Trittico dell'Umanità: differenze tra le versioni

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==Storia==
===Fonti documentarie===
Del considerevole corpus di opere di Antonio Allegri detto ildeil [[Correggio (pittore)|Correggio]] (Correggio 1489 c. – 5 marzo 1534) che un tempo adornavano gli altari della [[chiesa di Santa Maria della Misericordia (Correggio)|chiesa di Santa Maria della Misericordia]] in [[Correggio (Italia)|Correggio]], certamente, il Tritticotrittico rappresentò la più ragguardevole. Realizzato intorno al [[1523]]-[[1524]] per l’altare maggiore della chiesa, allo scopo di costituire un’ampia struttura, in grado di inglobare e riqualificare l’antica statua in terracotta della ''Madonna con Bambino'', si componeva di tre dipinti:<ref>si unaveda telail sommitalesaggio raffigurantedi unGianluca Cristo-Dio in gloria o CreatoreNicolini, e''Il dueTrittico lateralidella con leMisericordia. figureStoria di San Giovanni Battista e San Bartolomeo apostolo. Benché non sia provata una direttaun'opera adesioneperduta del Correggio alla confraternita della Misericordia'', mentre altri membri della famiglia Allegri compaiono fra i beneficiari dei suffragi della confraternita di San Sebastiano, è indubbio il legame che unì ilin ''Correggio. allaIl chiesaTrittico di Santa Maria che,della grazieMisericordia adin unaCorreggio'', serieSilvana di fortuite coincidenzeEditoriale, fu il tempio correggese ad ospitare il maggior numero di sue2011 opere</ref>.
 
A causa della dispersione di gran parte dell’archivio confraternale di Santa Maria della Misericordia inerente alla prima metà del Cinquecento, ad oggi le notizie circa i primi decenni di permanenza del Trittico all’interno della chiesa sono scarse. Sappiamo che nel [[1573]] la contessa [[Claudia Rangone]], moglie di [[Giberto XI da Correggio]], donò all’altare della Madonna della Misericordia preziosi ornamenti di cuoio lavorato, mentre nell’inventario dei beni della confraternita redatto nell’ottobre del [[1598]] si legge che la chiesa era in possesso di molte suppellettili tra le quali “''quadri cioè pitture di Nostro Signore della Madonna in tutto compresa una di rilievo n° 5''”. Il riferimento alla statua della ''Madonna della Misericordia'' è palese, mentre più generico è quello al Trittico; infatti, se si esclude la tela apicale raffigurante il Creatore, non viene fatta specifica menzione dei soggetti degl’altri quadri, in particolare dei due laterali con i santi Bartolomeo apostolo e Giovanni Battista, oltre ad altre suppellettili presenti.
'''Il ''Trittico della Misericordia'' del Correggio nelle fonti documentarie'''<ref>si veda il saggio di Gianluca Nicolini, ''Il Trittico della Misericordia. Storia di un'opera perduta del Correggio'', in ''Correggio. Il Trittico di Santa Maria della Misericordia in Correggio'', Silvana Editoriale, 2011 </ref>.
 
Per fronteggiare le crescenti incombenze economiche generate dalla gestione dell’ospitale della Misericordia, nell’autunno del 1612 i confratelli desiderosi di assecondare le aspirazioni di don Giovanni Siro da Correggio d’Austria (Correggio 1590 – Mantova1590–Mantova 1645), conte poi principe di Correggio, decisero di vendere le tele componenti il Trittico. La trattativa ebbe inizio il [[18 dicembre]] del [[1612]] con il pittore Jacopo Borbone di Novellara convocato in veste di perito estimatore delle tre tele del Correggio, ma a causa della netta opposizione alla cessione dei dipinti esercitata del vescovo di Reggio, monsignor [[Claudio Rangone]], fu necessario attendere l’intervento della Santa Sede.
 
