Gneo Marcio Coriolano: differenze tra le versioni

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==Biografia==
Il giovane Gneo Marcio, non ancora Coriolano, partecipò come semplice soldato alla decisiva [[battaglia del Lagolago Regillo]], distinguendosi per il proprio valore, tanto da meritare la [[Corona civica]] per aver salvato da solo in battaglia un altro cittadino romano.<ref>[[Plutarco]], [[Vite parallele]], Vita di Coriolano, III.3, pg. 123</ref>
 
Secondo [[Tito Livio]]<ref>Tito Livo, [[Ab Urbe condita libri]], Lib II, par. 33</ref> e Plutarco<ref>[[Plutarco]], [[Vite parallele]], 6. Gneo Marcio Coriolano e Alcibiade, XI, 1</ref> a Gneo Marcio fu attributo il cognome a seguito della vittoria di Roma contro i Volsci di [[Corioli]], ottenuta anche grazie al valore del giovane patrizio; {{Citazione necessaria|secondo altri storici il cognome indica che la sua famiglia fosse originaria della città stessa}}.
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Intanto a Roma la prima [[secessio plebis]] e la conseguente mancata coltura dei campi aveva provocato un rincaro del grano e la necessità della sua importazione. Sotto il consolato di [[Marco Minucio Augurino]] e [[Aulo Sempronio Atratino (console 497 a.C.)|Aulo Sempronio Atratino]], nel [[491 a.C.]], Coriolano si oppose fortemente alla riduzione del prezzo del grano alla plebe, che lo prese in forte odio.
 
In effetti la contesa non riguardava tanto il prezzo del grano, ma il conflitto tra plebei e patrizi, con questi ultimi che ancora non si erano rassegnati all'istituzione dei [[Tribuno della plebe|tribuni della plebe]], e cercavano in tutti i modi di contrastarne l'azione. In un contesto di feroci attacchi politici, Coriolano rappresentava l'ala più oltranzista dei patrizi, che propugnava il ritorno alla situazione antecedente alla concessione del tribunato ai plebei, e per questo motivo era attaccato violentemente da questi. Durante una di queste infuocate assemblee mancò poco che Coriolano fosse mandato a morte, gettato dalla [[rupe Tarpea]].
 
{{Citazione|''...A questo punto Sicinnio, il più impudente dei tribuni, dopo una breve consultazione con i colleghi, proclamò davanti a tutti che Marcio era stato condannato a morte dai tribuni della plebe, e ordinò agli edili di portarlo immediatamente sulla rocca Tarpea e di gettarlo giù nella voragine.''|[[Plutarco]], [[Vite parallele]], 6. Gneo Marcio Coriolano e Alcibiade, XVIII, 4}}
 
Alla fine fu citato in giudizio dai [[tribuni della plebe]], e a questo punto le versioni di Livio e Plutarco divergono. Secondo Livio<ref>[[Tito Livio]], [[Ab Urbe condita libri]], [https://la.wikisource.org/wiki/Ab_Urbe_Condita/liber_II lib. II, par. 35]</ref>, Gneo Marcio rifiutò di andare in giudizio, scegliendo l'esilio volontario presso i [[Volsci]], e per questo motivo fu condannato in contumacia all'esilio a vita. Invece per Plutarco<ref>[[Plutarco]], [[Vite parallele]], 6. Gneo Marcio Coriolano e Alcibiade, XX, 4</ref> Gneo Marcio fu sottoposto al giudizio del popolo con l'accusa di essersi opposto al ribasso dei prezzi del grano, e per aver distribuito il tesoro di Anzio tra i commilitoni, invece di consegnarlo all'Erario. Anche per Plutarco, la condanna fu quella dell'esilio a vita.
 
