Francesco Contrafatto

scenografo, pittore e scultore italiano

Francesco Contrafatto (Catania, 13 marzo 1928Catania, 15 giugno 2015) è stato un pittore, scultore e scenografo italiano.

Francesco Contrafatto

Biografia modifica

Già all'età di tredici anni partecipò ad una mostra collettiva nella sua città natale.[1] Dopo regolari studi artistici dedicò la sua lunga carriera alla scenografia, pittura e scultura[1].

Pittore di paesaggi e di pittura di genere, non si dedicò spesso alla rappresentazione della figura umana[1]. Tenne numerose mostre all'estero: Argentina, Brasile e Uruguay (1969), Mosca e Leningrado (1971) e Londra (1974), solo per citarne alcune[1]. Sue opere sono presenti tra gli altri, nel Palazzo del Quirinale[1] e nell'aula del consiglio comunale di Catania (affresco)[1] e in collezioni pubbliche e private[1].

Come scultore realizzò diverse opere site sia in collezioni pubbliche che nelle piazze di numerose città[1]. Un suo grande bassorilievo in bronzo si trova presso la sede della Banca Agricola Etnea a Catania[1].

Fu anche e soprattutto scenografo e lavorò alle scenografie dei teatri Stabile di Catania, del quale fu socio fondatore e Massimo Bellini, per oltre un quarantennio, e ancora al Colon di Buenos Aires[1][2]. Nel corso della sua lunga carriera vinse numerosi premi, sia in Italia che all'estero[1].

Gli sono stati conferiti decine di premi: l’«Acitrezza» (1951) che aprì la serie, il «Polifemo d’Argento» (1970), 1’«Aci-Galatea» (1971), il «pistacchio d’oro» (1974), il «24 casali» e la «giara d’argento» (1980), “Marranzano d’oro” per la scenografia de “”, “Premio per la vita” (1990).

Negli ultimi anni i suoi interessi nel campo dell’arte si sono allargati: oltre a opere di pittura e grafica, realizza ceramiche, vetrate policrome e sculture in bronzo. Nel 2004 per incarico dell’Università degli Studi di Catania ha realizzato due grandi sculture, e nel 2005 il Comune di Catania lo ha incaricato di creare e realizzare il “Monumento all’Arma dei Carabinieri”. Nel 2006 ha creato “L’albero del Sapere”, una grande scultura in bronzo presso il Collegio Universitario D’Aragona. Nello stesso anno è stato insignito di titolo di “Commendatore”.

Particolarmente significative, per effetto della sua maturità artistica, sono capacità tecnica e rapidità nell’esecuzione: in poche decine di minuti, talvolta, riesce ad iniziare e ultimare una tela o una superficie, che a prima vista può dare l’impressione d’essere frutto di un “lungo lavoro”.

Dal lasciato volontariamente la cattedra di professore di ruolo per le discipline artistiche.

Rimase in attività fino a pochi giorni prima della sua morte avvenuta a Catania il 15 giugno 2015,[2] all'età di 87 anni.

Poco prima di morire ebbe una diatriba con il comune di Catania al quale aveva deciso di donare il calco in bronzo della sua mano destra a patto che venisse esposto all'ingresso dell'aula consiliare. Al diniego, da parte del comune di questa sua volontà, revocò la donazione[2].

La ricerca del colore giusto come del “giusto nome” che il primo uomo venne chiamato a dare agli esseri viventi nella Bibbia è compiuta da Contrafatto in una terra quale che, a dispetto delle apparenze vistosamente cromatiche e arrendevoli, respinge il colore e il nome, per un corrivo suo silenzio da tragedia muta. I colori, gli smalti, i monumenti e le belle parole, venivano e se ne andavano con le bandiere degli invasori, come le rifioriture di primavera. Contrafatto non si è arreso al non-colore della Sicilia. Ha interrogato il proprio inferno, tra le colate laviche dell’Etna ed esecuzioni di polli. Alla fine è riuscito a sorprendere il giusto colore-nome, quasi nuovo inizio di creazione, dove il “colore giusto” ha finalmente assolutezza di realtà e di luce: vittoria d’arte forse unica nel suo genere[3].

