Nebridio

generale romano
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Nebridio (in latino Nebridius; ... – 365/366) è stato un generale e politico romano.

Nebridio
Prefetto del pretorio d'Oriente
Morte365/366
QuesturaSacri palatii nel 360
PrefettoPretorio d'oriente nel 364
Nebridio
Morte365/366
Dati militari
Paese servitoTardo impero romano
Forza armataEsercito romano
Anni di servizioprima del 354 - 358
GradoComes
GuerreInvasioni barbariche del IV secolo
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Biografia

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Nativo dell'Etruria,[1] fece carriera nell'amministrazione imperiale.

Nel 354, numerosi briganti isaurici assediavano a Seleucia sul Calicadno le truppe del comes Castricio. Il cesare Costanzo Gallo affidò a Nebridio, che era succeduto ad Onorato alla carica di comes Orientis,[2] l'incarico di aiutare il comes assediato; Nebridio raccolse ovunque le truppe disponibili e mosse celermente verso Seleucia; alla notizia dell'arrivo di un altro esercito, i briganti si dispersero per le loro inaccessibili montagne;[3] è da notare il fatto che sebbene Nebridio fosse un funzionario civile, abbia comandato personalmente le truppe.[4] Nebridio fu comes Orientis fino al 358, quando venne sostituito da Domizio Modesto.[5]

Era quaestor sacri palatii del cesare Giuliano, in Gallia, nel 360. In quell'anno le truppe acclamarono imperatore Giuliano, che era cugino dell'imperatore Costanzo II e fratello di Gallo; Costanzo, per mostrare il proprio potere a Giuliano, gli impose di accettare solo il rango di cesare, e gli impose la nomina di diversi ufficiali, tra cui quella di Nebridio a prefetto del pretorio delle Gallie. I soldati si schierarono però dalla parte di Giuliano, confermandolo augusto; solo l'incarico di Nebridio fu effettivo, in quanto conforme ai desideri di Giuliano.[6] Quando Giuliano ricevette l'ordine di Costanzo di inviargli le sue truppe migliori per la campagna contro i Sasanidi, Giuliano decise di muovere guerra al cugino, e chiese a soldati e ufficiali di giurargli lealtà; tutti lo fecero, ad eccezione di Nebridio, il quale affermò di non poter tradire il giuramento di lealtà verso Costanzo, che lo aveva ampiamente beneficato. Quando vennero a sapere questo, i soldati di Giuliano tentarono di ucciderlo, ma Nebridio si gettò ai piedi di Giuliano, e questi gli salvò la vita ricoprendolo col proprio mantello; cionondimeno, Giuliano lo rimosse dall'incarico, permettendogli di ritirarsi a vita privata ovunque volesse, e Nebridio tornò in Etruria.[7]

Morti Costanzo II (361), Giuliano (363) e il suo successore Gioviano (364), Nebridio fu nominato prefetto del pretorio d'Oriente dal nuovo imperatore Valente, in sostituzione di Secondo Saluzio; la nomina fu dovuta anche grazie al sostegno del patricius e suocero dell'imperatore, Petronio. Nebridio fu però presto catturato dall'usurpatore Procopio; mentre era in carcere, fu obbligato con la violenza a scrivere una falsa lettera per nome di Valente al comes della Tracia Giulio, il quale fu così attirato a Costantinopoli e qui catturato da Procopio.[8] Nebridio morì nel 365/366, probabilmente imprigionato da Procopio.[9]

Nebridio aveva una figlia, dal nome sconosciuto.[10] Se Nebridio fu il padre del Nebridio comes rerum privatarum e praefectus urbi di Costantinopoli nel 386 e il nonno del Nebridio nipote di Elia Flaccilla, allora egli fu il capostipite di una famiglia imparentata con la dinastia teodosiana.[11]

  1. ^ Ammiano Marcellino, xxi.5.12.
  2. ^ Libanio, Lettere, 400 (citato in Olszaniec).
  3. ^ Ammiano Marcellino, xiv.2.14-20.
  4. ^ Olszaniec, p. 290.
  5. ^ Libanio, Lettere, 38.
  6. ^ Ammiano Marcellino, xx.9.5-8; xxi.1.4.
  7. ^ Ammiano Marcellino, xxi.5.11—12, xxi.8.1; Libanio, Orazioni, xviii.110.
  8. ^ Ammiano Marcellino, xxiv.7.4—5; Zosimo, iv.6.2.
  9. ^ Olszaniec, p. 294.
  10. ^ Libanio, Lettere, 515 (citato in Olszaniec, p. 293).
  11. ^ Olszaniec, p. 293.

Bibliografia

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Fonti primarie

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Fonti secondarie

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  • «Nebridius 1», The Prosopography of the Later Roman Empire, Volume 1, Cambridge University Press, 1974, p. 619.
  • Szymon Olszaniec, Prosopographical studies on the court elite in the Roman Empire (4th century A. D.), Wydawnictwo Naukowe Uniwersytetu Mikołaja Kopernika, 2013, pp. 289–294.