Fascismo intransigente

Il fascismo intransigente o fascismo rivoluzionario, per certi aspetto analogo al cosiddetto fascismo di sinistra, è una corrente minoritaria del fascismo italiano che, rifacendosi all'integrità del manifesto di San Sepolcro e degli ideali originali del movimento, quelli pre marcia su Roma, si discostò dal PNF (del quale i membri dissidenti fondarono i fasci nazionali) e dall'esperienza del ventennio, durante la quale di fatto il fascismo fu un regime reazionario di estrema destra, compromesso con la Chiesa cattolica e con le forze politiche conservatrici, a causa della comune opposizione al marxismo materialista e al liberalismo individualista.[1][2]

Le idee tipiche di questa linea di pensiero, che non ottenne mai un grande consenso se non tra alcuni esponenti fascisti della prima ora come il massone Roberto Farinacci o il sindacalista rivoluzionario napoletano Aurelio Padovani (espulso e riammesso nel partito, morto poi in circostanze mai del tutto chiarite), e fu tutto sommato ignorata dallo stesso Mussolini, sono: il socialismo nazionale, il sindacalismo rivoluzionario, il repubblicanesimo, il futurismo, il terzismo, l'anticlericalismo, l'antiparlamentarismo, l'anticomunismo e l'anticapitalismo.

Certi elementi del fascismo più ortodosso e terribilista, come la socializzazione dell'economia, il corporativismo e l'ostilità verso la monarchia, furono ripresi dal PFR nella breve Repubblica di Salò ed oggigiorno sono in parte riscontrabili nel piccolo Movimento Fascismo e Libertà - Partito Socialista Nazionale.

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