Trittico dell'Umanità: differenze tra le versioni
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Per fronteggiare le crescenti incombenze economiche generate dalla gestione dell’ospitale della Misericordia, nell’autunno del 1612 i confratelli desiderosi di assecondare le aspirazioni di don Giovanni [[Siro da Correggio]] d’Austria (Correggio 1590–Mantova 1645), conte poi principe di Correggio, decisero di vendere le tele componenti il Trittico. La trattativa ebbe inizio il [[18 dicembre]] [[1612]] con il pittore Jacopo Borbone di Novellara convocato in veste di perito estimatore delle tre tele del Correggio, ma a causa della netta opposizione alla cessione dei dipinti esercitata del vescovo di Reggio, monsignor [[Claudio Rangone]], fu necessario attendere l’intervento della Santa Sede.
Il [[20 novembre]] [[1613]], in seguito all’intervento del cardinale [[Scipione Caffarelli Borghese]], nipote di
Le alterne vicende che portarono in pochi decenni al repentino declino della signoria dei da Correggio e alla consecutiva perdita dello stato (elevato al rango di Principato nel [[1616]]) spinsero don Siro a ricoverare parte delle proprie collezioni presso i Gonzaga di Novellara. Stando alla Cronaca Zuccardi le opere del Correggio conservate nella quadreria del principe erano cinque: le tre tele costituenti il ''Trittico'', un<nowiki>'</nowiki>''Erodiade'', un quadro raffigurante ''San Cristoforo'' e un bozzetto della ''Notte'').
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===Il ''Creatore'' dei Musei Vaticani===
Una delle problematiche interpretative a lungo dibattuta del Trittico della Misericordia del Correggio, è stata l’identificazione del soggetto della tela centrale. Nel corso dei secoli numerosi furono le identificazioni proposte: il ''Signore Dio Padre'', ''Cristo'', l’''Ascensione del Signore'', il ''Salvatore sull’iride'', il ''Redentore'', l’''Umanità di Cristo'', il ''Creatore sull’iride'', ''Cristo-Dio'', ''Cristo in gloria''. È evidente la diversità delle descrizioni e delle titolazioni dell’opera centrale, dovuta alle differenti interpretazioni iconografiche degli estensori dei vari documenti, segnando un destino che ha accompagnato l’opera fino ai giorni nostri, e fonte di grossolani equivoci attributivi ripresi anche dalla critica contemporanea. Anche Martignoni citando la tela conservata in collezione Régnier dovette affrontare il nodo dell’identificazione del soggetto, identificandolo come il Salvatore, compito reso ancora più difficile dalla perdita dell’unitarietà del Trittico. La fama raggiunta dalla collezione Régnier ed il desiderio del pittore-collezionista di stabilire definitivamente la sua famiglia a [[Venezia]], furono le cause della sua dispersione. Dapprima il pittore tentò la carta del mercato signorile, proponendo l’intera raccolta a diverse corti europee, per poi risolversi a chiedere alla Serenissima Repubblica di autorizzare una lotteria pubblica delle opere. La città, infatti, generalmente proibita tale pratica. Delle sei lotterie ufficialmente autorizzate ed effettivamente realizzate nel corso del XVII secolo a Venezia, quella del Régnier che si tenne in [[4 dicembre]] [[1666]], fu l’unica a riguardare soltanto dipinti.▼
Al fine di evitare le frodi e per garantire l’autenticità dei quadri, tutte le opere furono singolarmente stimate, siglate e rinchiuse in un luogo sicuro. Infatti se si osserva la tela del ''Creatore sull’iride'' oggi esposta nella Pinacoteca Vaticana, è ancora visibile sull’angolo sinistro della tela, quanto rimane del sigillo in cera lacca apposto dai Provveditori di Comun per certificare l’opera. Data l’importanza della
▲Una delle problematiche interpretative a lungo dibattuta del Trittico della Misericordia del Correggio,è stata l’identificazione del soggetto della tela centrale. Nel corso dei secoli numerosi furono le identificazioni proposte: il ''Signore Dio Padre'', ''Cristo'', l’''Ascensione del Signore'', il ''Salvatore sull’iride'', il ''Redentore'', l’''Umanità di Cristo'', il ''Creatore sull’iride'', ''Cristo-Dio'', ''Cristo in gloria''. È evidente la diversità delle descrizioni e delle titolazioni dell’opera centrale, dovuta alle differenti interpretazioni iconografiche degli estensori dei vari documenti, segnando un destino che ha accompagnato l’opera fino ai giorni nostri, e fonte di grossolani equivoci attributivi ripresi anche dalla critica contemporanea. Anche Martignoni citando la tela conservata in collezione Régnier dovette affrontare il nodo dell’identificazione del soggetto, identificandolo come il Salvatore, compito reso ancora più difficile dalla perdita dell’unitarietà del Trittico.
