie allo studio delle sue partiture e all'approccio filologico. Non importa se le singole opere non vanno in scena spesso: è lo stile di un autore che è stato messo a fuoco. Certo, Sigismondo o Torvaldo e Dorliska hanno i loro problemi, ma direi che hai preso due esempi un po'.... particolari ;-) Diverso è il caso degli autori che furono considerati proprio il cavallo di battaglia della Callas, come Donizetti e soprattutto Bellini. Ti faccio un esempio: Abbado è un direttore rigoroso quando esegue Rossini, ma i suoi Capuleti degli anni 60 sono un esempio di tutto ciò che non si deve fare eseguendo Bellini. Evidentemente gli mancava la consapevolezza di cosa sia quella musica e probabilmente gli mancherebbe ancora adesso. Questo non a proposito della Callas ma per dire che senza partire dalla filologia raramente si va lontano. Tornando alla Callas, resto dell'idea che forzò il repertorio belliniano e donizettiano in chiave tardo-ottocentesca: ciò che riusciva ad adattare alla sua visione estetica lo cantava, magari in modo sublime, il resto (o anche i pertichini altrui!) lo ridimensionava o lo eliminava. L'idiosincrasia per le ripetizioni, di cui l'opera del primo Ottocento è piena, mi pare molto indicativa di questa distanza culturale, dato che si trovano tali e quali qualunque fosse stata la prima interprete dell'opera.
Queste osservazioni comunque restano su queste pagine, nella voce prometto di aggiustare il passo in questione. Ciao --Al Pereira 08:32, 22 nov 2006 (CET)Rispondi

Grazie per questa serie di osservazioni. Cerco di non perdere il filo, puntualizzando alcune cose.

1. OPERE ENTRATE IN REPERTORIO DOPO LE RIESUMAZIONI DELLA CALLAS. E' anche una questione relativa. a. Anna Bolena è stata continuamente ripresa, non solo, immediatamente, con la Gencer, la Sills e la Caballé, ma più di recente dalla Gruberova, più la prova senile della Sutherland. Non solo, ma adesso, grazie alla nuova o seminuova Theodossiu è costantemente nei cartelloni dei più importanti teatri, ormai da qualche annetto. Certo, rimane legata alla presenza autorevole del soprano, o ad un soprano che trova la parte congeniale, e non è diffusa come i capolavori di Rossini, ma questo dipende in grandissima parte dall'opera, che non può essere sostenuta oltremodo, e a cui la Callas ha conferito un prestigio che in sé non avrebbe. Anche comparativamente, opere donizettiane infinitamente più meritevoli, come il Devereux, sono state rappresentate molte meno volte, e riprese molte meno volte: dalle solite Gencer-Sills-Caballé, poi dalla Gruberova, e poi *basta*. Non ha una 'storia contemporanea' come la Bolena. b. Quanto al *Macbeth*, si tratta di un'opera verdiana, tu m'insegni, "anfibia" (come il Boccanegra, in parte come Stiffelio/Aroldo) tra Verdi grosso modo 'prima maniera' e Verdi della maturità. De Sabata l'ha diretto benissimo, ma in una chiave recisamente tardoromantica (il rifacimento per Parigi è del 1867), una prospettiva che in parte i direttori seguenti, Abbado sopra tutti, hanno drasticamente ridimensionato, perché si tratta pur sempre di un' "opera a intenzione" rifatta sulla scorta fedele di un' "opera a numeri": la struttura rimane quella dell'opera a numeri, e il linguaggio altamente stilizzato. Mentre l'interpretazione della Callas è rimasta manualistica. Il caso è un po' diverso. c. Il Pirata è stato ripreso parecchie volte, in anni più vicini a noi Lucia Aliberti ne ha fatto un ruolo-feticcio. Non si tratta, nemmeno qui, di un fenomeno su amplissima scala, ma rimane il fatto che è molto più presente di un'opera forse più equilibrata e felice (relativamente, perché soprattutto drammaticamente sono tutte e due, mi pare, piuttosto evanescenti) come la Straniera, per esempio, che la Callas tra l'altro doveva riprendere e non riprese. La Straniera non ha praticamente storia. d. I titoli gluckiani non sono frequentatissimi perché i grandi teatri, italiani soprattutto, non sono molto propensi a dare, nemmeno oggi, titoli settecenteschi. Ma sicuramente non si tratta di opere dimenticate. E come l'Alceste ebbe un'altra interprete di eccezione, assolutamente (anche lei) non-filologica ma capace delle cose più stupende, come Kirsten Flagstad. Credo che l'incisione Decca sia assolutamente integrale.