Il [[20 novembre]] [[1613]], in seguito all’intervento del cardinale [[Scipione Caffarelli Borghese]], nipote di [[papa Paolo V,]] il vescovo di Reggio con lettera indirizzata al priore Ettore Donati forniva il proprio assenso alla vendita, formalizzata dal notaio Paolo Camillini il [[23 novembre]] successivo presso il palazzo comitale in Castelvecchio alla presenza di don Siro d’Austria, di Ercole Donati e Angelo Bernardo, subentrato a Camilli nella carica di sindaco della confraternita. Al rogito fu allegata la perizia stilata da Borbone l’anno precedente. Al posto degli originali furono definitivamente poste le copie di inferiore qualità, realizzate mesi prima probabilmente dallo stesso Jacopo Borbone, ristabilendo solo in parte l’armonico rapporto studiato dal Correggio fra i quadri e la statua della Madonna.
Le alterne vicende che portarono in pochi decenni al repentino declino della signoria dei da Correggio e alla consecutiva perdita dello stato (elevato al rango di Principato nel [[1616]]) spinsero don Siro a ricoverare parte delle proprie collezioni presso i Gonzaga di Novellara. Stando alla Cronaca Zuccardi le opere del Correggio conservate nella quadreria del principe erano cinque: le tre tele costituenti il ''Trittico'', un <nowiki>'</nowiki>''Erodiade'', un quadro raffigurante ''sanSan Cristoforo'' e un bozzetto della ''Notte'').
 
I documenti analizzati smentiscono le fantasiose ricostruzioni avanzate dello storiografo modenese Girolamo Tiraboschi nelle sue ''Notizie de' Pittori, Scultori, ecc…'', che vedevano il Trittico perito durante il [[sacco di Mantova]] operato delle truppe imperiali il [[18 luglio]] [[1630]]. È certo, infatti, che sino alla primavera del [[1634]] i preziosi dipinti dell’Allegri rimasero nel ''Casino delle Delizie'' di [[Mandriolo]], nei pressi di Correggio, per essere poi affidati al nobile Francesco Brunorio, cugino del principe di Siro, e da questi per mezzo del capitano [[Vincenzo Calcagni]], sulla base di precedenti accordi verbali, inviati il [[7 maggio]] [[1635]] al conte [[Camillo II Gonzaga]], signore di [[Novellara]], affinché li custodisse all’interno del torrione della Roccarocca dove vi rimasero per quasi un decennio. Il [[15 maggio]] del [[1638]] da Mantova il conte [[Francesco Bulgarini]], segretario del duca [[Carlo I Gonzagadi Gonzaga-Nevers]], scriveva ad [[Alessandro II Gonzaga]], conte di Novellara, chiedendogli di mostrare al pittore fiammingo [[Nicolas Régnier (Melbourne 1588 ca. – Venezia 1667),]] “''certi quadri del Signor Principe di Correggio, che si suppongono di qualche vaglia''”, affinché “''li possa subito vederli, per ritornare immediatamente ad attendere à servire i Signori Padroni''”. Nicolas Rénier, oltre ad esser un celebre pittore, esponente di spicco della cultura tardo-manierista veneta derivata dal [[Tintoretto]] e da [[Palma il Giovane]], fu uno dei principali mercanti e collezionisti d’arte della sua epoca.
 
