Lucio Ambivio Turpione

attore teatrale romano

Lucio Ambivio Turpione (in latino: Lucius Ambiuius Turpio; ... – ...; fl. II secolo a.C.) è stato un attore teatrale romano.

Operò, anche come impresario teatrale nella prima metà del II secolo a.C., contribuendo a portare al successo le palliatae di Cecilio Stazio prima, di Publio Terenzio Afro poi. Numerose notizie sulla sua attività provengono dal prologo dell'Hecyra di Terenzio, in cui lo stesso Turpione, che impersonava il personaggio 'protatico' (ovvero colui che recitava unicamente la protasis, l'introduzione), raccontava le difficoltà incontrate nel presentare al pubblico romano, che molto apprezzava le commedie plautine, le opere di Cecilio e Terenzio:[1][2]

(LA)

«Orator ad vos venio ornatu prologi:
sinite exorator sim <eo>dem ut iure uti senem
liceat quo iure sum usus adulescentior,
novas qui exactas feci ut inveterascerent,
ne cum poeta scriptura evanesceret.
in is quas primum Caecili didici novas
partim sum earum exactu', partim vix steti.
quia scibam dubiam fortunam esse scaenicam,
spe incerta certum mihi laborem sustuli,
<ea>sdem agere coepi ut ab eodem alias discerem
novas, studiose ne illum ab studio abducerem.
perfeci ut spectarentur: ubi sunt cognitae,
placitae sunt. ita poetam restitui in locum
prope iam remmotum iniuria advorsarium
ab studio atque ab labore atque arte musica.
quod si scripturam sprevissem in praesentia
et in deterrendo voluissem operam sumere,
ut in otio esset potiu' quam in negotio,
deterruissem facile ne alias scriberet.
»

(IT)

«Io mi presento a voi in costume da prologo, ma in funzione di avvocato. Fate che io sia un avvocato capace di vincer la causa, così che mi sia dato godere da vecchio del privilegio medesimo di cui ho goduto da giovane; quando sono riuscito a far sopravvivere delle opere fischiate da nuove e ad impedire che scomparissero, insieme col loro autore. Per le commedie di Cecilio, delle quali ebbi a curare la prima rappresentazione, in parte feci fiasco, in parte la spuntai di stretta misura. Sapendo che la fortuna delle opere drammatiche è dubbia, mi volli accollare, pur in una incerta speranza, un carico certo: mi rimisi a rappresentare le stesse commedie, per poterne mettere in scena altre dello stesso autore, con gran passione, in modo da non distogliere lui dalla passione sua. Ho ottenuto che fossero rappresentate; appena conosciute, hanno avuto successo. Così ho rimesso in onore un poeta, che la malignità dei suoi avversari per poco non aveva allontanato dalla sua occupazione prediletta e dal suo lavoro e dalla creazione poetica. Che se io avessi senz'altro buttato in un canto l'opera sua e avessi voluto di proposito scoraggiarlo, così da indurlo a star in ozio piuttosto di continuare a lavorare, facilmente l'avrei distolto dallo scrivere altre commedie.»

Note modifica

  1. ^ Beare, pp. 189-192.
  2. ^ Pontiggia; Grandi, p. 305.

Bibliografia modifica

  • William Beare, I Romani a teatro, traduzione di Mario De Nonno, Roma-Bari, Laterza, gennaio 2008 [1986], ISBN 978-88-420-2712-6.
  • Giancarlo Pontiggia, Maria Cristina Grandi, Letteratura latina. Storia e testi, Milano, Principato, marzo 1996, ISBN 978-88-416-2188-2.

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