2. BERNSTEIN. E' certo che la C. avesse grandissimo concetto di Bernstein. Non so se solo per radio o a Spoleto la C. l'aveva sentito dirigere, e le era piaciuto il suo modo di concepire il classicismo viennese. E' proprio a quel tipo di suono e di dinamiche che pensava per portare Medea alla Scala (per l'inaugurazione, una cosa che all'epoca era pressoché inconcepibile), evidentemente perché voleva evitare letture troppo melodrammatiche. Fu lei (testimonia Meneghini) a chiedere a De Sabata di farlo venire alla Scala, gli parlò per telefono, etc. Fecero Medea nel '53, per l'apertura, e si sa come andò. Bernstein agiva molto liberamente; sembra che avesse proposto alla C. di tagliare (ma questa è una notizia che trovo su un'altra biografaccia, quella della Stassinopoulou) "Dei tuoi figli la madre". La C. non ha mai espresso pentimento, che io abbia letto, circa questa scelta. Purtroppo anche in questo caso le biografie seguono l'indirizzo della stampa scandalistica (molto spesso non c'è altro), e il flirt (l'ennesimo) che qualcuno ebbe l'idea di attribuire alla C. e a B. ha contribuito, come sempre, ad affossare qualunque interesse non banale per quest'operazione. Penso che la C. fosse contenta di B. anche perché era estremamente consapevole, date le critiche che cominciarono a piovere sin dall'annuncio della collaborazione C.-B.-Visconti, che parve un'esagerazione inutile per un'opera non meritevole di tanta attenzione. A questo proposito voglio assolutamente dire che la C. non fu QUASI MAI libera di fare quello che voleva. Molte stranezze (come il suo eccezionale Barbiere) derivano anche dai compromessi ai quali era stata costretta a scendere: non aveva potuto fare Rosina come contralto, e aveva fuso la scrittura sopranile con quella contraltina, aprendo tagli e fiorendo a volontà; aveva addirittura pensato di riprendere la consuetudine dell'aria del baule (un pezzo dal Fetonte di Jommelli) per l'aria della lezione... Tutte cose che erano lette come capricci e stravaganze, e creavano una sorda irritazione, con manifestazioni anche a furor di popolo del tutto inconcepibili oggi. Questo anche perché oggi i cantanti d'opera non hanno la rilevanza sociale e il significato a cui la Callas era riuscita a riportare, per un attimo, questa figura; in una fase storica in cui il melodramma non era lavoro d'équipe, ma qualcosa che viveva grazie e per i cantanti.

