Cinema francese d'avanguardia: differenze tra le versioni

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==Fotogenia==
{{vedi anche|Fotogenia}}
Nella seconda metà degli anni Dieci prese campo in Francia un dibattito legato all'arte cinematografica, che ebbe come protagonisti come [[Louis Delluc]], [[Béla Balász]] e [[Jean Epstein]], quello sulla [[fotogenia]] (''photogènie'').
 
L'occasione fu data da un film americano, ''[[I prevaricatori]]'' ([[Cecil B. De Mille]], [[1915]]), dove l'attore giapponese [[Sessue Hayakawa]] impersonava uno spietato collezionista che arriva a marchiare a fuoco una donna che gli ha chiesto un prestito. Il volto dell'attore trasmetteva un forte senso di mistero, grazie all'impassibile espressione mavimentata dall'intensità delle espressioni degli occhi, che ricordava una maschera assoluta. Di lui scrizze Delluc nel [[1917]] che "il suo viso [è] come un'opera di poesia il cui motivo non c'importa, quando la nostra voglia di bellezza vi trova la nota o il riflesso sperato"<ref>In Bernardi, cit., pag. 96.</ref>.
 
Il dibattito si allargò poi con gli interventi di [[Jean Epstein]], che descrisse la fotogenia come una "qualità morale": la fotogenia non era altro che un valore morale di qualcosa che veniva accresciuto grazie proprio alla riproduzione cinematografica.
 
Interessante fu il paragone dell'ungherese [[Béla Balász]] tra volto umano e paesaggio: un volto fotogenico varia con il tempo e con i sentimenti, come un paesaggio cambia nelle stagioni e analogamente il primo piano può racchiudre un intero mondo o anche di più, "una pluralità di mondi". Spetta a lui la prima intuizione delle straordinarie possibilità del primo piano, capace anche di rendere l'anima umana "visibile"<ref>Balász 1924, poi 1949.</ref>: da semplice curiosità o effetto speciale nel [[cinema delle attrazioni]], da effetto narrativo per presentare i personaggi o mostrare chi parla nel [[cinema narrativo]] di [[Griffith]], ecco che il primo piano diventava il fondamento di una nuova arte capace di mostrare anche cose invisibili, come il sentimento, il pensiero, l'"anima".
 
In queste osservazioni si coglie un nuovo [[umanesimo]], inteso come nuova maniera di conoscere l'uomo. Così il discorso sulla fotogenia portò a una vera e propria rivoluzione intellettuale e poetica, che ebbe il suo culmine nell'opera del maestro danese [[Carl Theodor Dreyer]], in particolare nell'espressività suprema del volto della protagonista ne ''[[La passione di Giovanna d'Arco]]'' del [[1928]].
 
[[Louis Delluc]], eminente critico del tempo, introdusse il concetto di ''photogènie'', sottolineando come ciascun soggetto reale trovasse nuova forma ed espressione nella sua trasposizione su pellicola.