Edgar Degas: differenze tra le versioni
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A Napoli Degas frequentò assiduamente l'Accademia Reale di Belle Arti, pur rimanendone insoddisfatto a causa del taglio decisamente troppo accademico, e le collezioni del [[Museo archeologico nazionale di Napoli|museo archeologico nazionale]], rimanendo profondamente colpito da «quella massa inestimabile di tesori di arte che dalla famiglia Farnese passò ai Borboni di Napoli».<ref Group=N>Le origini del museo archeologico, infatti, sono strettamente collegate alle sorti della collezione Farnese, (Rosa Spinillo, Degas e Napoli, pp. 65-75) nella quale «con grande cura e con amore erano stati raccolti da più generazioni monumenti insigni di scultura, di pittura, d'incisione». A causa di particolari vicende dinastiche i beni farnesiani, inizialmente radunati nei vari palazzi di Parma, Piacenza, Colorno e Roma, confluirono nelle proprietà borboniche e perciò furono trasferiti a Napoli: i dipinti passarono alla [[reggia di Capodimonte]], mentre i manufatti archeologici nell'odierno museo Archeologico. Degas ricostruisce con particolare attenzione queste vicende:
{{citazione|Roma ci diede, col Toro Farnese e con la grandiosa opera di Glicone Ateniese, tutto un olimpo marmoreo, una falange di guerrieri, ed un’estesa famiglia di imperiali e di illustri personaggi: Parma invece le sue eccellenti tavole e le tele, non picciol documento di Giambellino, di Tiziano e di Francesco Mazzola}}</ref> Meditò con grande attenzione anche sui vari dipinti esposti a Capodimonte, a partire dal ''Papa Paolo III'' di Tiziano, dal ''Leone X'' di Andrea del Sarto e dalla ''Santa Caterina'' del Correggio: lo colpirono molto sia l'arte antica, quella a suo giudizio «più forte e più incantevole», e un dipinto del Lorrain, da lui descritto con grande trasporto emotivo: «è il più
{{citazione|Lasciando Civitavecchia il mare è azzurro, poi è mezzogiorno, e diventa verde mela con tocchi di indaco al lontano orizzonte: all’orizzonte una fila di barche a vela latina sembra un nugolo di gabbiani o di gavine per tono e forma… il mare un po' agitato era di un grigio verdastro, la schiuma argentea delle onde, il mare si dissolveva in un vapore il cielo era grigio. Il Castel dell’Ovo si elevava in una massa dorata. Le barche sulla sabbia erano macchie color seppia scura. Il grigio non era quello freddo della Manica ma piuttosto simile alla gola di un piccione|Edgar Degas<ref>{{cita|Rosa Spinillo,|p. 24|RS}}.</ref>}}
Altrettanto esemplificativa è la lettera che da Napoli Degas spedì a Parigi, al fratello Renè, nella quale leggiamo: «Occupo il mio tempo come meglio posso. Non è d’altronde possibile partire prima di una decina di giorni ... Non ho la pazienza e il tempo di scriverti a lungo. Questa mattina vado al museo... Mercoledì sono uscito in vettura con Thérèse e Marguerite. Siamo andati a Posillipo. Sembrava di essere in estate, tanto l’aria era pura. Ho da raccontarti tanto da riempire un intero volume, ma per iscritto non posso che stilare una piccola lettera ...».<ref>Lettera datata «Napoli, sabato, 24 marzo 1860». {{cita libro|autore=Lorella Giudici|opera=Carte d’Artisti|titolo=Edgar Degas, Lettere e Testimonianze|editore=Abscondita|città=Milano|anno=2002}}</ref> La presenza in città di Degas, protrattasi sino al 7 ottobre 1856,<ref>{{cita|Spinillo|p. 29|RS}}.</ref> è commemorata da una lapide affissa sulla facciata del palazzo Pignatelli, la quale recita così:
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