=== La guerra contro Roma ===
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Successivamente, mentre Attio proteggeva con il proprio esercito la città<ref>[[Dionigi di Alicarnasso]], [[Antichità romane (Dionigi di Alicarnasso)|Antichità romane]], VIII, 13.</ref>, Coriolano volse il proprio esercito contro la colonia romana di Circei che fu presa, mentre Roma non reagiva per il montare della discordia tra i due ordini<ref>[[Dionigi di Alicarnasso]], [[Antichità romane (Dionigi di Alicarnasso)|Antichità romane]], VIII, 14.</ref>.
 
Alla fine a Roma si decise di arruolare un esercito, e si permise agli alleati Latini di prepararne uno per proprio conto, in quanto Roma non era in grado di difenderli dalle incursioni dei Volsci<ref>[[Dionigi di Alicarnasso]], [[Antichità romane (Dionigi di Alicarnasso)|Antichità romane]], VIII, 15.</ref>. Ai Volsci, che si preparavano alla guerra, si aggiunse poi la rivolta degli [[Equi]]<ref>[[Dionigi di Alicarnasso]], [[Antichità romane (Dionigi di Alicarnasso)|Antichità romane]], VIII, 16.</ref>. Coriolano, al comando del proprio esercito quindi prese [[Tolerium]]<ref>[[Dionigi di Alicarnasso]], [[Antichità romane (Dionigi di Alicarnasso)|Antichità romane]], VIII, 17.</ref>, [[Bola]]<ref>[[Dionigi di Alicarnasso]], [[Antichità romane (Dionigi di Alicarnasso)|Antichità romane]], VIII, 18.</ref>, [[Labicum]], [[Corbione]], [[Bovillae]] e pose l'assedio a [[Lavinio (città antica)|Lavinium]],<ref>[[Dionigi di Alicarnasso]], [[Antichità romane (Dionigi di Alicarnasso)|Antichità romane]], VIII, 19-20.</ref> senza che i romani portassero aiuto a queste città.
 
Quindi Coriolano si accampò a sole cinque miglia dalle mura della città in località [[Fossae Cluiliae|Cluvilie]]<ref>[[Dionigi di Alicarnasso]], [[Antichità romane (Dionigi di Alicarnasso)|Antichità romane]], VIII, 22.</ref>, dove fu raggiunto da un'ambasceria composta da cinque ambasciatori. Per tutti parlò [[Marco Minucio Augurino]]<ref>[[Dionigi di Alicarnasso]], [[Antichità romane (Dionigi di Alicarnasso)|Antichità romane]], VIII, 23-28.</ref>, senza però riuscire a far desistere Coriolano dal proprio intento; anzi i Volsci, sempre guidati dal condottiero romano, presero [[Longula]], [[Satrico|Satricum]], [[Polusca]], le città degli Albieti, [[Mugillae]] e vennero a patti con i [[Corioli|Coriolani]]<ref>[[Dionigi di Alicarnasso]], [[Antichità romane (Dionigi di Alicarnasso)|Antichità romane]], VIII, 36.</ref>.
 
Leggermente diversa la versione di Tito Livio:
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Poi, però, fu dimostrato che l’azione non era affatto condivisa da tutti, sicché fu seppellito con grandi onori e il sepolcro di Coriolano, ornato con armi e spoglie, fu considerato dalla popolazione il sepolcro di un eroe e di un grande generale. I romani, invece non gli tributarono onori quando seppero della sua morte, né tuttavia gli serbarono rancore, tant'è vero che alle donne fu consentito portare il lutto fino a un massimo di 10 mesi.<ref>[[Dionigi di Alicarnasso]], [[Antichità romane (Dionigi di Alicarnasso)|Antichità romane]], VIII, 62.</ref>
 
[[Marco Tullio Cicerone|Cicerone]], nel [[Laelius de amicitia|De amicitia]], nel paragonare Coriolano a Temistocle ne accomuna la sorte: si sarebbero entrambi tolti la vita una volta allontanati dalla patria.<ref>[[Cicerone]], [[Laelius de amicitia]], XII, 42.</ref>
 
== Critica storica ==