Cinema francese d'avanguardia: differenze tra le versioni

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Il '''cinema francese d'avanguardia''' è quel periodo della [[storia del cinema]] [[cinema francese|francese]] che ebbe luogo nell'epoca del [[film muto|muto]], durante gli [[anni 1920|anni Ventiventi]].
 
Anche in Francia il cinema visse negli anni Venti una grande stagione di novità e rivoluzioni, sebbene, rispetto al [[cinema russo d'avanguardia|cinema russo]] o al [[cinema tedesco d'avanguardia|cinema tedesco]], le avanguardie francesi avessero una natura meno ideologico-sociale e più filosofica, fantastica, interessata alle connessioni tra soggettività e oggettività. La produzione cinematografica d'avanguardia si legò ai principali movimenti artistici in corso, anzi furono spesso gli stessi pittori, scultori, fotografi a produrre film sperimentali. Dall'uso frequente e innovativo dei vecchi effetti speciali (mascherini, sovrimpressioni, accelerazioni, ralenti, ecc.) nacque un nuovo linguaggio, che, nonostante il suo contenuto rivoluzionario, venne poi filtrato e sviluppato nel successivo cinema moderno e nel [[metalinguaggio]], che ebbe il culmine durante la [[Nouvelle Vague]].
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[[File:Sessue Hayakawa.jpg|thumb|180px|Sessue Hayakawa]]
{{vedi anche|Fotogenia}}
Nella seconda metà degli [[Anni 1910|anni Diecidieci]] prese campo in Francia un dibattito legato all'arte cinematografica, che ebbe come protagonisti come [[Louis Delluc]], [[Béla Balász]] e [[Jean Epstein]], quello sulla [[fotogenia]] (''photogènie''), ovvero sull'uso e le potenzialità del [[primo piano]].
 
L'occasione fu data da un film americano, ''[[I prevaricatori]]'' ([[Cecil B. De Mille]], [[1915]]), dove l'attore giapponese [[Sessue Hayakawa]] impersonava uno spietato collezionista che arriva a marchiare a fuoco una donna che gli ha chiesto un prestito. Il volto dell'attore trasmetteva un forte senso di mistero, grazie all'impassibile espressione movimentata dall'intensità delle espressioni degli occhi, che ricordava una maschera assoluta. Di lui scrisse Delluc nel [[1917]] che "il suo viso [è] come un'opera di poesia il cui motivo non c'importa, quando la nostra voglia di bellezza vi trova la nota o il riflesso sperato"<ref>In Bernardi, cit., pag. 96.</ref>.