3. TAGLI. Per quanto riguarda i tagli, mi affretto a precisare che anche a me non piacciono. Ma ricordo anche che una raffinata ripresa come la Semiramide di Meyerbeer, opera rossinizzante diretta da Bonynge (2005), con diversi specialisti rossiniani all'interno di un festival rossiniano in Germania, è stata eseguita e incisa in stile anni Cinquanta, col taglio degli a capo &c., "adeguando", come informa una nota del libretto d'accompagnamento, la partitura alle qualità vocali dei cantanti. Per quanto riguarda l'opera dell'Ottocento, attenzione: tu stesso m'insegni che la cabaletta col da capo è onnipresente fino al protoromanticismo. Ma Verdi, a partire dal 1845 grosso modo, comincia a scrivere anche cabalette senza ripresa (per Ronconi, se non sbaglio, nella Battaglia di Legnano, &c.), a partire da quelle affidate alle voci maschili per poi passare all'opera a intenzione che ha un gioco molto più sfumato, e tende a trovare altri elementi di continuità e ripresa, come per esempio la tonalità, i motivi &c., e non le strutture dei pezzi. Ed è proprio dal Verdi di mezzo, trilogia popolare soprattutto, in poi che il pubblico di allora si basava: il gusto era quello. Quanto alle tracce, anche consistenti, rimaste nella trilogia popolare, sono state ovviamente il primo oggetto di tagli: Rigoletto contiene una cabaletta del Duca all'epoca mai e poi mai eseguita, benché sia splendida ("Possente amor mi chiama", con la tromba); le cabalette dei due Germont (più opinabili, sembra) erano regolarmente falciate via; a Leonora rimaneva solo una delle due cabalette. Il fatto è che venendo meno il virtuosismo il da capo perdeva di senso. La C. era perfettamente in grado di variare, lo sappiamo, ma il pubblico non era assuefatto. Uscendo dal suo cono d'ombra di cantante "di nicchia", eccettuando i suoi esordii (in Italia) wagnerian-pucciniani e in riferimento al suo avvicinamento al Maggio, la C. ha cominciato ad occupare una posizione curiosa, che vedeva una tensione dialettica, e un equilibrio che a distanza sembra perfetto, tra opere del grande repertorio e opere decisamente desuete e meritevoli di entrarci. All'epoca, anche senza voler fare del folclore, non era affatto educato come quello di adesso, che in una serata all'opera viene con atteggiamento molto più disponibile e riflessivo, all'epoca i loggioni avevano preconcetti incrollabili. La C. ha avuto, nella sua volontà di creare sempre qualcosa di "speciale", di nuovo, anche un'importante funzione di rottura. La distanza culturale non era tra la C. e quel repertorio (protoromantico), ma semmai tra *il suo pubblico* e quel repertorio.

4. L'ESTETICA DELLA C. Quanto all'estetica, tu parli di una C. tardoromantica. Sono in disaccordo. Il tipo di emissione non ha nulla da fare, innanzitutto, con la pletoricità e il grasso da candele che andava tanto negli anni Cinquanta, e che appunto risentiva ancora del tardoromanticismo e del verismo (che è verismo sulla carta, di fatto è una riconcezione del melodramma prevalentemente piuttosto kitsch [e peraltro con molte belle cose]). La C. era l'esatto *contrario* dell'estetica decadente. In effetti, anzi, sono portato a ritenere che la Lucia della Sutherland, cantante che in fondo ha recuperato uno stile "petali di rosa", molto fin-de-siècle, aggiornandolo, sia molto più legata ad un'estetica tardoromantica di quanto non avvenisse con la C.; vale anche per la Norma, e in genere tutte le altre cose. Lo stile non è per nulla scolpito (per Norma, il "sublime tragico"), il notevole nervosismo di un personaggio come Lucia, che non può essere concepito esclusivamente in chiave elegiaca (il personaggio dà evidenti segni di squilibrio da quando appare in scena a quando ammazza a pugnalate il marito appena sposato...), e la forte tensione espressiva di tutte le eroine protoromantiche sono stati riportati dalla Sutherland ad un clima abbastanza "digestivo", pre-Callas. La C. ha rievocato, per Norma Vestale Medea, ma anche per Sonnambula Puritani Lucia, uno stile che credo proprio sia molto più vicino al concetto degli autori (Bellini più che Donizetti, probabilmente) di quanto sia intervenuto in séguito. Non è solo una questione di tecnica di canto, cioè di fonazione, ma anche di sensibilità nei confronti della ripartizione, della scansione esatta, del melos, dello spirito informatore generale, di uno stile e di una retorica. Il canto della C. ha, anche considerando quanto di suo ci metteva (ma perché no, se poteva permetterselo?), un'idiomaticità che nessun'altra interprete ha avuto. Lei cantava, ci mancherebbe che si mettesse anche a fare ricerca -- oggi le primedonne fanno ricerca quanto vogliono, ma oggi i mezzi e le chiavi interpretative (anche quando non sono in grado di servirsene) ce li hanno. All'epoca no. Non possiamo rimproverarle di non aver fatto l'edizione critica di tutto quel che cantava. Perché la sua funzione è stata proprio quella di riesumare uno stile che nessun foglio di carta, pentagrammata o no, riuscirà a trattenere. E' ovvio, dunque, che abbia agito sulla base dell'intuito: perché in qualunque altro modo sarebbe stato impossibile. Poi, è vera anche la questione che noi non sappiamo come cantassero le primedonne d'allora e che possiamo fare solo supposizioni; però rimane il fatto che, giusto per limitarci alla più documentata delle sue interpretazioni, Norma, dopo quelle stentate della Lehmann, della Cigna, la C. è stata la prima, ma anche l'ultima ad essere *perfettamente a suo agio* in ogni parte dell'opera, che non era eseguita con tagli troppo significativi. Non mi riferisco a trasposizioni di suono, o altro, perché in certi casi non sono così sostanziali (non per valutare le capacità della C., o la sua congenialità con un certo tipo di repertorio). C'è la qualità di una fonazione, dico, che le permette di inquadrare un "No, non tremare" di cui si distingue ogni nota, mentre la Sutherland, per esempio, non articola a sufficienza. Quanto a più moderne interpreti (June Anderson? La Gruberova?) non mi pronuncio perché sono troppo al disotto del piano della storia.

