Li du' ggener'umani

Li du’ ggener’umani è un sonetto in dialetto romanesco composto da Giuseppe Gioachino Belli il 7 aprile 1834.

Giuseppe Gioachino Belli

«Io qui ritraggo le idee di una plebe ignorante, comunque in gran parte concettosa ed arguta, e le ritraggo, dirò, col concorso di un idiotismo continuo, di una favella tutta guasta e corrotta, di una lingua infine non italiana e neppur romana, ma romanesca

Testo con traduzione a fronte modifica

(IT)

«Li du’ ggener’umani

Noi, se sa, ar Monno semo ussciti fori
impastati de mmerda e dde monnezza.
Er merito, er decoro e la grannezza
sò ttutta marcanzia de li Siggnori.

A su’ Eccellenza, a ssu’ Maestà, a ssu’ Artezza
fumi, patacche, titoli e sprennori;
e a nnoantri artiggiani e sservitori
er bastone, l’imbasto e la capezza.

Cristo creò le case e li palazzi
p’er prencipe, er marchese e ’r cavajjere,
e la terra pe nnoi facce de cazzi.

E cquanno morze in crosce, ebbe er penziere
de sparge, bbontà ssua, fra ttanti strazzi,
pe cquelli er zangue e ppe nnoantri er ziere.»

(IT)

«I due generi umani

Noi, si sa, siamo venuti al Mondo,
impastati di merda e di immondizia.
Il merito, il decoro e la grandezza
sono tutte mercanzie per i Signori.

A sua Eccellenza, a sua Maestà, a sua Altezza
incensamenti, medaglie, titoli e splendori;
e a noi altri artigiani e servitori
il bastone, la soma e la cavezza.

Cristo creò le case e i palazzi
per il principe, il marchese e il cavaliere,
e la terra per noi, facce di cazzo.

E quando mori' in croce, ebbe il pensiero
di spargere, bontà sua, fra tanti strazi,
per quelli il sangue e per noi altri il siero.»

Versione in prosa modifica

È cosa nota a tutti che vi siano due generi di umanità: quella di coloro che come noi nascono mescolati agli escrementi e ai rifiuti e i Signori ai quali sono riservati le lodi, la dignità e la maestosità. Per loro vi sono i titoli di eccellenza, maestà, altezza e incensamenti, medaglie, titoli onorifici e una vita splendida, a noi lavoratori e servitori bastonate e un trattamento da bestie da soma. Cristo stesso si è schierato dalla loro parte creando per il principe, il marchese e il cavaliere case e palazzi e a noi, facce da fessi, ha lasciato solo la terra. Persino quando stava morendo crocefisso tra tanti strazianti dolori pensò a loro dedicando loro il suo sangue e a noi il siero.

Commento modifica

Il sonetto esprime fin dall'inizio una forte critica politica e sociale con il "se sa" che vuole rappresentare la constatazione universale che al mondo vi siano innate, insanabili diseguaglianze che la voce anonima del narrante, con toni popolari, analizza minutamente quasi più per sfogare la sua rabbia che per persuadere qualcuno già convinto di per sé che vivendo del suo umile lavoro sperimenta sulla propria pelle le ingiustizie del mondo. Ma quello che va oltre ogni limite di sopportazione è che questa ingiustizia sociale sia stata stabilita da Dio stesso che persino quando sta morendo sulla croce si mostra protettore e amico dei tiranni. Chi è Dio veramente? Il solito Dio –nella cui esistenza Belli crede- o un instrumentum regni? Nella Bibbia belliana Dio è un tiranno, talora capriccioso, che esprime il suo potere con divieti incomprensibili («Pe una meluccia, ch'averà costato/Mezzo baiocco, stamo tutti a fonno.»)[2] e punizioni eterne: «stese un braccio | longo tremila mijja [...]| e sserrò er paradiso a ccatenaccio»[3]. Un Dio potente che sta sempre dalla parte dei potenti [4] e che riserva ai poveri una vita da inferno che proseguirà con lo stesso Inferno dell'al di là.[5] Non c'è nessuna speranza di riscatto perché chi dovrebbe operarlo è un popolo che non teme, insultando, di dire la verità ma è inetto e spregevole tanto quanto chi lo comanda. Si è quindi parlato di un nihilismo radicale in Belli che lo porterà su posizioni reazionarie [6].

Note modifica

  1. ^ Sonetti romaneschi: Introduzione.
  2. ^ Er peccato d'Adamo
  3. ^ L'angeli ribbelli
  4. ^ Li du' ggener'umani
  5. ^ La vita dell'Omo
  6. ^ Pietro Gibellini in Ripari Edoardo, L'accetta e il fuoco. Cultura storiografica, politica e poesia in Giuseppe Gioachino Belli, Bulzoni editore, 2010

Bibliografia modifica

  • C. Muscetta, Cultura e poesia di G. G. Belli, Milano, Feltrinelli, 1961;
  • G. Vigolo, Il genio del Belli, Milano, Il Saggiatore, 1963;
  • G. P. Samonà, G. G. Belli. La commedia romana e la commedia celeste, Firenze, La Nuova Italia, 1969;
  • P. Gibellini, Il coltello e la corona. La poesia di Belli tra filologia e critica, Roma, Bulzoni, 1979;
  • R. Merolla, Il laboratorio di Belli, Roma, Bulzoni, 1984;
  • M. Teodonio, Introduzione a Belli, Bari, Laterza, 1992.

Voci correlate modifica