Si divertiva a definirsi «lisciu», termine catanese difficile da tradurre, ma perfetto per riassumere lo humor di Francesco Contrafatto. Pittore, scultore, incisore e scenografo, scherzava sardonico su tutto, a ogni domanda rispondeva con una battuta. E poi sorrideva sornione. Sigaretta sempre accesa in mano, seduto nel suo studio domestico tappezzato di quadri, tra cui un ritratto di Eduardo De Filippo. Neanche un centimetro di parete era lasciato nudo nella sua casa di Catania, dove teneva gli strumenti da lavoro sempre a portata di mano. È morto nel 2015 Francesco Contrafatto e finalmente la sua città natale gli ha dedicato una mostra «affettiva» (al Museo Civico Castello Ursino fino al 22 maggio) curata dal figlio architetto, Toti. Un omaggio sentimentale all’ultimo dei «Beniamini», protagonista dell’arte a Catania a partire dal dopoguerra insieme a Sebastiano Milluzzo e Nunzio Sciavarrello. Una mostra «affettiva» perché «desidera innescare questo meccanismo di affettività nei confronti della vita e della bellezza attraverso la sguardo di questo autore», spiega Toti Contrafatto, «lo sguardo di una persona fortunata come lo è stato lui, che è stato curioso continuamente della realtà, e le quattro declinazioni della sua arte – pittura, scultura, incisione e scenografia - le ha alimentate sempre l’una con l’altra».

Da autodidatta, mosso e formato «dalla curiosità e dall’amore per la vita, “rubava” da chi faceva». Per questo lo divertiva molto il fatto di essere diventato professore di Disegno tecnico al liceo e di esserlo stato per trent’anni. «Insegnava perché, alla radice di tutto, questo artista era un uomo e un padre di quattro figli, doveva mandare avanti la famiglia. La mattina alle 8 citofonava per accompagnare a scuola le mie sorelle, veniva direttamente dal teatro dove aveva fatto nottata per lavorare alle scenografie», racconta Toti, schietto e concreto come il padre, che fu animato fino all’ultimo dallo spirito eccentrico e polemico della giovinezza, come lui stesso si divertiva a sottolineare. L’itinerario espositivo, allestito a Catania da Commapartners, ripercorre il rapporto di Francesco Contrafatto con la materia, dall’olio al bronzo, e mette insieme opere provenienti da numerose collezioni pubbliche e private, oltre che dall’imponente archivio di famiglia. Dipinti, sculture, chine, incisioni, bozzetti preparatori delle opere monumentali realizzate per la città di Catania (tra cui quelle a Palazzo degli Elefanti e a Palazzo dei Minoriti). Ma anche bozzetti di scena e foto delle scenografie realizzate nell’arco di oltre 40 anni per i due più importanti teatri cittadini, il Vincenzo Bellini e lo Stabile, dove una lunga amicizia legò Francesco Contrafatto al grande attore Turi Ferro. Eppure la mostra «affettiva» a Castello Ursino «non vuole essere né un’antologica né una retrospettiva, ma un percorso pensato come un respiro», conclude Toti Contrafatto, «perché per compiere questo cammino verso la bellezza, che abbiamo immaginato per il visitatore, bisogna vivere e per vivere l’elemento principale è il respiro. Pittura, scultura e scenografia si mescolano a livello emozionale, con il desiderio di accendere nello spettatore quella bellezza che è stata motore di tutto».

La mostra sarà visitabile fino al 22 maggio 2022, tutti i giorni dalle 9 alle 19. Le visite guidate, a cura dell’Associazione delle guide turistiche di Catania, si effettuano su prenotazione (344 2249701 - info@guidecatania.it). I proventi di questa attività saranno destinati a finanziare il progetto della scuola dell’infanzia di Mammola, a San Giovanni Galermo, promosso dalla Fondazione Francesco Ventorino, così come i proventi che deriveranno dalla vendita del catalogo pubblicato da Edizioni le farfalle[4]

Note modifica

  1. ^ a b c d e f g h i j k AA.VV., Enciclopedia di Catania, a cura di Vittorio Consoli, volume 1°, Catania, Tringali Editore, 1987, p. 224.
  2. ^ a b c Sergio Sciacca, Addio al Maestro Contrafatto pittore-poeta del vero, in La Sicilia, Catania, 16 giugno 2015.
  3. ^ Stralcio critico del filosofo Fortunato Pasqualino: (dal catalogo della mostra, presso l’Italian Institute for Foreign Trade – Londra, maggio 1974).
  4. ^ Ornella Sgroi, in Corriere della Sera, 13 maggio 2022

Bibliografia modifica

  • AA.VV., Enciclopedia di Catania, a cura di Vittorio Consoli, volume 1°, Catania, Tringali Editore, 1987, p. 224.
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