Carlo Crivelli: differenze tra le versioni

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A parte il collezionismo legato ai cardinali romani, piuttosto circoscritto e nato alla fine del Settecento, e a parte le spoliazioni napoleoniche che portarono alla [[pinacoteca di Brera|Brera]] tante opere marchigiane ([[1812]]), furono soprattutto gli inglesi a dimostrare il maggiore interesse collezionistico su Crivelli, acquistando opere che poi sono in larga parte confluite alla [[National Gallery di Londra]], dove si trova la maggiore raccolta museale di opere del pittore, che già occupava la prima sala del museo e oggi si trova in un intero ambiente dell'Ala Sainsbury<ref name=Z23/>. Un tale risalto di Crivelli nel mondo anglosassone si spiega con l'onda crescente del gusto [[preraffaellita]]: più ancora dei fiorentini, Crivelli riassumeva in sé, per il gruppo di [[William Morris]] e i suoi seguaci, tutte le componenti gradite al movimento, quali l'abilità artigianale, il gusto decorativo, la nostalgia gotica e il tipo delle figure, sempre in bilico tra distacco ideale e umana prossimità allo spettatore<ref name=Z23/>. È facile capire come la decadenza economica e culturale dell'Italia preunitaria facilitasse il campo ai collezionisti inglesi, che non si fecero sfuggire l<nowiki>'</nowiki>''[[Annunciazione di Ascoli]]'' scartata da Brera per acquistare un (falso) [[Caravaggio]], né ebbero difficoltà nell'accaparrarsi la ''[[Pala Ottoni]]'' di Matelica nonostante [[Giovanni Battista Cavalcaselle|Cavalcaselle]] l'avesse segnalata tra le opere da salvare per il patrimonio artistico del nuovo Stato<ref name=Z23/>.
[[File:Maria Magdalena Rijksmuseum SK-A-3989.jpeg|thumb|right|[[Santa Maria Maddalena (Carlo Crivelli)]]]]
Contributi importanti alla critica dell'artista furono quelli dello stesso [[Giovanni Battista Cavalcaselle|Cavalcaselle]] (1871), e la prima monografia di Ruthford (1900), in cui l'artista era finalmente ricondotto all'alveo formativo del [[Rinascimento padovano]]. Trascurabile, per la frequenza di errori, è lo studio di Drey (1927), mentre interessanti ipotesi vennero formulate da [[Lionello Venturi]] (1907). Illuminante un passo di [[Bernard Berenson|Berenson]]<ref name=Z25>Zampetti, 1986, cit., p. 25.</ref>: «Finora manca una formula la quale non deformi la nostra idea della pittura italiana del quindicesimo secolo, e al tempo stesso renda giustizia a un artista come Carlo Crivelli che si colloca tra i più genuini di ogni terra o paese; e non ci stanca mai, anche quando i cosiddetti "grandi maestri" diventano tediosi. [...] Ma il Crivelli avrebbe dovuto essere studiato per sé stesso, e come prodotto di condizioni stazionarie, se non addirittura reazionarie. Passò la maggior parte della vita lungi dalle grandi correnti culturali [...]. Rimase fuori dal movimento della Rinascenza, ch'è movimento di costante sviluppo».
 
Importanti anche le brevi ma significative righe dedicate al Crivelli da [[Roberto Longhi (storico dell'arte)|Roberto Longhi]] nel ''Viatico'' (1946), ma fu con la mostra del [[1952]] ad [[Ancona]], in cui avvenne di fatto la riscoperta del [[trittico di Montefiore|"Trittico" di Montefiore]] (in realtà una sezione di un [[polittico di Montefiore dell'Aso|polittico]]), che presero avvio gli studi di Zampetti, con una più accurata ricostruzione del catalogo del pittore, aggiornata via via negli anni successivi<ref name=Z27>Zampetti, 1986, cit., p. 27.</ref>. La mostra ridestò l'interesse critico sull'artista, con nuovi contributi. Nel [[1961]] il nuovo catalogo della National Gallery, con aggiornatissime schede di [[Martin Davies]], ricostruiva il ''[[Polittico di Montefiore dell'Aso]]'' e chiariva la doppia provenienza del cosiddetto "Polittico Demidoff", con l'aiuto di [[Federico Zeri|Zeri]], il quale d'altronde quello stesso anno pubblicava un importante saggio sull'artista<ref name=Z29>Zampetti, 1986, cit., p. 29.</ref>.