Gregor Brück: differenze tra le versioni
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{{citazione|quando insegnavamo a non resistere mai contro l’autorità ancora non sapevamo che tale diritto di resistere è garantito dalle leggi di quella stessa autorità a cui abbiamo sempre diligentemente insegnato ad obbedire.||Denn das wir bisher geleret, stracks nicht widderzustehen der oberkeit, haben wir nicht gewust, das solchs der oberkeit rechte selbs geben, welchen wir doch allenthalben zu gehorchen vlessig geleret haben.|lingua=de}}
[[File:Gregor Brück 1557.jpg|sinistra|miniatura|Lucas Cranach il Giovane, ''Gregor Brück,'' 1557. L'iscrizione in latino recita:<br/>{{la}} «Gregorii faciem Pontani haec monstrat imago / consilio praestans qui fuit atque fide
Non era affatto scontato che Lutero e i teologi protestanti accettassero un principio di diritto romano, cedendo agli argomenti di Brück e alle pressioni di Giovanni di Sassonia. Solo dieci anni prima Lutero aveva bruciato, assieme alla bolla pontificia ''[[Exsurge Domine]]'' che condannava la sua dottrina, anche i libri di [[diritto canonico]]: nella Bibbia era contenuta tutta la legge necessaria per condurre una buona vita cristiana; eliminare qualcosa da quella legge sarebbe stato blasfemia, aggiungere qualcosa tirannia<ref>{{Cita|Witte 2017|p. 273}}.</ref>. Nel marzo del 1530 Melantone aveva sostenuto che il principio ''vim vi repellere licet'', da cui muovevano i giuristi, era un principio di «ragione naturale» (''naturalis ratio'') che avrebbe dovuto cedere a fronte del principio di «diritto divino» (''ius divino'') che impone di non resistere all'autorità e sopportare i torti dei magistrati<ref>Il parere di Melantone può leggersi in {{Cita|Scheible 1969}}, p. 57; un estratto anche in {{Cita|De Benedictis 2008}}, pp. 9-10.</ref>. Prima dell'ottobre di quello stesso anno, in più occasioni e con forza Lutero e gli altri teologi protestanti avevano affermato che in nessuna circostanza era permesso al cristiano impugnare le armi contro il proprio signore, giacché le autorità sono ordinate da Dio e chi resiste all'autorità resiste a Dio<ref group="N">Questa dottrina, fondata su {{Cita web|url=http://www.laparola.net/testo.php?riferimento=Romani+13%2C1-2&versioni%5B%5D=C.E.I.|titolo= Romani 13, 1-2|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20211020225733/http://www.laparola.net/testo.php?riferimento=Romani+13,1-2&versioni%5B%5D=C.E.I.|dataarchivio=20 ottobre 2021}}, è esposta in vari luoghi dell'opera di Lutero prima del 1530. Si veda ad es. {{Cita|Lutero 1523|p. 169}}: «comportarsi da cristiani significa che nessun principe deve muovere guerra contro i suoi superiori, come il re e l'imperatore o il suo signore feudale, ma deve lasciare che prenda chi vuole prendere. Infatti non si deve resistere all'autorità con la forza, ma solo confessando la verità». Si confronti con la trascrizione N° 1126 (del 1531-35) dei {{Cita|Discorsi a tavola|p. 120}}, [[q:Martin_Lutero#Discorsi_a_tavola|qui]] riportata, che risponde alla domanda «È lecito uccidere il tiranno che compie ogni sorta di misfatti arbitrariamente contro il diritto umano e divino?»; più diffusamente, {{Cita|Discorsi a tavola|p. 295}}, N° 4342 (7 febbraio 1539). Sull'evoluzione del pensiero di Lutero in tema di diritto di resistenza e la svolta del 1530, vedi {{Cita|Scheible 1969}}; {{Cita|Cargill Thompson 1975}}; {{Cita|Skinner 1978|pp. 191-206}}; {{Cita|Falchi Pellegrini 1986|}}</ref>.
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