Facezia: differenze tra le versioni

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La '''facezia''' (o '''motto di spirito''', ma anche semplicemente '''motto''') è un [[genere letterario]], oggetto di attenzione già a partire dalla riflessione antica sulla retorica (se ne parla nel ''[[De oratore]]'' di [[Cicerone]] e nella ''[[Institutio oratoria]]'' di [[Quintiliano]], con l'intento di studiare il ruolo del motto nella pratica oratoria).<ref name=ferroni321>Ferroni, 1995, cit. p. 321.</ref>
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Nella [[Letteratura romanza|tradizione romanza]], la facezia è invece collegata alla [[novella]]. Come già accadeva nel ''[[Novellino]]'', le novelle in più occasioni terminavano e si risolvevano con un motto di spirito: un personaggio si impone sugli altri o supera una situazione incresciosa attraverso l'uso dell'arguzia profusa nella parola. Tutta la sesta giornata del ''[[Decameron]]'' è dedicata all'abilità con cui vengono usati i motti di spirito ("si ragiona di chi con alcun leggiadro motto, tentato, si riscotesse, o con pronta risposta o avvedimento fuggì perdita o pericolo o scorno").<ref name=ferroni321/>
 
Non di rado, il termine "facezia" indicò una novella breve di taglio comico, il cui pretesto narrativo era scelto tra circostanze curiose o paradossali.<ref name=ferroni321/>
 
È nel [[secolo XV]] che la facezia diviene un vero e proprio genere letterario, in cui si incontrano l'indagine degli intellettuali [[Umanesimo|umanisti]] e la passione popolare (particolarmente forte nel municipio di [[Firenze]]) per il gioco di parole e per i contenuti piccanti. [[Poggio Bracciolini]] scrisse un ''[[Liber facetiarum]]'', che ebbe grande successo e a cui seguì una notevole produzione di raccolte in volgare (ad es., le ''Facezie'' di [[Ludovico Carbone]] o i ''[[Detti piacevoli]]'' di [[Poliziano]]).<ref name=ferroni321/>
 
==Note==
<references/>
 
==Bibliografia==
*[[Giulio Ferroni]], ''Storia della letteratura italiana - Dalle origini al Quattrocento'', ed. Einaudi Scuola, Milano, 1995, ISBN 88-286-0073-X