Publio Scapzio: differenze tra le versioni

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==Politica==
Come si è detto, la situazione politica era rovente; ogni pollice di terreno politicamente perso era una vittoria eclatante per la parte avversa e i patrizi non intendevano "mollare un pollice". I consoli fecero diventare "politica" la decisione, chiamarono a sostegno i senatori e tutti assieme cominciarono a trattare con gli esponenti delle tribù accampando la più classica delle scuse: "che figura ci facciamo"?
{{quote|era certo possibile che un giudice si preoccupasse anche del prorioproprio utile [...] ci si appropriava di quei territori, ma ci si rimetteva, alienandosi, con quella ingiustizia, gli animi degli alleati. |[[Tito Livio]], ''[[Ab Urbe condita libri]]'', III, 72, Newton Compton, Roma, trad.: G.D. Mazzocato| ...orare ne pessimum facinus peiore exemplo admitterent iudices in suam rem litem vertendo [...] nequaquam tantum agrum agro intercipiendo adquiratur, quantum amittatur alienandis iniuria sociorum animis.|lingua=la}}
 
Evidentemente la credibilità di Roma avrebbe ricevuto un duro colpo in politica estera e, agli occhi dei confinanti, la colpa sarebbe stata del popolo romano mentre Scapzio avrebbe ottenuto una patente di benemerito. Per quanto veri, questi ragionamenti nascondevano con tutta probabilità un altro calcolo politico: la plebe doveva essere a tutti i costi tenuta in soggezione, soprattutto quando si poteva farlo a costo zero. Il terreno, anche se conquistato, era stato dimenticato e i patrizi potevano utilizzare questa risorsa, su cui nessuno aveva fatto dei progetti, per porgere un regalo alle classi patrizie di una delle due città. Nulla vieta di pensare che già fossero in corso trattative e abboccamenti; questo era il metodo politico che consentì a Roma di legare a sé le città vicine, che permise all'Urbe di conquistare le altre e di resistere agli attacchi poi, dei [[Sanniti]] e di [[Annibale]].