Berta di Groitzsch: differenze tra le versioni

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Era una figlia del conte [[Wiprecht di Groitzsch]] e di sua moglie Giuditta, che morì dando alla luce un'altra figlia.
 
Quando Berta di Groitzsch ricevette in dote l'area intorno a [[Zwickau]] nel 1092<ref>''Die Stadt Zwickau'', in: ''Saxonia: Museum für sächsische Vaterlandskunde'', Bd. 4</ref>, cercò, come zelante sostenitrice del cristianesimo, di sradicare il [[paganesimo]] che era ancora diffuso in questa zona. Intorno al 1112 chiese quindi a [[Teodorico I di Naumburg|Teodorico]], vescovo di Naumburg appartenente forse alla stirpe [[Casata di Wettin|Wettin]], di permettere la fondazione e la costruzione di una chiesa per il Gau di Zwickau. Questa chiesa fu consacrata come chiesa di Santa Maria dal vescovo Teodorico il 1°º maggio 1118, come risulta da un documento dell'archivio comunale di Zwickau<ref>[https://web.archive.org/web/20140219053951/http://www.zwickautourist.de/webroot/de/stadtrundgang.php?lang=de&group=5&number=21a&view=detail Stadtrundgang – Thema Mittelalter auf www.zwickautourist.de] (Memento vom 19. Februar 2014 im ''Internet Archive'')</ref>. In esso è nominata la fondatrice, Berta di Groitzsch. La chiesa di Santa Maria fu assegnata all'[[abbazia di Posa]] (vicino a [[Zeitz]]). Nel 1118 sei monaci del suddetto monastero iniziarono il loro lavoro nella [[parrocchia]], che era essenzialmente un servizio missionario. Dopo un breve matrimonio, Berta divorziò da [[Sizzo di Käfernburg]] e in seguito divenne moglie del conte [[Dedo IV di Wettin]], con il quale ebbe una figlia, Matilde, divenendo così la ''[[Stammmutter]]'' della casa reale sassone.
 
Nel 1124 Berta rimase vedova e trasmise buona parte dei possedimenti del marito a [[Dedi III di Lusazia|Dedi V]], che lo trattò come un figlio adottivo. Nel 1135 ereditò invece i possedimenti del fratello Enrico, tra cui [[Leisnig]] e [[Colditz]], che dopo la sua morte passò alla figlia Matilde, la quale la cedette al marito, il ''[[Avvocazia|Vogt]]'' della collegiata di Bamberga [[Rapoto di Abenberg]]<ref>Manfred Kobuch: ''Die staufischen Tafelgüter im meißnischen Markengebiet'', in: Lutz Fenske (Hrsg.): ''Deutsche Königspfalzen'', Bd. 4, Göttingen, 1996</ref>.