Aldo Braibanti: differenze tra le versioni

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Di conseguenza questa condanna ebbe una grande eco nella stampa internazionale, che evidenziò la profonda anomalia del reato contestato e della sua gestione da parte del sistema processuale italiano: del resto, la controversa legge sul plagio, introdotta nel codice penale durante il periodo fascista proposto da [[Alfredo Rocco]], portò nel dopoguerra ad una condanna in questo unico caso. Essa fu successivamente abolita, senza essere più stata applicata, grazie all'acceso dibattito scatenato dalla sua condanna<ref>[https://7criminali.wordpress.com/2018/06/08/il-reato-di-plagio-storia-ed-evoluzione/ Il reato di plagio, storia ed evoluzione]</ref>, con sentenza della [[Corte costituzionale della Repubblica Italiana|Corte costituzionale]] [[s:Sentenza della Corte Costituzionale 96/1981|n. 96 dell'8 giugno 1981]].
 
Il processo rivelò infatti rapidamente la sua natura politica, proponendosi come l'estremo tentativo del vecchio ordine sociale di imporre i propri valori contro la marea montante del Sessantotto. La condanna suscitò ampia eco in tutta Italia: a favore di Braibanti si mobilitarono [[Alberto Moravia]], [[Umberto Eco]], [[Pier Paolo Pasolini]], [[Marco Bellocchio]], [[Adolfo Gatti]], [[Giuseppe ChiarieChiari]] e numerosi altri intellettuali e uomini di cultura. Si mobilitarono anche i [[Radicalismo|radicali]] di [[Marco Pannella]], che fu denunciato per calunnia nei confronti del pubblico ministero del processo di primo grado contro Braibanti e sostenne a sua volta un processo per questo motivo all'Aquila<ref>[http://www.messinaora.it/notizia/2014/04/09/aldo-braibanti-perversione-diabolica/26043 GIUSEPPE LOTETA, ''ALDO BRAIBANTI, “PERVERSIONE DIABOLICA”'', 9 APRILE 2014, MessinaOra.it].</ref>.
 
Subito dopo la sentenza [[Pier Paolo Pasolini]] scriverà: “Se c'e un uomo «mite» nel senso più puro del termine, questo è Braibanti: egli non si è appoggiato infatti mai a niente e a nessuno; non ha chiesto o preteso mai nulla. Qual è dunque il delitto che egli ha commesso per essere condannato attraverso l'accusa, pretestuale, di plagio? Il suo delitto è stata la sua debolezza. Ma questa debolezza egli se l'è scelta e voluta, rifiutando qualsiasi forma di autorità: autorità, che, come autore, in qualche modo, gli sarebbe provenuta naturalmente, solo che egli avesse accettato anche in misura minima una qualsiasi idea comune di intellettuale: o quella comunista o quella borghese o quella cattolica, o quella, semplicemente, letteraria... Invece egli si è rifiutato d'identificarsi con qualsiasi di queste figure - infine buffonesche - di intellettuale.<ref>Il caos su “Il Tempo”, n. 33, 13 agosto 1968</ref>