Gian Carlo Pajetta: differenze tra le versioni

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=== Famiglia e studi ===
Nato in una famiglia benestante, fratello di [[Giuliano Pajetta|Giuliano]], da genitori che, pur non essendo iscritti al partito, si dichiaravano [[Comunismo|comunisti]] (il padre Carlo era [[avvocato]] e la madre Elvira Berrini era [[docente|maestra elementare]]). Fin da giovane espresse le sue idee [[Antifascismo|antifasciste]] e si iscrisse al [[Partito Comunista d'Italia]] quando ancora frequentava il [[Liceo classico Massimo d'Azeglio]] di [[Torino]] . Per questo nel [[1927]] fu espulso per tre anni "da tutte le scuole del Regno" e condannato a due anni di [[reclusione]], che rappresentarono per lui, ancora minorenne, una prova durissima.
 
Pajetta si formò intellettualmente leggendo i classici del [[movimento operaio]] ede alcuni autori [[Anarchia|anarchici]]. Nei soggiorni di prigionia studiò le [[lingua (linguistica)|lingue]], lesse [[Luigi Einaudi|Einaudi]], [[Gaetano De Sanctis]], [[Giovanni Gentile|Gentile]], [[Benedetto Croce|Croce]], [[Gioacchino Volpe|Volpe]], oltre a [[Giovanni Verga|Verga]] e ai [[Letteratura francese| romanzieri francesi]] e [[Letteratura russa|russi]] dell'[[XIX secolo|Ottocento]].<ref>[[Roberto Gervaso]], ''La mosca al naso, Interviste famose'', Rizzoli Editore, Milano 1980, p.71.</ref>
 
=== Esilio, prigionia e Resistenza ===