Del considerevole corpus di opere di Antonio Allegri detto il [[Correggio (pittore)|Correggio]] (Correggio 1489 c. – 5 marzo 1534) che un tempo adornavano gli altari della chiesa di Santa Maria della Misericordia in [[Correggio (Italia)|Correggio]], certamente, il Trittico rappresentò la più ragguardevole. Realizzato intorno al 1523-1524 per l’altare maggiore della chiesa, allo scopo di costituire un’ampia struttura, in grado di inglobare e riqualificare l’antica statua in terracotta della Madonna con Bambino, si componeva di tre dipinti: una tela sommitale raffigurante un Cristo-Dio in gloria o Creatore, e due laterali con le figure di San Giovanni Battista e San Bartolomeo apostolo. Benché non sia provata una diretta adesione del Correggio alla confraternita della Misericordia, mentre altri membri della famiglia Allegri compaiono fra i beneficiari dei suffragi della confraternita di San Sebastiano, è indubbio il legame che unì il Correggio alla chiesa di Santa Maria che, grazie ad una serie di fortuite coincidenze, fu il tempio correggese ad ospitare il maggior numero di sue opere.
A causa della dispersione di gran parte dell’archivio confraternale di Santa Maria della Misericordia inerente alla prima metà del Cinquecento, ad oggi le notizie circa i primi decenni di permanenza del Trittico all’interno della chiesa sono scarse. Sappiamo che nel 1573 la contessa Claudia Rangone, moglie di Giberto XI da Correggio, donò all’altare della Madonna della Misericordia preziosi ornamenti di cuoio lavorato, mentre nell’inventario dei beni della confraternita redatto nell’ottobre del 1598 si legge che la chiesa era in possesso di molte suppellettili tra le quali “''quadri cioè pitture di Nostro Signore della Madonna in tutto compresa una di rilievo n° 5''”. Il riferimento alla statua della ''Madonna della Misericordia'' è palese, mentre più generico è quello al Trittico; infatti, se si esclude la tela apicale raffigurante il Creatore, non viene fatta specifica menzione dei soggetti degl’altri quadri, in particolare dei due laterali con i santi Bartolomeo apostolo e Giovanni Battista, oltre ad altre suppellettili presenti.
Per fronteggiare le crescenti incombenze economiche generate dalla gestione dell’ospitale della Misericordia, nell’autunno del 1612 i confratelli desiderosi di assecondare le aspirazioni di don Giovanni Siro da Correggio d’Austria (Correggio 1590 – Mantova 1645), conte poi principe di Correggio, decisero di vendere le tele componenti il Trittico. La trattativa ebbe inizio il 18 dicembre del 1612 con il pittore Jacopo Borbone di Novellara convocato in veste di perito estimatore delle tre tele del Correggio, ma a causa della netta opposizione alla cessione dei dipinti esercitata del vescovo di Reggio, monsignor Claudio Rangone, fu necessario attendere l’intervento della Santa Sede.
Il 20 novembre 1613, in seguito all’intervento del cardinale Scipione Caffarelli Borghese nipote di papa Paolo V, il vescovo di Reggio con lettera indirizzata al priore Ettore Donati forniva il proprio assenso alla vendita, formalizzata dal notaio Paolo Camillini il 23 novembre successivo presso il palazzo comitale in Castelvecchio alla presenza di don Siro d’Austria, di Ercole Donati e Angelo Bernardo, subentrato a Camilli nella carica di sindaco della confraternita. Al rogito fu allegata la perizia stilata da Borbone l’anno precedente. Al posto degli originali furono definitivamente poste le copie di inferiore qualità, realizzate mesi prima probabilmente dallo stesso Jacopo Borbone, ristabilendo solo in parte l’armonico rapporto studiato dal Correggio fra i quadri e la statua della Madonna.
Le alterne vicende che portarono in pochi decenni al repentino declino della signoria dei da Correggio e alla consecutiva perdita dello stato (elevato al rango di Principato nel 1616) spinsero don Siro a ricoverare parte delle proprie collezioni presso i Gonzaga di Novellara. Stando alla Cronaca Zuccardi le opere del Correggio conservate nella quadreria del principe erano cinque: le tre tele costituenti il ''Trittico'', un ''Erodiade'', un quadro raffigurante ''san Cristoforo'' e un bozzetto della ''Notte'').
I documenti analizzati smentiscono le fantasiose ricostruzioni avanzate dello storiografo modenese Girolamo Tiraboschi nelle sue ''Notizie de' Pittori, Scultori, ecc…'', che vedevano il Trittico perito durante il sacco di Mantova operato delle truppe imperiali il 18 luglio 1630. È certo, infatti, che sino alla primavera del 1634 i preziosi dipinti dell’Allegri rimasero nel ''Casino delle Delizie'' di Mandriolo, nei pressi di Correggio, per essere poi affidati al nobile Francesco Brunorio, cugino del principe di Siro, e da questi per mezzo del capitano Vincenzo Calcagni, sulla base di precedenti accordi verbali, inviati il 7 maggio 1635 al conte Camillo II Gonzaga, signore di Novellara, affinché li custodisse all’interno del torrione della Rocca dove vi rimasero per quasi un decennio. Il 15 maggio del 1638 da Mantova il conte Francesco Bulgarini, segretario del duca Carlo I Gonzaga Nevers, scriveva ad Alessandro II Gonzaga, conte di Novellara, chiedendogli di mostrare al pittore fiammingo Nicolas Régnier (Melbourne 1588 ca. – Venezia 1667), “''certi quadri del Signor Principe di Correggio, che si suppongono di qualche vaglia''”, affinché “''li possa subito vederli, per ritornare immediatamente ad attendere à servire i Signori Padroni''”. Nicolas Rénier, oltre ad esser un celebre pittore, esponente di spicco della cultura tardo-manierista veneta derivata dal Tintoretto e da Palma il Giovane, fu uno dei principali mercanti e collezionisti d’arte della sua epoca.
L’intensa attività diplomatica organizzata da don Siro d’Austria per riottenere i beni allodiali ed il diritto di successione al principato di Correggio per il figlio Maurizio, coinvolse direttamente i conti Gonzaga di Novellara, suoi cugini, i quali svolsero un importante e costante appoggio politico per il principe di Correggio, esule dal proprio stato ormai da diversi anni. Compromessi i rapporti con la Spagna il nuovo corso politico di Siro fu rivolto alla Francia, ed in particolare all’ambasciatore presso la corte ducale di Mantova, Francesco Bonsi conte di Vagliano, amico dei Gonzaga di Novellara.
Il [[17 maggio]] [[1644]] da Mantova, don Siro d’Austria inviava due distinte lettere, ai conti Alessandro II e Camillo II Gonzaga comunicando che avrebbe inviato Pietro Canossa, suo amministratore, a ritirare le “''mie pitture del Correggio custodite con tanta benignità dal Signor conte Camillo''”, affinché fossero portate a Mantova. Nella lettera a Camillo II, don Siro aggiungeva la raccomandazione di “''farmi insieme grazia di proteggere con la sua solita benignità questo fatto''”, segno dell’importanza della partita in corso. Tre giorni più tardi, il [[20 maggio]] 1644164[[Nome del link]]4 da Mantova il conte Francesco Bonsi, ambasciatore del re di Francia presso la corte di Carlo I Gonzaga Nevers, informava il conte Alessandro Gonzaga che un frate dell’ordine di San Francesco da Paola (forse il vicario del convento dei Minimi di Mantova) da lui incaricato sarebbe andato “a ritirare alcuni quadri del Signor Principe di Correggio che egli stesso à per le mani di vendere e che io stesso comprerò, se ci accorderemo”. La spedizione delle opere al Bonsi torva conferma in una lettera del [[24 maggio]] [[1644]] dove l’ambasciatore ringraziava il conte Alessandro II Gonzaga per aver agevolato nella sua missione il frate. Non è dato a sapere il numero delle tele vendute da don Siro d’Austria al conte Francesco Bonsi ma certamente passarono in proprietà dell’ambasciatore di Francia il ''Creatore sull'iride'' e l’''Erodiade''. Come si è detto, durante il suo primo soggiorno mantovano, nel marzo del 1638, Nicolas Régnier ebbe modo di vedere a Novellara i quadri del Correggio all’epoca di proprietà del principe Siro. Da buon mercante d’arte quale egli era, si manteneva costantemente informato su tutte le opere d’arte potenzialmente commerciabili; il pittore fiammingo era, quindi, a conoscenza dell’esistenza del Trittico e dell’Erodiade del Correggio, passati nel 1644 in mano dei conti Bonsi. Daldal giugno del 1626, Régnier risiedeva stabilmente a [[Venezia]] dove era a capo di un rinomato atelier, al cui interno si formarono i suoi quattro figli e dove trascorse migliori anni della sua brillante carriera di pittore, esperto d’arte e mercante di quadri. Grazie all’impegno di Nicolas Betel de Gremoville, ambasciatore di Francia a Venezia, nel 1646 Régnier riuscì ad ottenere la qualifica di pittore ufficiale del re di Francia, ponendo il suo operato sotto la diretta protezione del re cristianissimo con conseguenti benefici fiscali e diplomatici. Il suo campo d’azione si estendeva ben oltre i confini della Repubblica Veneta, agendo come sensale (agente) di molte corti italiane ed europee, tra le quali quella di Carlo II Gonzaga Nevers e quella di Francia. Il famoso episodio della ''Cena in casa di Simone'' di [[Paolo Veronese]], già nella [[chiesa dei Servi (Venezia)|chiesa dei Servi]] di Venezia, ed oggi esposto nel Musée National du [[Château de Versailles]], illustra in maniera significativa il ruolo chiave di Régnier come intermediario. Fu probabilmente a margine di questa importante trattativa, nella quale ampio ruolo ebbe l’abate Pietro [[Bonsi (Firenze 1631 – Monpellier 1709)]], figlio del conte Francesco e della veneziana [[Cristina Riario]], divenuto nel [[1661]] ambasciatore di Francia presso la Serenissima Repubblica, che Régnier ebbe modo di tesserne un’altra per l’acquisto delle tele del Correggio transitate in possesso della famiglia fiorentina quindici anni prima. Come spesso accade per le compravendite private, scarsa o inesistente è la documentazione in merito al passaggio di preziose opere d’arte, ma ciò non vieta di avanzare ipotesi ricostruttive su base documentaria indiretta. Nel 1663 Giustiniano Martignoni dava alle stampe la sua riedizione della Venezia città nobilissima e singolare di Francesco Sansovino, dando ampio spazio alla celebre collezione di quadri di Nicolas Régnier, grande et eccellente pittore del Rè Cristianissimo, che può vantare “una grande raccolta de quadri dei più stimati pittori del secolo passato e del presente quali meriteranno di essere descritti per la loro rarità d’uno a d’uno…” La descrizione si apre con le ultime acquisizioni della collezione: “''…è prima di mano del Correggio hà un Salvatore, posto a sedere sull’Iride, ed una Erodiade che tiene in bacile la testa di san Giovanni Battista''”. Si tratta della prima testimonianza a stampa della tela centrale del ''Trittico della Misericordia'' e della dispersa ''Erodiade'', già nelle collezioni dell’ultimo signore di Correggio. Purtroppo nulla ad oggi conosciamo della sorte occorsa ai due laterali del Trittico che con molta evidenza o non passarono in collezione Régnier, oppure furono da questi immediatamente rivenduti.
 