Ciao, ti risponderò con un attimo di calma perché le osservazioni interessanti sono molte. Brevemente, ti segnalo solo una cosa pratica: anche se rispondi da te (cosa che si fa spesso) dovresti mettere un messaggio sulla mia pagina di discussione per informarmi, altrimenti posso non accorgermi. Ricorda anche di usare questo simbolo - ~~~~ - per firmare tutto i tuoi interventi nelle pagine di discussione: salvando la pagina farà apparire automaticamente la tua firma. A presto --Al Pereira 06:51, 30 nov 2006 (CET)Rispondi
Dopo tanto tempo rieccomi. Ho fatto quel piccolo cambiamento alla voce Callas. Volevo anche chiederti, visto che di voci mi pare ti intendi parecchio, se conosci il tenore Albino Toffoli. Attualmente la voce relativa è in cancellazione e a me non pare sia di levatura enciclopedica, tuttavia un tuo parere sarebbe molto gradito. La pagina della canc. relativa è questa: Wikipedia:Pagine da cancellare/Albino Toffoli.
Riguardo alla Maria Callas, il punto su cui abbiamo idee diverse riguarda il rigore del suo approccio al repertorio - chiamiamolo così - protoromatico. L'ammirazione da parte mia, come avrai capito, non manca, e tra l'altro mi guarderei bene dall'indicare alcuni nomi che hai citato - in particolare la Sutherland - come alternativa alla Callas. Però resto dell'idea che la Callas con l'epoca di Bellini, e con quel gusto, non abbia così tanto a che fare: l'opera di quegli anni - chiunque sia l'autore - ha un aplombe formale dal quale non si sgarra e che la Callas sembra quasi ignorare (come gli altri cantanti e direttori dell'epoca, beninteso). Le sue interpretazioni tendono piuttosto ad esaltare passi della partitura, a volte intere arie, che a quel punto potrebbero stare anche in un'opera di fine ottocento: il grande arco melodico lo sente e in genere lo rispetta, grazie al suo istinto musicale, e questo tra l'altro è molto belliniano, ma non il senso della forma. Verista è per esempio il raddoppio della sua voce all'orchestra, nella seconda parte del cantabile di concertato del finale I dei Puritani, nel quale sembra non rendersi conti che cantando in quel registro l'effetto è sì espressivo ma anche stridente. Tu mi porti esempi - del tutto eccezionali - di cabalette senza ripresa in Verdi, per altro compensate in altro modo, ma una cabaletta senza ripresa in Donizetti non riesco a sentirla come nient'altro che un aborto musicale. Con questo non voglio certo legare la Callas al nome di Verdi, tutt'altro! e neppure la definirei pucciniana, dato che a fronte di alcune interpretazioni eccellenti (Tosca, l'aria di Turandot, certi passaggi superlativi anche in Manon) ce ne sono altre che mi convincono poco (Butterfly) o nulla (Bohème). Secondo me la Callas è un soprano ponchielliano, cioè dotata di un fraseggio straordinario che trae vantaggio dalla disomogeneità dei registri e dai contrasti estremi, anche dinamici. Una voce insieme lirica e tagliente, com'era forse quella di Romilda Pantaleoni. Purtroppo di Ponchielli ha cantato solo Gioconda, ma se avesse fatto anche I Lituani, Il Figliuol prodigo e soprattutto Marion Delorme queste opere probabilmente oggi circolerebbero. Questa almeno è la mia impressione.
