Storia di Trieste: differenze tra le versioni

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Durante tutto il periodo di occupazione jugoslava furono effettuate dalla polizia titoista requisizioni, confische, arresti di numerosi cittadini, sospettati di nutrire scarse simpatie nei confronti della ideologia comunista o ritenuti inaffidabili per posizione sociale, censo, origini familiari e nazionalità. Fra questi vi furono soprattutto fascisti o collaborazionisti, ma anche combattenti della [[Guerra di liberazione italiana|Guerra di liberazione]], semplici lavoratori, vittime di vendette personali e di odii maturati nel corso della guerra. La massima parte degli arrestati non fece più ritorno alle proprie case. I triestini sollecitarono l'intervento degli [[Alleati della seconda guerra mondiale|Alleati]] che saltuariamente espressero proteste formali senza però ottenere risultati apprezzabili. Il generale Gentry, che condivideva con Freyberg il comando delle forze alleate presenti ebbe anche un incontro col suo omologo jugoslavo e gli fece intendere che gli Alleati « [...] non potevano permettere che si effettuassero arresti sommari o che si allontanassero cittadini dalla città senza processo.<ref>Geoffrey Cox, ''The road to Trieste'', Londra, 1947, p. 201-202, citato da Bogdan C. Novak, op. cit., p. 165</ref>», ma tutto fu inutile.
 
La popolazione triestina non si faceva illusioni sulla sorte dei tanti scomparsi. La scoperta delle prime foibe in Istria, nell'autunno del [[1943]], le testimonianze dei profughi dalmati sulla tragica sorte toccata a molti loro concittadini a [[Zara]], nel novembre [[1944]], lasciavano presagire il peggio. Subito dopo il ritiro delle truppe jugoslave da Trieste ebbero inizio gli scavi nel Carso triestino, che furono completati in tempi e periodi diversi. Furono individuate nelle vicinanze della città tre foibe principali: [[Basovizza]], [[Monrupino]] e [[Sesana]] (attualmente in territorio sloveno), e altre secondarie ([[Opicina]], Campagna e [[Corgnale]]), con un numero imprecisato di cadaveri. Va inoltre sottolineato che non tutti gli scomparsi furono gettati nelle foibe summenzionate: una parte non quantificabile di essi venne deportata in altre zone della Venezia Giulia, o in Jugoslavia, e ivi, con ogni probabilità, soppressa e seppellita. Sul numero delle vittime si possono fare solo delle congetture. Nell'aprile [[1947]] il Governo Militare Alleato aveva raccolto 1.492 nominativi di persone scomparse a Trieste sulla base delle denunce effettuate dai familiari, ma tale numero era da considerarsi provvisorio.<ref>[http://www.retecivica.trieste.it/triestecultura/new/musei/foiba_basovizza/default.asp?pagina=foibe_8 Dal sito: retecivica (Comune di Trieste)]</ref> Dati definitivi non vennero tuttavia mai forniti né negli anni né nei decenni successivi. Dopo il suo rientro a Trieste, nel marzo [[1947]], uno dei massimi esponenti del comunismo giuliano, [[Vittorio Vidali]], facendosi interprete della rottura fra [[Stalin]], appoggiato dal [[Partito Comunista Italiano|PCI]], e [[Josip Broz Tito|Tito]], si riferì ai «trozkisti titini» definendoli come «una banda di assassini e spie»<ref>Cit. da Maurizio Zuccari, ''Il PCI e la "scomunica" del '48. Una questione di principio'' in: Francesca Gori e Silvio Pons (a cura di), ''Dagli archivi di Mosca. L'URSS, il Cominform e il PCI, 1943-1951'', Roma, 1998, p. 242-244. Rif. tratto da: Roberto Finzi, [[Claudio Magris]] e [[Giovanni Miccoli]] (a cura di), ''Il Friuli-Venezia Giulia'', della serie ''Storia d'Italia, le Regioni dall'unità ad oggi'' Vol. I (capitolo: ''Dalla crisi del dopoguerra alla stabilizzazione politica e istituzionale'' di Giampaolo Valdevit), Torino, Giulio Einaudi Ed., 2002, p. 632</ref>, nel [[1956]], Chruščёv si reca a Belgrado, e riabilita Tito. affermando: {{citazione|{{cn|deploriamo ciò che è avvenuto e respingiamo tutti gli errori accumulati in questo periodo [...]}}}}
 
A partire dall'estate del [[1945]] si sviluppò pienamente anche l'esodo di molti giuliani e dalmati dalle zone occupate militarmente dai titoisti e che successivamente sarebbero state annesse allo Stato jugoslavo. L'esodo, che ebbe inizio in forma strisciante fin dal settembre [[1943]], si protrasse per un quindicennio ed interessò circa 250.000 profughi o forse più (in massima parte di etnia italiana, ma anche sloveni e croati) ed ebbe fra le sue mete privilegiate Trieste. La città accolse infatti gran parte dei circa 65.000 esuli che scelsero di rifarsi una vita nelle province che avrebbero conformato successivamente la Regione autonoma del [[Friuli-Venezia Giulia]].<ref>{{collegamento interrotto|1=[http://www.drengo.it/sm/3/micich.esodo.pdf. Fonte: Marino Micich. Cfr. il sito] |date=aprile 2018 |bot=InternetArchiveBot }}</ref> Inseritisi perfettamente nella realtà sociale triestina, essi stessi hanno costituito, per la città giuliana, un fattore di sviluppo economico e umano. A tale proposito va ricordato che l'afflusso degli esuli permise a Trieste di sperimentare, nel decennio successivo alla seconda guerra mondiale, una crescita apprezzabile della propria popolazione, con una netta (anche se temporanea) inversione di tendenza rispetto al periodo precedente, caratterizzato da una lunga stagnazione demografica in atto fin dagli [[anni 1920|anni venti]] del [[XX secolo|Novecento]].