Come spesso accade per le compravendite private, scarsa o inesistente è la documentazione in merito al passaggio di preziose opere d’arte, ma ciò non vieta di avanzare ipotesi ricostruttive su base documentaria indiretta. Nel 1663 Giustiniano Martignoni dava alle stampe la sua riedizione della Venezia città nobilissima e singolare di Francesco Sansovino, dando ampio spazio alla celebre collezione di quadri di Nicolas Régnier, grande et eccellente pittore del Rè Cristianissimo, che può vantare “una grande raccolta de quadri dei più stimati pittori del secolo passato e del presente quali meriteranno di essere descritti per la loro rarità d’uno a d’uno…” La descrizione si apre con le ultime acquisizioni della collezione: “''…è prima di mano del Correggio hà un Salvatore, posto a sedere sull’Iride, ed una Erodiade che tiene in bacile la testa di san Giovanni Battista''”. Si tratta della prima testimonianza a stampa della tela centrale del ''Trittico della Misericordia'' e della dispersa ''Erodiade'', già nelle collezioni dell’ultimo signore di Correggio. Purtroppo nulla ad oggi conosciamo della sorte occorsa ai due laterali del Trittico che con molta evidenza o non passarono in collezione Régnier, oppure furono da questi immediatamente rivenduti.
'''Il ''Creatore sull’iride fra angeli'' dei Musei Vaticani'''
 
