Martirio di san Matteo

dipinto di Caravaggio

Il Martirio di San Matteo è un dipinto a olio su tela (323x343 cm) di Caravaggio, databile al 1599-1600 è conservato nella Cappella Contarelli della chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma.

Martirio di san Matteo
AutoreCaravaggio
Data1599-1600
Tecnicaolio su tela
Dimensioni323×343 cm
UbicazioneChiesa di San Luigi dei Francesi, Roma

La scena si sviluppa concentricamente intorno alla figura di un carnefice nell'atto di colpire il futuro martire.

Storia modifica

Sappiamo che Caravaggio compose tre diverse versioni del quadro: nella prima, una composizione più classica e con il fondo chiuso dalla mole di un tempio, ricordo della Maniera, al centro si trovava un soldato che irrompeva nella scena coprendo quasi San Matteo. Tra l'altro pare che il soldato avesse la stessa posa dell'angelo del Riposo durante la fuga in Egitto. Nella seconda versione i gesti dei personaggi acquistavano maggior vigore. Nella terza versione, invece, Caravaggio ambienta la scena in uno spazio profondo, con al centro il martirio del santo, riverso a terra, con ai lati una corona di astanti che fuggono inorriditi.

Descrizione e stile modifica

La scena è rappresentata all'interno di una struttura architettonica che ricorda quella di una chiesa (ciò si deduce dalla presenza di un altare con la croce e di un fonte battesimale) e quindi si atterrebbe alla Legenda Aurea per cui S. Matteo sarebbe stato assassinato dopo una messa. I personaggi sono stati disposti su una sorta di piattaforma inclinata, alla maniera teatrale, che ha l'effetto di avvicinarli allo spettatore e aumentare il pathos della raffigurazione. Al centro del quadro vi è San Matteo che giace a terra dopo essere stato colpito dal suo carnefice, il personaggio seminudo (probabilmente il falso neofita) che gli blocca il braccio; il corpo di quest'ultimo è tornito, a ricordo dell'Adamo della Sistina di Michelangelo.

La posizione delle braccia di San Matteo, aperte, richiama la croce, tuttavia egli non è illuminato totalmente quanto lo è il carnefice, perché egli è già in Grazia Divina. Il vero protagonista-peccatore è dunque il sicario, è su di lui che deve agire la luce salvifica di Dio. In alto a destra un angelo di ispirazione tardo-manierista, elegantissimo e raffinato anche nella postura sinuosa, si sporge da una nuvola per tendere a San Matteo la palma del martirio. Attorno, in tutto lo spazio figurativo disponibile, Caravaggio inserisce i fedeli presenti alla messa: due personaggi di fronte, uno volto in avanti e l'altro presentato con uno scorcio ardito, un bimbo che scappa, altri uomini scomposti in gesti e posture dalle quali traspare tutto l'orrore e la tensione per essere testimoni di una scena simile. È da notare un autoritratto di Caravaggio in fondo a sinistra, nel personaggio che osserva. Come spesso è accaduto anche in quest'opera, nella quale Caravaggio decide di rappresentare il martirio del santo come se si trattasse di un assassinio brutale lungo una strada, vi è la testimonianza della sua inventiva per l'aver trasferito un episodio della storia sacra nella vita di ogni giorno, per conferire realtà, veridicità e una forte componente emotiva.

Il critico Roberto Longhi, nel 1929, ha avanzato l'ipotesi che l'archetipo del dipinto[1] potrebbe essere il Martirio di san Pietro da Verona del Moretto, dipinto tra il 1530 e il 1535 e oggi custodito nella Pinacoteca Ambrosiana di Milano. Secondo lo studioso, "la tragica serietà di questo Pietro Martire dagli occhi ingolfati d'ombra (fatto anticlassico per eccellenza), la subitanea violenza fisica dei manigoldi, espressi in una plastica vicinissima e, dunque, diventata tutto orrore imminente di epidermide e di sangue pulsante, presentano molto dappresso il caravaggesco Martirio di san Matteo. È il novizio che fugge e si volge nell'aria sottile e dimostra già, non dico la plastica, ma l'evidenza secca, nitida e fulminante del primo Caravaggio"[2][3].

Note modifica

  1. ^ In ogni caso, "l’artista trasforma un tema desunto da una leggenda etiopica (quella del re Irtaco, che svergognato dall’apostolo per le sue mire illecite sulla figlia di Egesippo, lo fa colpire dai suoi fedeli mentre sta battezzando i neofiti) in un fatto di cronaca nera ambientato in una chiesa romana del suo tempo": v. Vito Santoro, Frontiere. Un reportage tra storia e letteratura, Historia magistra anno ix, n. 24 2017, p. 133.
  2. ^ Roberto Longhi, pag. 275
  3. ^ Pier Virgilio Begni Redona, pag. 295

Bibliografia modifica

  • Roberto Longhi, Quesiti caravaggeschi - II, I precedenti, in "Pinacotheca", anno 1, numeri 5-6, marzo-giugno 1929
  • Pier Virgilio Begni Redona, Alessandro Bonvicino - Il Moretto da Brescia, Editrice La Scuola, Brescia 1988

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