Fasti (Ovidio)

poema di Publio Ovidio Nasone

I Fasti sono un poema eziologico di Ovidio, scritto in distici elegiaci, ad imitazione degli Aitia di Callimaco, di cui riprende, oltre che il metro, anche alcune soluzioni formali e narratologiche.

Fasti
Ritratto immaginario di Ovidio (di Anton von Werner)
AutorePublio Ovidio Nasone
1ª ed. originaledal 9 d.C.
Editio princepsBologna, Baldassarre Azzoguidi, 1471
Generepoema epico
Lingua originalelatino

L'opera, scritta molto probabilmente per aderire alla moralizzante propaganda tipica dell'età augustea, fu progettata in un totale di 12 libri: con essa l'autore - che probabilmente attingeva a Varrone e a Verrio Flacco - si era proposto di indagare e rivisitare tutti i riti, le festività e le consuetudini, tipiche del costume e dell'uomo romano, che, al suo tempo, si praticavano senza ormai conoscerne l'esatta origine o valenza.

Tuttavia, dei Fasti si sono conservati solamente 6 libri: questo fatto si spiega con la famosa relegatio (esilio che non comportava la perdita dei beni né tantomeno dei diritti civili) che colpì Ovidio e che non gli permise di terminarla.

StrutturaModifica

Libro I: gennaioModifica

Il primo libro doveva presentare una dedica ad Augusto. Quest'ultima, ora spostata al secondo libro, è stata sostituita (verosimilmente nell'esilio di Tomi, l'attuale Costanza, in Romania) con una al nipote adottivo di Augusto stesso, Germanico[1].

Dopo la dedica, Ovidio rievoca brevemente la nascita del calendario romano e il significato di dies fasti[2], per poi passare al mito di Giano, esposto dal dio stesso in colloquio con il poeta, sul modello degli Aitia callimachei[3] e, dopo un distico sulle None di gennaio, modellato sulle sezioni astronomiche di Arato[4], all'esposizione dell'origine dei riti agonali[5], dei riti in onore di Carmenta[6], inframmezzato da una esposizione sulle Idi, che divide questo mini-epillio in due sezioni, la prima delle quali è una lunga profezia sulle origini di Roma recitata dalla stessa ninfa.

Libro II: febbraioModifica

Dopo un'apostrofe al distico elegiaco, che Ovidio afferma di aver piegato alla poesia eziologica, dopo che in gioventù fu il suo verso d'amore e ad una dedica a Cesare (forse Augusto)[7], si passa a parlare dell'origine del nome februarius[8], per poi discutere delle calende, con la rievocazione del mito di Arione[9], delle none, con il mito dell'Orsa Callisto[10], di Fauno, dei Lupercali e di Roma arcaica[11].

Ovidio rievoca, poi, le feste Quirinalia[12], le cerimonie ferali[13] e la festa del dio Terminus[14] e si sofferma a parlare del regifugium, con la leggenda di Lucrezia[15]. Infine, parla della festa degli Equirria[16].

Libro III: marzoModifica

Libro IV: aprileModifica

Libro V: maggioModifica

Libro VI: giugnoModifica

NoteModifica

  1. ^ I, 1-24.
  2. ^ I, 25-62.
  3. ^ I, 63-314.
  4. ^ I, 315-316.
  5. ^ I, 316-460.
  6. ^ I, 461-724.
  7. ^ II, 1-18.
  8. ^ II, 19-54.
  9. ^ II, 55-118.
  10. ^ II, 119-192.
  11. ^ II, 193-474.
  12. ^ II, 475-533.
  13. ^ II, 534-638.
  14. ^ II, 639-684.
  15. ^ II, 685-856.
  16. ^ II, 857-864.

Voci correlateModifica

Altri progettiModifica

Collegamenti esterniModifica

  • I Fasti di P. Ovidio Nasone; tradotti in terza rima dal testo Latino ripurgato ed illustrato con note dal dottor Giambattista Bianchi da Siena, Venezia, Nella stamperia Rosa, 1811 (on-line)
  • Traduzione in inglese dei Fasti, su tkline.freeserve.co.uk. URL consultato il 7 giugno 2007 (archiviato dall'url originale il 10 marzo 2007).
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