'''===Il ''Creatore sull’iride fra angeli'' dei Musei Vaticani'''===
 
Una delle problematiche interpretative a lungo dibattuta del Trittico della Misericordia del Correggio,è stata l’identificazione del soggetto della tela centrale. Nel corso dei secoli numerosi furono le identificazioni proposte: il ''Signore Dio Padre'', ''Cristo'', l’''Ascensione del Signore'', il ''Salvatore sull’iride'', il ''Redentore'', l’''Umanità di Cristo'', il ''Creatore sull’iride'', ''Cristo-Dio'', ''Cristo in gloria''. È evidente la diversità delle descrizioni e delle titolazioni dell’opera centrale, dovuta alle differenti interpretazioni iconografiche degli estensori dei vari documenti, segnando un destino che ha accompagnato l’opera fino ai giorni nostri, e fonte di grossolani equivoci attributivi ripresi anche dalla critica contemporanea. Anche Martignoni citando la tela conservata in collezione Régnier dovette affrontare il nodo dell’identificazione del soggetto, identificandolo come il Salvatore, compito reso ancora più difficile dalla perdita dell’unitarietà del Trittico.
La fama raggiunta dalla collezione Régnier ed il desiderio del pittore-collezionista di stabilire definitivamente la sua famiglia a Venezia, furono le cause della sua dispersione. Dapprima il pittore tentò la carta del mercato signorile, proponendo l’intera raccolta a diverse corti europee, per poi risolversi a chiedere alla Serenissima Repubblica di autorizzare una lotteria pubblica delle opere. La città, infatti, generalmente proibita tale pratica. Delle sei lotterie ufficialmente autorizzate ed effettivamente realizzate nel corso del XVII secolo a Venezia, quella del Régnier che si tenne in 4 dicembre 1666, fu l’unica a riguardare soltanto dipinti.
 
