Roberto Bellarmino: differenze tra le versioni

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Clemente VIII all'inizio si mostrò propenso ad accettare l'opinione conciliante di Bellarmino, ma successivamente cambiò idea, e decise di dare una più precisa definizione dottrinale in favore della tesi tomista. La congregazione "''De Auxiliis''" condannò quindi le tesi di Luis de Molina come eretiche. La presenza del cardinale Bellarmino nella Curia romana sarebbe divenuta quindi forse imbarazzante,<ref name="EnciclopediaItaliana">G. Treccani, Enciclopedia Italiana, Vol. VI pag. 549 - Istituto Poligrafico dello Stato - Roma - 1949 [http://www.treccani.it/enciclopedia/bellarmino-roberto-beato_%28Enciclopedia-Italiana%29/ Fonte]</ref> e fu forse per questo motivo che venne nominato nel [[1602]] arcivescovo di [[arcidiocesi di Capua|Capua]]. Dopo la morte di Clemente VIII, [[papa Paolo V]] concluse la disputa "''De Auxiliis''" con una decisione che riprendeva l'originaria proposta di Bellarmino.
===== La contesa giurisdizionale fra Santa Sede e Repubblica di Venezia=====
Il [[1604]] segnò l'inizio della contesa tra la Santa Sede e la [[Repubblica di Venezia]], che, senza consultare papa Clemente e versando in cattive condizioni finanziarie, aveva abrogato la legge di esenzione del [[clero]] dalla giurisdizione civile e tolto alla Chiesa il diritto di possedere beni immobili. La disputa portò a una guerra di libelli durante la quale le difese della parte repubblicana furono sostenute da [[Giovanni Marsilio]] e dal frate [[Servi di Maria|servita]] [[Paolo Sarpi]], mentre la Santa Sede fu difesa dal cardinal Bellarmino e dal cardinal [[Cesare Baronio]]. A tal proposito alcuni contemporanei descrivono chiaramente l'atteggiamento di profonda e non celata stima che Bellarmino aveva per il frate servita, nonostante la netta contrapposizione<ref>{{Cita|Aurelio Bianchi-Giovini|p. 148}}.</ref>.
 
====Il giuramento di fedeltà richiesto ai cattolici inglesi====
Contemporaneamente altre dispute riguardarono il [[Giuramento di fedeltà di Giacomo I|giuramento di fedeltà]] imposto ai cattolici inglesi dal re [[Giacomo I d'Inghilterra|Giacomo I]] nel [[1606]]: il giuramento condannava come "empio ed eretico" l'insegnamento cattolico sul "potere di deporre" un sovrano, che la Santa Sede rivendicava. In questo contesto il cardinale Bellarmino scrisse una lettera all'arciprete inglese Blackwell, rimproverandolo per aver prestato il giuramento in spregio dei suoi doveri nei confronti del papa e il re inglese vi rispose nel suo scritto teologico ''Tripli nodo triplex cuneus. Sive apologia pro juramento fidelitatis'', pubblicata anonima a Londra nel [[1608]]. Il cardinale rispose nello stesso anno, sotto pseudonimo, con la ''Responsio Matthei Torti presbyteri et theologi papiensis ad librum inscriptum Triplici nodo triplex cuneus''. A loro volta a questo testo risposero sia lo stesso re che il suo cappellano, [[Lancelot Andrewes]]<ref>Léopold Willaert, ''L'église au lendemain du concile de Trente. La Restauration catholique, 1563-1648'' (''Bibliothèque de la Faculté de philosophie et lettres de Namur'', fasc. 25), Bloud & Gay Éditeurs, Paris 1960, p.391.</ref>. In questa disputa intervenne anche il giurista scozzese [[William Barclay]] (1546–1608), che scrisse il ''De potestate papae'', pubblicato nel [[1609]], al quale il cardinale rispose con il ''Tractatus de potestate summi pontificis in rebus temporalibus adversus Gulielmum Barclaium'' del [[1610]]. L'opposizione alle posizioni [[Gallicanesimo|gallicane]] di Barclay fece sì che per un decreto del 26 novembre del 1610 il trattato fosse pubblicamente bruciato a [[Parigi]], in quanto ribadiva le motivazioni per la supremazia dell'autorità papale su quella monarchica.