Con 6.062 biglietti emessi, a 15 lire e 10 soldi il biglietto, la
▲Al fine di evitare le frodi e per garantire l’autenticità dei quadri, tutte le opere furono singolarmente stimate, siglate e rinchiuse in un luogo sicuro. Infatti se si osserva la tela del ''Creatore sull’iride'' oggi esposta nella Pinacoteca Vaticana, è ancora visibile sull’angolo sinistro della tela, quanto rimane del sigillo in cera lacca apposto dai Provveditori di Comun per certificare l’opera. Data l’importanza della Lotteria, fu redatto un apposito opuscolo a stampa contiene oltre alle regole anche la descrizione dei singoli quadri. Al numero 33 si legge: "''Un Quadro di man del Correggio con sopra un Salvator Nudo posto a sedere sopra l’iride con un bellissimo panno bianco, con attorno una gloria d’Angeli, alto quarte 6 e mezza, largo 6 e meza in circa con Cornice d’Ebano''"; al numero 34 è descritta l’Erodiade: "''Un Quadro compagno del sudetto di mano del Correggio, ove è dipinta una Erodiade, quale tiene un bacile con dentro la testa di S. Gio: Battista, con appresso un manigoldo con Cornice d’Ebano, alto quarte 5 e mezza in circa, fatto in tavola largo 5 e meza''".
Benché non si conosca un elenco contenete i nomi degli aggiudicatari dei dipinti, ciò non toglie che molte opere siano identificabili, in anni successivi, all’interno di altre importanti collezioni veneziane. In particolare il ''Creatore sull’iride'' del Correggio transitò nelle mani del cavalier Antonio Barbaro, grande condottiero e governatore di [[Corfù]]. Amico del Régnier dal quale si fece fare due ritratti, Barbaro era uomo di grandi interessi culturali e di gusti raffinati sostenuti da ampie possibilità economiche.▼
▲Con 6.062 biglietti emessi, a 15 lire e 10 soldi il biglietto, la Lotteria di quadri di Régnier fruttò la considerevole somma di 12.646 ducati che andò interamente a beneficio dei figli del pittore, morto meno di un anno dopo il 20 novembre del 1667 nella sua amata Venezia.
Ormai prossimo alla morte e privo di discendenti, nel ottobre del 1677, Antonio Barbaro decise di nominare suo erede universale il giovane Carlo Gritti, figlio del nobil huomo Tridan Gritti, consegnandogli assieme all’intero patrimonio la primogenitura cioè la discendenza della stirpe non essendosi il Barbaro mai sposato. Il ''Creatore sull’iride tra angeli'', giunse così in possesso della famiglia Gritti di Santa Maria Zobenigo, congiuntamente agli altri beni già appartenuti al Barbaro. La tela per oltre un secolo rimase nell’abitazione di famiglia in Santa Maria Zobenigo a Venezia, per poi esser alienata nella seconda metà del XVIII secolo, per ripianare alcuni debiti contratti dai Gritti. Nel terzo quarto del Settecento la tela allegriana fu acquistata, assieme ad altri due quadri, dall’antiquario veneziano Giovan Maria Sasso (Venezia 1742-1808). Secondo quanto riferito da Giovanni Antonio Armano (Venezia
▲Benché non si conosca un elenco contenete i nomi degli aggiudicatari dei dipinti, ciò non toglie che molte opere siano identificabili, in anni successivi, all’interno di altre importanti collezioni veneziane. In particolare il ''Creatore sull’iride'' del Correggio transitò nelle mani del cavalier Antonio Barbaro, grande condottiero e governatore di Corfù. Amico del Régnier dal quale si fece fare due ritratti, Barbaro era uomo di grandi interessi culturali e di gusti raffinati sostenuti da ampie possibilità economiche.