Al fine di evitare le frodi e per garantire l’autenticità dei quadri, tutte le opere furono singolarmente stimate, siglate e rinchiuse in un luogo sicuro. Infatti se si osserva la tela del ''Creatore sull’iride'' oggi esposta nella Pinacoteca Vaticana, è ancora visibile sull’angolo sinistro della tela, quanto rimane del sigillo in cera lacca apposto dai Provveditori di Comun per certificare l’opera. Data l’importanza della Lotteria, fu redatto un apposito opuscolo a stampa contiene oltre alle regole anche la descrizione dei singoli quadri. Al numero 33 si legge: "''Un Quadro di man del Correggio con sopra un Salvator Nudo posto a sedere sopra l’iride con un bellissimo panno bianco, con attorno una gloria d’Angeli, alto quarte 6 e mezza, largo 6 e meza in circa con Cornice d’Ebano''"; al numero 34 è descritta l’Erodiade: "''Un Quadro compagno del sudetto di mano del Correggio, ove è dipinta una Erodiade, quale tiene un bacile con dentro la testa di S. Gio: Battista, con appresso un manigoldo con Cornice d’Ebano, alto quarte 5 e mezza in circa, fatto in tavola largo 5 e meza''".
 
Con 6.062 biglietti emessi, a 15 lire e 10 soldi il biglietto, la Lotteria di quadri di Régnier fruttò la considerevole somma di 12.646 ducati che andò interamente a beneficio dei figli del pittore, morto meno di un anno dopo il 20 novembre del 1667 nella sua amata Venezia.
 
Benché non si conosca un elenco contenete i nomi degli aggiudicatari dei dipinti, ciò non toglie che molte opere siano identificabili, in anni successivi, all’interno di altre importanti collezioni veneziane. In particolare il ''Creatore sull’iride'' del Correggio transitò nelle mani del cavalier Antonio Barbaro, grande condottiero e governatore di Corfù. Amico del Régnier dal quale si fece fare due ritratti, Barbaro era uomo di grandi interessi culturali e di gusti raffinati sostenuti da ampie possibilità economiche.
 
Ormai prossimo alla morte e privo di discendenti, nel ottobre del 1677, Antonio Barbaro decise di nominare suo erede universale il giovane Carlo Gritti, figlio del nobil huomo Tridan Gritti, consegnandogli assieme all’intero patrimonio la primogenitura cioè la discendenza della stirpe non essendosi il Barbaro mai sposato. Il ''Creatore sull’iride tra angeli'', giunse così in possesso della famiglia Gritti di Santa Maria Zobenigo, congiuntamente agli altri beni già appartenuti al Barbaro. La tela per oltre un secolo rimase nell’abitazione di famiglia in Santa Maria Zobenigo a Venezia, per poi esser alienata nella seconda metà del XVIII secolo, per ripianare alcuni debiti contratti dai Gritti. Nel terzo quarto del Settecento la tela allegriana fu acquistata, assieme ad altri due quadri, dall’antiquario veneziano Giovan Maria Sasso (Venezia 1742-1808). Secondo quanto riferito da Giovanni Antonio Armano (Venezia 1751 – post 1823) a Luigi Pungileoni, il Sasso pagò la tela “''quattordici miserabili zecchini''”, facendo leva sullo scarso interesse dato dai Gritti al dipinto e sullo stato precario di conservazione. Poco tempo dopo l’acquisizione da parte del Sasso, la tela passò al dottor Giovan Pietro Pellegrini di Venezia, cultore di pitture antiche. Da questi nel 1782 la comperò Giovanni Antonio Armano che la tenne fino all’agosto del 1811.
 
Il 27 dicembre 1782 Armano aveva richiesto per il ''Creatore sull’iride'' una perizia all’Accademia di Belle Arti di Parma, che però rifiutò di vedervi la mano del Correggio. Non convinto dell’oggettività del parere espresso, Armano decise di restaurare il quadro asportando il pesante strato di vernice scura che ne opprimeva i colori. Cosi ripulito portò la tela a Roma dove altri esperti ed artisti, tra i quali Angelica Kauffmann, lo riconobbero come opera dell’Allegri. Anche il professore di incisione Francesco Rosaspina di Bologna fu tra gli assertori dell’autografia correggesca; il giudizio di Rosaspina in materia fu senza dubbio molto autorevole in quanto all’occhio dell’artista egli univa una conoscenza diretta dei dipinti del Correggio, di cui aveva intrapreso la traduzione grafica sin dal 1792, con il progetto di riprodurre tutte le opere parmensi del pittore.
 