Grazie delle informazioni riguardo alle riprese del Pirata: il fatto che la Aliberti la canti mi preoccupa parecchio. Ecco una che imita la Callas facendo danni seri a quella musica. Tempo fa Philip Gosset mi aveva detto che aveva scritto le cadenze e le variazioni per il Pirata, sperando che quest'opera - a mio avviso molto ricca di cose belle - riuscisse finalmente a decollare. Ma senza soprano e soprattutto senza tenore è tutto inutile. La prima volta che ho ascoltato Il pirata è stato proprio nell'incisione Callas/Rescigno: impressione: 2-3 cose magnifiche, il resto maldestro. Poi ho sentito Gavazzeni e l'opera mi è piaciuta. Poi ho preso lo spartito e l'ho messo sul pianoforte e ho capito che siamo lontani anni luce da un esecuzione belliniana di quest'opera. Quanto alla Straniera, non sapevo che la Callas volesse cantarla e alla fine mi dispiace che non l'abbia fatto, anche se un'interpretazione abbastanza "callasiana" mi pare quella di Renata Scotto, nell'incisione diretta da Sonzogno. Anche qui però il discorso è lo stesso: una grande interprete che ti risolve in modo sublime 2-3 pezzi e poi? Un'opera variamente massacrata, per me sinceramente inascoltabile in quell'edizione. In scena non l'ho mai vista, ma ho l'impressione che funzionerebbe. I recitativi non sono lunghi, si presta a soluzioni scenografiche più interessanti del Pirata e ha una maggiore continuità drammatica, anche se a mio avviso la musica è meno bella. Poi cosa sia interessante drammaturgicamente è difficile da stabilire. Di Bellini si fanno parecchio i Capuleti, che pure ha un taglio terribilmente convenzionale (sin dalla sinfonia!), senza le trovate che invece ci sono nella Straniera, però ci sono Giulietta e Romeo, e non ci sono grosse difficoltà vocali.
Torno ai tuoi esempi di cabalette tagliate e poi ti saluto: le cabalette di Germont, Alfredo e Leonora (la seconda) credo le tagliò lo stesso Verdi per la Francia, e si poteva fare, tanto più nel caso di quest'ultima, dato che l'impressionante espansione del tempo in mezzo (il Miserere) forniva da sé un eccellente finale. Cabalette ne tagliò anche nel nuovo Simon. Altra cosa però è tagliare la ripresa. Certo con Verdi variare diventa ben difficile, ma in fondo lo era già con Bellini e Donizetti, il più delle volte, tanto è vero che le variazioni di tradizione sono rossiniane. E questo è il vero problema: introdurre variazioni più sottili, forse alla Chopin, non d'agilità ma d'espressione e di fraseggio, lavorando sulle appoggiature, le dinamiche, i rubati. Riguardo alla cabaletta del Duca di Mantova, ti riferisci alle esecuzioni anni 1950? non dell'epoca di Verdi, immagino. Anche a me piace molto! Ciao --Al Pereira 06:51, 30 nov 2006 (CET)Rispondi
Grazie per l'ultima risposta. Senti, per quanto riguarda il tenore che citi, non solo non lo conosco, ma in sulle prime ho pensato che si trattasse di una voce compilata per scherzo, cioè che si trattasse di un falso. Io, ripeto, non lo conosco; eppure, stesse a me, non lo cancellerei. E' pur sempre informazione. Stesse a me, cancellerei solo la frase "è il più grande intenditore &c.", o in qualunque altro modo sia formulata, per le solite regolette auree di wikipedia. Ma io non sono un oracolo, posso fornire solo opinioni.
Quanto alla Callas "verista" hai, direi, piuttosto ragione. Giuseppe Pugliese per primo, se non sbaglio, disse che la C. importava anche un certo accento verista nelle parti protoromantiche. Gina Guandalini dice che per entusiasmare chi nel 1950 o '55 aveva vent'anni non ci voleva di meno -- salvo aggiungere che anche ora le sue interpretazioni protoromantiche, da Norma a Puritani a Pirata a Lucia o quello che è rimangono le sole realmente entusiasmanti. Io cito, accanto alla Callas, la Sutherland, la Caballé, la Deutekom (di cui non si ricorda quasi nessuno), la Gencer, la Scotto &c. rendendomi benissimo conto che sono fenomeni quasi altrettanto (in altri casi anche più) discutibili rispetto a lei; ma mi rifiuto di prendere in considerazione come alternative valide, chessò, la Gruberova