Battaglia di Berlino: differenze tra le versioni

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Durante la fase di preparazione dell'offensiva finale, il maresciallo Žukov aveva preso in considerazione le difficoltà che sarebbero sorte nel caso di un combattimento urbano nella grande area abitata di Berlino dove verosimilmente si sarebbero asseragliate le forze superstiti più fanatiche e ideologizzate di Hitler ben decise a resistere fino all'ultimo a difesa dei loro capi<ref>A. Read-D. Fisher, ''La caduta di Berlino'', pp. 541-542.</ref>. Sulla base della tragica esperienza della [[battaglia di Stalingrado]] i comandanti sovietici erano consapevoli dei pericoli e del rischio di scontri prolungati e sanguinosi in un ambiente sfavorevole. Il maresciallo Žukov predispose quindi un programma di addestramento al combattimento ravvicinato in ambienti urbani e si avvalse dell'esperienza del generale Čujkov, comandante diretto durante i [[Combattimenti nella città di Stalingrado|cruenti combattimenti urbani a Stalingrado]], e delle sue truppe che in gran parte erano veterane di quella terribile battaglia<ref>A. Read-D. Fisher, ''La caduta di Berlino'', p. 541.</ref> . Il comandante del 1° Fronte Bielorusso decise inoltre di organizzare un sistema di combattimento con alternanza dei reparti ogni dodici ore in modo da garantire il ricambio delle unità e la presenza in azione di reparti sempre relativamente riposati<ref>A. Read-D. Fisher, ''La caduta di Berlino'', p. 542.</ref> . In questo modo il maresciallo Žukov riteneva di poter continuare la battaglia senza interruzioni per tutte le ore del giorno e della notte non dando tregua ai difensori. Il sistema di fatto non funzionò esattamente come previsto; a causa della mancanza di illuminazione durante la notte all'interno degli edifici che rendeva troppo rischiosi gli attacchi, i reparti molto spesso di fermarono e riposarono la notte e a volte fecero delle pause anche durante il giorno<ref>A. Read-D. Fisher, ''La caduta di Berlino'', p. 542.</ref> . I soldati sovietici in generale erano esausti dopo tante battaglie e, pur essendo decisi a concludere vittoriosamente la guerra, sicuramente non erano desiderosi di correre rischi inutili in quest'ultima fase del conflitto<ref>A. Read-D. Fisher, ''La caduta di Berlino'', p. 542.</ref>.
 
Sul piano tattico, nonostante l'addestramento specifico condotto prima dell'offensiva, le truppe dell'Armata Rossa peraltro iniziarono la battaglia compiendo una serie di gravi errori e soprattutto le unità corazzate, avanzando in colonna lungo le grandi strade della città subirono perdite elevatissime sopratuttosoprattutto a causa dell'intervento efficace delle squadre anticarro tedesche armate di ''Panzerfaust'' o di imboscate di mezzi corazzati isolati<ref>A. Read-D. Fisher, ''La caduta di Berlino'', pp. 542-543.</ref> . Le colonne corazzate, bloccate in testa e in coda dai mezzi colpiti, vennero spesso nei primi giorni attaccate e decimate. Ben presto il comando sovietico cambiò le sue tattiche e, su iniziativa anche del generale Čujkov, riorganizzò le formazioni migliorando la coesione dei reparti di mezzi corazzati e la cooperazione con le formazioni di fanteria, costituendo gruppi d'assalto combinati dotati di grande potenza di fuoco<ref>A. Read-D. Fisher, ''La caduta di Berlino'', p. 543</ref> . I gruppi d'assalto sovietici si imperniavano su una compagnia di fucilieri con il sostegno di cannoni anticarro, un gruppo di carri armati o cannoni semoventi, due plotoni di genieri e un plotone di lanciafiamme<ref>J. Keegan, ''Uomini e battaglie della seconda guerra mondiale'', p. 532.</ref>. La tattica prevedeva l'intervento preliminare della schiacciante potenza di fuoco di artiglieria, carri armati e lanciarazzi contro gli edifici che venivano spesso ridotti in macerie; seguiva l'intervento delle truppe d'assalto di fanteria che pesantemente armate con bombe a mano, mitra, fucili conducevano il combattimento ravvicinato<ref>A. Read-D. Fisher, ''La caduta di Berlino'', p. 543.</ref> . I fanti sovietici evitavano di muoversi all'aperto e cercavano riparo tra le rovine, utilizzando anche le cantine e vie di uscita secondarie per infiltrarsi ed eliminare i caposaldi. In alcuni casi era richiesto l'intervento dei reparti speciali del genio o dei cannoni anticarro per superare sbarramenti più solidi. Le perdite in questo tipo di combattimenti erano sempre elevate, e le squadre di sanità erano costantemente presenti subito dietro i reparti d'assalto sovietici per prestare immediato soccorso ai feriti<ref>J. Keegan, ''Uomini e battaglie della seconda guerra mondiale'', p. 533.</ref>.
 
Nelle sue memorie il generale Čujkov descrive le difficoltà del combattimento nell'area urbana di Berlino anche se sminuisce le capacità e l'efficenza delle truppe tedesche e straniere impegnate contro i suoi soldati, criticando in particolare l'impiego degli inesperti adolescenti della ''Hitlerjugend'' contro i veterani sovietici<ref>V. Ciuikov, ''La fine del Terzo Reich'', pp. 428-429.</ref>. Il generale ammette le perdite subite nei primi scontri dentro la città contro i reparti tedeschi, egli afferma tuttavia che nella seconda fase della battaglia le truppe sovietiche migliorarono le loro tattiche facendo avanzare i carri armati in cooperazione con i fucilieri; in questo modo ridussero molto l'efficacia degli attacchi tedeschi con i ''Panzerfaust''<ref>V. Ciuikov, ''La fine del Terzo Reich'', p. 428.</ref>. Il generale Čujkov inoltre descrive le protezioni improvvisate con sacchi di sabbia e filo di ferro di cui vennero equipaggiati i suoi carri armati che fornirono una buona protezione contro i colpi anticarro ravvicinati<ref>V. Ciuikov, ''La fine del Terzo Reich'', p. 428.</ref>. In altri casi, i carristi sovietici ricorsero a mezzi molto più bizzarri di protezione; in particolare i carri armati dell'11° Corpo carri, erano equipaggiati con reti di letti, recuperati dalle case tedesche, fissati sommariamente sui fianchi delle torrette<ref>J. Erickson, ''The road to Berlin'', p. 569.</ref>.