Monismo: differenze tra le versioni
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Il primo a ragionare sull'unicità del concetto di essere fu [[Parmenide]] di [[Elea]] (VI-V secolo a.C.) che esprime mediante una lapidaria formula, la più antica testimonianza in materia:
{{Citazione|è e non è possibile che non sia<br />...<br />non è ed è necessario che non sia|Parmenide, "Sulla Natura", fr. 2, vv 3;5 - raccolta DIELS KRANZ // fonti: [[Simplicio (filosofo)|Simplicio]], ''Phys.'' 116, 25. [[Proclo]], ''Comm. al Tim.''|ἡ μὲν ὅπως ἔστιν τε καὶ ὡς οὐκ ἔστι μὴ εἶναι<br />:...<br />ἡ δ' ὡς οὐκ ἔστιν τε καὶ ὡς χρεών ἐστι μὴ εἶναι|lingua=grc}}
La realtà, l'essere non può essere che unico e non
Il problema più rilevante non era tanto la molteplicità degli enti che abbiamo sotto gli occhi, quanto il senso greco del divenire per cui tutto muta, che si scontra con una ragione, altra dimensione fondamentale della grecità, che è portata a negarlo. Parmenide vive drammaticamente il conflitto, vede che il mondo è molteplice, ma la ragione e il compito del filosofo gli impediscono di crederci: egli non si fida dei [[organi di senso|sensi]] ma solo della [[ragione]], e afferma perciò che il divenire, il mondo, e la vita, sono tutte illusioni. C'è un solo essere, statico, uno, eterno, indivisibile, ossia uguale a sé stesso nello spazio e nel tempo perché diversamente, differenziandosi, sarebbe il [[non-essere]].▼
▲Il problema più rilevante per i filosofi del V secolo a.C. non era tanto la evidente molteplicità degli enti che abbiamo sotto gli occhi, quanto il senso greco del [[divenire]] per cui tutto muta, che si scontra con una ragione, altra dimensione fondamentale della grecità, che è portata a negarlo e a cercare l'unitarietà e la stabilità. Parmenide vive drammaticamente il conflitto
==Note==
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