Un kizilbāsh, o kizil bash o kizil bas (in turco: Kızılbaş, da "kizil" = rossa e "baş"/"bash" = testa; in azero: Qızılbaş; in persiano: قزلباش, Qizilbāsh) era un discepolo dell'ordine sufi sciita sorto attorno al XV secolo[1]. I kKizilbāsh portarono il loro leader Ismaʿil al potere, contribuendo così alla fondazione della dinastia safavide. L'origine del Qizilbash può essere datata dal XV secolo in poi, quando il gran maestro spirituale del movimento, Shaykh Haydar (il capo dell'ordine Safaviyya Sufi), organizzò i suoi seguaci in truppe militanti. I Qizilbash erano originariamente composti da sette tribù di lingua turca, Rumlu, Shamlu, Ustajlu, Afshar, Qajar, Tekelu e Zulkadar, che parlavano tutte azere.[2][3][4][5]

Moschea dell'Imam Ali a Najaf
Cavaliere kizil bas durante il periodo safavide

Il loro nome ("testa rossa") derivava dal colore del copricapo che indossavano, un cappellino di colore rosso con dodici pieghe, in ricordo dei dodici imam dello Sciismo. Questo copricapo è noto come Taj-e Heydar in persiano, con riferimento al maestro Sufi Heydar ("Taj" in persiano significa "corona").

Ipotesi sulle origini modifica

Sulle origini dei kizilbāsh, organizzati da Ḥaydar Ṣafawī, la guida spirituale (sceicco) del movimento della Ṣafawiyya - da cui nasce la dizione "safavide" - si sono avanzate varie ipotesi.
Tra esse quella secondo cui i kizilbāsh sarebbero stati fortemente influenzati dal mazdakismo iranico che agì durante il periodo dell'Impero sasanide, o dall'ancor più radicale movimento persiano khurramita, presente nel primo periodo islamico.
Costoro erano intensamente alidi, al pari dei kizilbāsh, tanto da essere qualificati dagli eresiografi sunniti come ghulat (lett. "esagerati", cioè "estremisti"), anch'essi caratterizzati dal color rosso degli abiti, tanto da essere chiamati in arabo muḥammira ("rosso vestiti").[2] In quest'ottica, lo studioso turco Abdülbaki Gölpinarli ha visto i Kizilbāsh come "discendenti spirituali dei Khurramiti".

Altri usi del termine modifica

Il termine è utilizzato anche per indicare i copricapi che permettevano ai sufi di mostrare la loro appartenenza a una particolare confraternita.

Kizilbāsh sono chiamati anche i membri del gruppo alevita in Turchia.

Il nome kizil bas inoltre è stato dato in Afghanistan ai turkmeni di lingua persiana che si stabilirono a Kabul e in altre città attorno al 1737 e furono impiegati negli uffici pubblici e nel commercio.

Note modifica

  1. ^ Vincent J. Cornell, Voices of Islam, Westport, Greenwood Publishing Group, 2007, p. 225, ISBN 0-275-98732-9
  2. ^ a b H. Anetshofer/H.T. Karateke, Traktat über die Derwischmützen (risāle-i Tāciyye) des Müstaqīm-zāde Süleymān Sāʻdeddīn, Leida, E.J. Brill, 2001; ISBN 90-04-12048-3 (originale tedesco)
  3. ^ G. Doerfer, «Woher stammte Ibn Muhanna?», стр. 246
  4. ^ David Blow. Shah Abbas: The Ruthless King Who Became an Iranian Legend. — С. 165. The primary court language remained Turkish. But it was not the Turkish of Istambul. It was a Turkish dialect, the dialect of the Qizilbash Turkomans, which is still spoken today in the province of Azerbaijan, in north-western Iran.
  5. ^ Cambridge History of Iran, vol. 6, p. 214

    We know that the Qizilbash soldiers fulfilled this obligation; they even accepted the king's claim to be venerated as a divine being. Their battle cry is significant:

    Qurban olduğum pirim mürşidim!

    ("My spiritual leader and master, for whom I sacrifice myself!")

Bibliografia modifica

  • Michele Bernardini, Storia del mondo islamico, VII-XVI secolo, Vol. II, Il mondo iranico e turco dall'avvento dell'islam all'affermazione dei Safavidi, Torino, G. Einaudi, 2003, ISBN 88-06-16833-9

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