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I cinici sono i seguaci della scuola filosofica fondata da Antistene e Diogene di Sinope nel IV secolo a.C. Il nome potrebbe derivare o dal Cinosarge, l'edificio ateniese che fu la prima sede della scuola, o dalla parola greca κύων (kyon - "cane") – soprannome di Diogene, che ne fu l'esponente più importante – o forse appellativo che gli fu dato in senso dispregiativo dalle correnti filosofiche avversarie. I cinici professavano una vita randagia e autonoma, indifferente ai bisogni e alle passioni, fedeli solo al rigore morale. Dopo un periodo di declino, la scuola cinica ebbe una ripresa in concomitanza alla corruzione del potere imperiale di Roma: si fece appello allora alla libertà interiore e all'austerità dei costumi. Con connotazione spesso negativa, il termine "cinico" viene però usato in epoca contemporanea soprattutto, per estensione, volendo indicare chi ostenta sprezzo e beffarda indifferenza verso ideali o convenzioni della società in cui vive (caratteristica spesso ostentata anche dai filosofi cinici), spesso con sarcasmo sfacciato, nichilismo e disincanto, o con sfiducia. L'interesse della scuola fu prevalentemente etico, e il concetto di "virtù" assunse un nuovo significato in una vita vissuta secondo natura; l'ideale era l'autosufficienza (l'autosufficienza del saggio, condotta fino all'assoluta indipendenza dal mondo esterno, secondo il termine greco autàrkeia, ovvero autarchia, capacità di detenere il totale controllo su se stesso).
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