o altre, che rimangono nettamente al disotto di tutte queste. Le recenti esecuzioni più o meno filologiche hanno tutte le qualità (quando non ne hanno i difetti) del lavoro fatto in équipe. Apprezzo anch'io, infinitamente, da puro pajo d'orecchi quale sono, il lavoro meritorio del Festival di Pesaro, ma sta di fatto che molte opere rossiniane e tutte le opere belliniane e donizettiane con pochissime e scarsamente significative eccezioni sono opere scritte pensando a una primadonna, e che senza primadonna sono monche. Sono opere (questo te lo può dire chi vede le cose davvero dall'esterno, come puro e semplice ascoltatore, eventualmente spettatore, partecipe, non come accademico) che sono pensate in funzione di una cantante, posta al centro del cast, dotata di intelligenza musicale ed interpretativa. La C. ne aveva più di qualunque altra cantante. Mi sembra tutto sommato ozioso muovere rilievi ad interpretazioni che reggono. Scusami, ma sono portato a sorridere quando penso a Gossett che pensa di risollevare le sorti del Pirata (opera anche abbastanza inquietante, un po' antipatica con quel tema ossessivo, claustrofobico, da "sindrome di Stoccolma") scrivendo nuove variazioni. L'opera è una pratica, ed è fatta per essere sostenuta dai cantanti, non dai professori. Non sto dando interpretazioni puramente vitalistiche, tutt'altro: dico che la C., per esempio, fu abbastanza "professore" da insegnarci qualcosa, ancora oggi e sempre, su quelle partiture. Molto spesso le attuali esecuzioni filologiche non lasciano nemmeno intendere in modo chiaro la linea melodica. La filologia è troppo spesso una scusa per varie deficienze interpretative, sia musicali che estetiche. Dev'essere un supporto, non un sostitutivo all'esecuzione. -- E ti prego, SCUSAMI l'enorme presunzione, ma così sento. Credo sia stato Rinaldo Alessandrini che qualche anno fa ha diretto una Norma con la Anderson protagonista. Riapertura di tutti i tagli, esecuzione perfettamente filologica, e quant'altro. Avrei sfidato chiunque a riconoscere Norma in quella confusione! E non credo che gli onesti battisolfa degli anni Cinquanta fossero tutti in errore. Credo che la filologia non insegni sensibilità estetica, nerbo, gusto, intelligenza musicale. Ma qui mi fermo, perché si va oltre quello che posso sapere ed esprimere.
Quanto alla cabaletta del Rig., sì, mi riferisco agli anni Cinquanta.
Grazie per gli esempii sulle altre cabalette. Quello che mi premeva dire è che esiste effettivamente la tendenza, nel corso dell'Ottocento, a ridurre la durata e anche la presenza delle cabalette all'interno delle opere, primo perché erano considerate volgari (così Verdi e Mercadante), secondo perché l'interesse per il virtuosismo, considerato sempre più un fatto al difuori della musica, se non antimusicale, andava rapidamente scemando. E senza virtuosismo le cabalette, e soprattutto le riprese, non hanno senso. Il virtuosismo non è la vera sostanza del protoromanticismo, ma semmai è una persistenza barocca, mantenuta in vita soprattutto dal prestigio delle opere di Rossini. Così la vedo io. Sono del tutto in errore?
Quanto all'aplomb in Bellini, trovo sia metà del vero. Bellini è e rimane un romantico in vesti classiche -- si potrebbe dire, un po' ingenuamente. Di fatto, soprattutto in Norma, è in equilibrio perfetto tra un'idea del tutto astratta di classicità e un romanticismo assolutamente aggiornato al gusto europeo dell'epoca. C'è l'uno e l'altro versante. Bellini è un musicista tutt'altro che compassato. E anche, tu m'insegni, tutt'altro che corretto. Come Gluck, non sapeva bene la musica, era un visionario.