La determinazione dell’Armano a studiare la tela del ''Creatore sull’iride'' lo portò nel 1786 a far tappa a Correggio in Santa Maria della Misericordia, per confrontare il quadro con la copia seicentesca allestita nell’ancona dell’altare maggiore, al posto dell’originale del Correggio. Non gli fu però possibile effettuare il confronto, poiché sia le copie sia l’ancona erano state alienate mediante pubblica asta nel novembre del 1782, all’indomani della soppressione della confraternita di San Maria della Misericordia. Nel 1789 Giovanni Antonio Armano riuscì ad acquistare dai conti Fabrizi anche la tela dei ''Quattro Santi'' del Correggio, già ospitata nell’altare Fassi in Santa Maria della Misericordia di Correggio. Si riunivano così dopo due secoli due capolavori dell’Allegri da lui dipinti per la chiesa del suo quartiere natale.
Tra l’agosto e il settembre 1811, il ''Creatore sull’iride'' e i ''Quattro Santi'' furono acquistati a condizioni di favore dal conte Ferdinando Marescalchi (Bologna 1754-1816) di Bologna, ministro di Napoleone e proprietario di una delle più grandi raccolte di opere d’arte d’Europa. Il 24 agosto 1811 il conte Marescalchi ordinava da Parigi, al suo agente di casa Giuseppe Ungarelli, di concludere l’acquisto dei due quadri. La passione di Ferdinando Marescalchi per l’arte ed in particolare per le opere del Correggio fu alla base del suo costante desiderio di ricercare documentazione che attestasse l’autenticità delle due tele, tessendo contatti e lunghi epistolari con i maggiori studiosi dell’epoca ed in particolare con il padre Luigi Pungileoni, autore delle celebri Memorie Istoriche sul Correggio.
Il 22 giugno del 1816, moriva in Bologna il conte Ferdiando Marescalchi; all’epoca la tela del Redentore era esposta nel suo palazzo di Bologna dove nel 1818 fu ammirata dal poeta inglese Percy Bysshe Shelley (Field Place, Sussex, 4 agosto 1792 – Viareggio, 8 luglio 1822) che ne rimase particolarmente colpito, tanto da ricordarlo in una sua lettera. Il progressivo dissesto finanziario della famiglia spinse il figlio Carlo Marescalchi (Bologna 1782-1868), a cercare di alienare la quadreria paterna. Nel 1824 l’intera collezione fu proposta al collezionista russo Nikolai Guriev, ma le trattative non andarono in porto; successivamente al trasferimento da Bologna a Firenze, Carlo Marescalchi tentò di vendere il ''Creatore sull’iride'' al granduca di Toscana, poi alla ditta veneziana Antonio Zen e comp. (mercanti d’arte), ma anche queste trattative non ebbero seguito, al pari di quella aperta col principe di Metternich per l’ingresso del Redentore nella galleria imperiale di Vienna.
 
L’intensa attività del Marescalchi attirò l’attenzione del cardinale camerlengo Pietro Francesco Galleffi (Cesena, 27 ottobre 1770 – Roma, 18 giugno 1837) ministro delle finanze dello Stato Pontificio. Venuto a conoscenza dell’intenzione della famiglia di alienare la celebre galleria fuori dai confini dello stato pontificio, il cardinale Galleffi diede mandato alla Commissione Generale Consultiva di Belle Arti di redigere un parere sulle opere in essa contenute; il 28 maggio 1825 la commissione giungeva al parere che ad eccezione delle due tele del Correggio (''Creatore sull’iride'' e ''Quattro Santi'') era possibile autorizzare la vendita delle altre opere fuori dai confini di stato. Il 19 luglio il camerlengo scriveva al cardinale legato di Bologna, Giuseppe Albani (Roma, 13 settembre 1750 – Pesaro, 3 dicembre 1834) pregandolo di fare peritare da tre esperti l’intera collezione Marescalchi. La risposta del legato di Bologna tardò però a giungere a Roma, tanto che il 21 marzo del 1826 il cardinale Galleffi si decise ad inviare un pressante sollecito all’eminentissimo confratello felsineo. L’attesa risposta giunse da Bologna solo il 10 aprile 1826, con allegato il parere del pittore bolognese Filippo Pedrini (1763 – 1856) incaricato dal cardinale Albani di periziare la galleria. Dalla relazione emerse che il conte Carlo Marescalchi aveva segretamente fatto trasferire nella sua residenza parigina le due tele del Correggio, con l’intento di trattare in quella piazza, molto più cosmopolita e ricca di quella bolognese, le due principali opere della sua raccolta, agevolato dai tentennamenti e dai ritardi del cardinale Legato di porre sotto controllo la galleria. La reazione del cardinale Galleffi fu durissima: applicando le leggi di tutela del patrimonio degli stati pontifici il camerlengo ordinò al cardinale Albani di porre sotto sequestro l’intera galleria e di intimare al Marescalchi di fare rientrare i due quadri da Parigi.
 
