Incidente di Vermicino: differenze tra le versioni

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La mancanza di organizzazione e coordinamento dei soccorsi, ai limiti dell'improvvisazione, fecero capire l'esigenza di una nuova struttura organizzativa per poter gestire le situazioni di emergenza e negli anni successivi portò alla nascita della [[Dipartimento della Protezione Civile|Protezione Civile]], all'epoca ancora solo sulla carta.<ref name=":0">{{Cita news|autore=Antonio Marchetta|url=http://www.corriereinformazione.it/2011060910821/attualita/cronaca/alfredino-rampi-a-30-anni-dallorrore-del-pozzo-artesiano-di-vermicino.html|titolo=Alfredino Rampi, a 30 anni dall'orrore del pozzo artesiano di Vermicino|pubblicazione=Corriere Informazione|data=9 giugno 2011|urlmorto=sì}}</ref><ref name=":1">{{Cita news|url=http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-06-10/trentanni-tragedia-alfredino-rampitrentanni-123025.shtml?uuid=AaV7xfeD|titolo=Trent'anni fa la tragedia di Alfredino Rampi|pubblicazione=[[Il Sole 24 ORE]]|data=10 giugno 2011}}</ref><ref name=":2">{{Cita news|url=http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-06-11/napolitano-ricorda-alfredino-rampi-113401.shtml?uuid=Aafgl1eD|titolo=Napolitano ricorda Alfredino Rampi: la tragedia creò le condizioni per l'istituzione della Protezione civile|pubblicazione=[[Il Sole 24 ORE]]|data=11 giugno 2011}}</ref><ref name=":3">{{Cita news|autore=Raffaella Troili|url=http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=152250&sez=HOME_ROMA|titolo=Vermicino, il pozzo di Alfredino Rampi è rimasto come trent'anni fa|pubblicazione=[[Il Messaggero]]|città=Roma|data=10 giugno 2011}}</ref>
 
== L'incidenteStoria ==
=== L'incidente ===
Nel mese di giugno 1981 la famiglia Rampi (composta da Ferdinando Rampi, 41 anni, dipendente dell'[[Acea]], dalla moglie Francesca Bizzarri, 37 anni, dalla nonna paterna Veja, 62 anni, e dai figli Alfredo, 6 anni, e Riccardo, 2 anni) stava trascorrendo un periodo di riposo nella loro seconda casa, in via di Vermicino, a [[Finocchio (Roma)|Finocchio]] ([[Roma]]).
 
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Un agente di polizia, il [[brigadiere]] Giorgio Serranti, allorché venne a conoscenza dell'esistenza del suddetto pozzo, sebbene gli fosse stato detto che esso era coperto, pretese di ispezionarlo ugualmente e, fatta rimuovere la lamiera, infilò la sua testa nell'imboccatura, riuscendo così a udire i flebili lamenti di Alfredo. Si scoprì poi che il proprietario del terreno sovrastante aveva messo la lamiera sulla fessura intorno alle ore 21:00, senza minimamente immaginare che all'interno ci fosse intrappolato un bambino<ref name="storia siamo noi" /> e mentre già erano iniziate le ricerche. Il proprietario del terreno, Amedeo Pisegna, abruzzese di 44 anni, insegnante di applicazioni tecniche, verrà in seguito arrestato con l’accusa di [[Omicidio_colposo_(ordinamento_penale_italiano)|omicidio colposo]] e con l’aggravante della violazione delle norme di prevenzione degli infortuni.
 
=== I soccorsi ===
Nel giro di pochi minuti i soccorritori si radunarono all'imboccatura del pozzo. Come prima cosa venne calata nella voragine una lampada, tentando invano di localizzare il bambino. La prima stima rilevò che Alfredo era bloccato a 36 metri di profondità: la sua caduta era stata arrestata da una curva o una rientranza del pozzo.
 
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Verso le 5:00 del mattino ebbe inizio il tentativo di un altro speleologo, Donato Caruso. Anch'egli raggiunse il bambino e provò a imbracarlo, ma le fettucce da contenzione psichiatrica che aveva usato e che avrebbero dovuto assicurare una sorta di effetto [[cappio]], scivolarono via al primo strattone. Caruso si fece ritirare su fino al cunicolo di collegamento, dove si fermò per riposare e poi ritentare. Dopo un poco, infatti, ridiscese. Effettuò altri tentativi con delle manette, metodo molto più rischioso anche per il soccorritore perché queste erano legate alla stessa sua corda di sicurezza. Alla fine, anche Caruso tornò in superficie senza esser riuscito nell'intento, riportando inoltre la notizia della probabile morte del bambino.
 
=== La morte ===
{{Citazione|Volevamo vedere un fatto di vita, e abbiamo visto un fatto di morte. Ci siamo arresi, abbiamo continuato fino all'ultimo. Ci domanderemo a lungo prossimamente a cosa è servito tutto questo, che cosa abbiamo voluto dimenticare, che cosa ci dovremmo ricordare, che cosa dovremo amare, che cosa dobbiamo odiare. È stata la registrazione di una sconfitta, purtroppo: 60 ore di lotta invano per Alfredo Rampi.|[[Giancarlo Santalmassi]] durante l'edizione straordinaria del [[TG2]] del 13 giugno [[1981]].}}