Vittoria Tesi: differenze tra le versioni
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La Tesi aveva due fratelli, Cosimo e Giovanni, ai quali rimase legata per tutta la vita, soprattutto al secondo, sordomuto e affetto da deficit mentale e quindi non autosufficiente. Ancora nel suo testamento, nel nominare il marito erede universale dell'ingentissimo patrimonio che aveva accumulato, costituiva però dei congrui legati in favore dei fratelli e dei nipoti, tali da consentire, in particolare a Giovanni, la concreta possibilità di concludere la propria esistenza conservando il livello di assistenza e il domicilio che lei gli aveva garantito in vita.<ref name="testamento">Al testamento della Tesi è in particolar modo dedicato il saggio di Michael Lorenz citato in bibliografia. Il saggio contiene, oltre alla traduzione inglese dell'atto, siglato a Vienna nel 1773, anche un ''[http://members.aon.at/michaelorenz/Tesi/Tesi_will.pdf link]'' da cui si può scaricare la riproduzione testuale dell'originale in italiano.</ref>
La vicenda umana di Vittoria Tesi è stata avvolta da una leggenda riguardante il suo matrimonio, originata, quando la cantante era ancora viva, dai resoconti di [[Charles Burney]] <ref>Charles Burney, ''The present state of music in Germany, the Netherlands, and United provinces'', Londra, T. Becket and Co. 1773, I, p. 318.</ref>, e di [[Carl Ditters von Dittersdorf]] <ref>Carl Ditters von Dittersdorf, ''Lebensbeschreibung'', Lipsia, Breitkopf und Härtel, 1801; riedito a cura di Norbert Miller, Monaco, Kösel Vig., 1967, pp. 35 s.</ref> Sia pure con particolari anche molto diversi tra loro (per l'uno il marito era un fornaio girovago letteralmente raccattato a caso per strada, con l'unica prerogativa di essere italiano; per l'altro un semplice barbiere di teatro), si sarebbe trattato di un matrimonio bianco di pura convenienza, contratto dalla cantante in fretta e furia (dalla sera alla mattina) per sfuggire definitivamente alla corte pressante di un altolocato nobiluomo. Questi era disposto anche ad impalmarla ed era anzi sull'orlo di farle la proposta ufficiale, ma lei per qualche motivo rifiutava radicalmente le sue ''avances'', senza però voler o poter infliggergli l'onta di una ripulsa diretta. Secondo Francesco Lora, invece, anche alla luce dei documenti nel frattempo rinvenuti negli archivi ecclesiastici di Bologna, il veneziano Giacomo Palmerino Tramontini (1705-1785) era in effetti nipote di un gioielliere e dedito agli affari,<ref>Già [[Benedetto Croce|Croce]] lo definiva «uomo astuto e sagace negli affari» (''Un prelato...'', p. 29). Metastasio riferirà che a [[Vienna]] nel 1773 godeva del titolo onorario di ''Handelsrat'', ossia «consigliere di commercio» (Vitali, ''La solitudine amica...'', p. 274).</ref> e era da considerarsi "in verità un partito invidiabile": le nozze ebbero luogo a Bologna nel 1731 e non furono affatto celebrate dalla sera alla mattina in quanto "la dispensa dalle pubblicazioni fu concessa soltanto dopo alcune settimane, preso atto dei troppi luoghi ove la nubenda aveva soggiornato (tra le deposizioni figura un autobiografico e non sempre attendibile resoconto dei viaggi)". Certo non dovette trattarsi di un matrimonio convenzionale. Della mancanza di fedeltà reciproca tra i due contraenti, ebbe modo di dare conto il grande filosofo [[Benedetto Croce]] nell'ambito della sua attività collaterale di storico. Nella sua opera sui teatri di Napoli, riferisce di una vicenda del 1737, in occasione della quale la Tesi dovette licenziare due servitori che tenevano bordone al "Tramontino, pessimo soggetto," nelle sue tresche amorose con una signora fiorentina presso la quale egli intendeva anzi fuggire con tutti i suoi averi. Dopodiché, uno dei due, sempre sostenuto dal marito, arrivò perfino a minacciare di sfregiarla, costringendola a chiedere soccorso all'Uditore Generale Alfonso Ulloa Severino (1687-1762) addirittura irrompendo nel suo palco nel corso di una recita <ref>Croce, ''I teatri...'', p. 339. Tutto l'episodio è raccontato in una lettera dello stesso Ulloa ampiamente citata da Croce, alla quale si riferiscono le parti tra virgolette.</ref> Quanto alla cantante stessa, Croce pubblicò nel 1946 un libriccino contenente le lettere d'amore (tutt'altro che platonico) da lei inviate al prelato, ''tombeur de femmes'', e futuro cardinale [[Enea Silvio Piccolomini (cardinale)|Enea Silvio Piccolomini]] nel corso di una relazione durata alcuni anni e iniziata praticamente in contemporanea con l'episodio precedentemente citato.<ref>Croce, ''Un prelato ...'', ''op.cit.''. Di un'altra scappatella amorosa della Tesi, questa volta con Gaspare Brambilla, agente commerciale del conte Sicinio Pepoli di Bologna, dà conto Carlo Vitali nel libro da lui curato sul carteggio di Farinelli con il conte (p. 273). La prova del consumato tradimento sarebbe contenuta nell'annotazione manuale apposta dalla cantante in calce a una lettera di Farinelli al Brambilla del 7 luglio 1731 (e quindi neanche tre mesi dopo le nozze con Tramontini). Dando del tu all'uomo e chiamandolo con un'affettuosa storpiatura napoletana del suo cognome (paraltro usata talvolta anche da Farinelli), la Tesi scriveva (riferendosi a un terribile temporale che aveva colto la ''troupe'' a [[Fano]]): «
===La grande carriera===
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