Da subito la vicenda assunse i caratteri dell’affare di Stato con la produzione di un fitto carteggio fra il camerlengato di Santa Romana Chiesa e la Nunziatura Apostolica di Parigi, amministrata dal cardinale Vincenzo Macchi (Capodimonte, 30 agosto 1770 – Roma, 30 settembre 1860). Le forti resistenze del Marescalchi ed in particolare della moglie, residente a Parigi e gelosa custode delle due tele, furono vinte da un accordo che prevedeva l’invio a Roma del ''Creatore sull’iride'' e la consecutiva autorizzazione da parte della nunziatura di Parigi alla vendita dei Quattro Santi. Il 10 febbraio 1827 giunse a Roma da Parigi la tela del Creatore; trasferita presso la sede del camerlengato a Montecitorio, su mandato del Galleffi fu eseguita una perizia che ne certificasse l’autenticità. Furono quindi incaricata la classe pittorica dell’Accademia di san Luca che raccolse nei mesi successivi numerosi pareri stilati dai principali artisti residenti a Roma. Il 20 luglio 1827 l’Accademia giungeva ad esprimere parere unanime e convinto sull’autografia correggesca del Redentore sull’iride fra angeli, assegnando il dipinto alla seconda maturità artistica del pittore, anche in rapporto alla Danae, da poco tempo entrata nelle collezioni del principe Borghese e presa come paragone.
 
Favorevoli all’autografia del Correggio si pronunciarono a seguito di perizia:
*[[Bertel Thorvaldsen, in italiano Bartolomeo, giunto a Roma decide di chiamarsi Alberto (Copenaghen, 19 novembre 1770 – Copenaghen, 24 marzo 1844)]], presidente dell’Accademia di San Luca di Roma
*Andrea Pozzi (1750 – 1833)
*Tommaso Minardi (Faenza, 4 dicembre 1787 – Roma, 12 gennaio 1871)
*Domingos António de Sequeira (Belém,10 marzo 1768 – Roma, 8 marzo 1837)
*Jean-Baptiste Joseph Wicar (Lille, 22 gennaio 1762 – Roma, 27 febbraio 1834)
*Luigi Durantini (1791 – 1857)
*Carlo Maria Viganoni (1786 – 1839)
*Giovanni Silvagni (1790 – 1853)
*Filippo Agricola (Roma, 1795 – Roma, 1857)
*Agostino Tofanelli (Lucca 1771 – 1834)
 
Dubbiosi sull’unica paternità della tela:
*Vincenzo Camuccini, talvolta indicato anche come Camucini (Roma, 22 febbraio 1771 – Roma, 2 settembre 1844), pittore e restauratore.
 
Contrari all’autografia del Correggio
*Pierre-Narcisse Guérin (Parigi 1774 – Roma 1833), direttore dell’Accademia Francese di Roma.
*Camillo Pellegrini
Nonostante gli accorati appelli del conte Carlo Marescalchi al cardinale camerlengo Galleffi, affinché si giungesse in tempi rapidi ad un accordo per la cessione allo Stato Pontificio della tela, l’affaire si protrasse fino al febbraio del [[1829]] quando, grazie alla mediazione del marchese Giovanni Battista Morando, agente del conte Marescalchi, fu conclusa la vendita. Il prezzo pattuito fu di 8.000 scudi di Roma, versati al Marescalchi in tre trance ([[1829-]], [[1830-]] e [[1831]]). Il quadrodipinto fu quindi ripulito dal restauratore [[Vincenzo Camuccini]] e collocato nel febbraio del [[1832]], dal cavalier [[Antonio d’Este (Venezia 1754 – Roma 13 settembre 1837)d'Este]], direttore della [[Pinacoteca Vaticana]], nella galleria dove ancora oggi si trova.
 
==Descrizione e stile==