(cia') d.

Metaqualone

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A suo tempo ho cancellato la pagina perché il contenuto era:

«metaqualone»

e nient'altro.
Per cui sentiti libero di riscriverla da capo, magari falla un po' meno concisa :) AttoRenato de gustibus 09:22, 6 dic 2007 (CET)Rispondi

Capìto. Grazie, AttoRenato! Anfiosso.

Claudio Saracini

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Ciao Anfiosso, ho visto che hai tradotto la voce a margine dalla versione in lingua inglese. Per il rispetto della licenza GFDL occorre riportare i dati di chi ha scritto la voce come da me indicato nella discussione della voce stessa. Ciao e complimenti per il tuo lavoro.--Burgundo 15:34, 28 nov 2008 (CET)Rispondi

Provvedo sùbito, grazie.

Callas

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Guarda ho visto che hai molto contribuito alla voce sulla Callas, l'ho aperta in vaglio e vorrei coinvolgerti alla migliorazione, se ci lavoriamo bene la mettiamo da vetrina! --Rustythejester (msg) 12:59, 5 dic 2008 (CET)Rispondi

Un grazie e un libro sulla conoscenza libera per te

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Wikimedia Italia

Gentile Anfiosso,

oggi ti scrivo a nome dell'associazione Wikimedia Italia per ringraziarti del tempo che hai dedicato ai progetti Wikimedia.

Come piccolo omaggio avremmo piacere di spedirti una copia (tutta in carta riciclata) del libro di Carlo Piana, Open source, software libero e altre libertà. Fornisci un recapito per ricevere una copia del libro.

Pochi giorni fa il mondo ha festeggiato la giornata dell'amore per il software libero, ma ogni giorno è buono per ricordare le garanzie delle licenze libere e le centinaia di migliaia di persone che si sono unite per costruire questo bene comune della conoscenza. Speriamo che questo libro ti sia utile per apprezzare quanto hai fatto e per trasmettere la passione della conoscenza libera a una persona a te vicina.

Se desideri una copia ma non puoi fornirci un indirizzo a cui spedirla, contatta la segreteria Wikimedia Italia e troviamo una soluzione insieme.

Grazie ancora e a presto,

Lorenzo Losa (msg) 11:25, 24 feb 2020 (CET)Rispondi