Il [[27 dicembre]] [[1782]] Armano aveva richiesto per il ''Creatore sull’iride'' una perizia all’Accademia di Belle Arti di Parma, che però rifiutò di vedervi la mano del Correggio. Non convinto dell’oggettività del parere espresso, Armano decise di restaurare il quadro asportando il pesante strato di vernice scura che ne opprimeva i colori. Cosi ripulito portò la tela a Roma dove altri esperti ed artisti, tra i quali [[Angelica Kauffmann]], lo riconobbero come opera dell’Allegri. Anche il professore di incisione Francesco Rosaspina di Bologna fu tra gli assertori dell’autografia correggesca; il giudizio di Rosaspina in materia fu senza dubbio molto autorevole in quanto all’occhio dell’artista egli univa una conoscenza diretta dei dipinti del Correggio, di cui aveva intrapreso la traduzione grafica sin dal [[1792]], con il progetto di riprodurre tutte le opere parmensi del pittore. ▼
▲Ormai prossimo alla morte e privo di discendenti, nel ottobre del 1677, Antonio Barbaro decise di nominare suo erede universale il giovane Carlo Gritti, figlio del nobil huomo Tridan Gritti, consegnandogli assieme all’intero patrimonio la primogenitura cioè la discendenza della stirpe non essendosi il Barbaro mai sposato. Il ''Creatore sull’iride tra angeli'', giunse così in possesso della famiglia Gritti di Santa Maria Zobenigo, congiuntamente agli altri beni già appartenuti al Barbaro. La tela per oltre un secolo rimase nell’abitazione di famiglia in Santa Maria Zobenigo a Venezia, per poi esser alienata nella seconda metà del XVIII secolo, per ripianare alcuni debiti contratti dai Gritti. Nel terzo quarto del Settecento la tela allegriana fu acquistata, assieme ad altri due quadri, dall’antiquario veneziano Giovan Maria Sasso (Venezia 1742-1808). Secondo quanto riferito da Giovanni Antonio Armano (Venezia 1751 – post 1823) a Luigi Pungileoni, il Sasso pagò la tela “''quattordici miserabili zecchini''”, facendo leva sullo scarso interesse dato dai Gritti al dipinto e sullo stato precario di conservazione. Poco tempo dopo l’acquisizione da parte del Sasso, la tela passò al dottor Giovan Pietro Pellegrini di Venezia, cultore di pitture antiche. Da questi nel 1782 la comperò Giovanni Antonio Armano che la tenne fino all’agosto del 1811.
La determinazione dell’Armano a studiare la tela
▲Il 27 dicembre 1782 Armano aveva richiesto per il ''Creatore sull’iride'' una perizia all’Accademia di Belle Arti di Parma, che però rifiutò di vedervi la mano del Correggio. Non convinto dell’oggettività del parere espresso, Armano decise di restaurare il quadro asportando il pesante strato di vernice scura che ne opprimeva i colori. Cosi ripulito portò la tela a Roma dove altri esperti ed artisti, tra i quali Angelica Kauffmann, lo riconobbero come opera dell’Allegri. Anche il professore di incisione Francesco Rosaspina di Bologna fu tra gli assertori dell’autografia correggesca; il giudizio di Rosaspina in materia fu senza dubbio molto autorevole in quanto all’occhio dell’artista egli univa una conoscenza diretta dei dipinti del Correggio, di cui aveva intrapreso la traduzione grafica sin dal 1792, con il progetto di riprodurre tutte le opere parmensi del pittore.
Tra l’agosto e il settembre [[1811]], il ''Creatore sull’iride'' e i ''Quattro santi'' furono acquistati a condizioni di favore dal conte [[Ferdinando Marescalchi]] (Bologna 1754-1816) di Bologna, ministro di [[Napoleone]] e proprietario di una delle più grandi raccolte di opere d’arte d’Europa. Il
▲La determinazione dell’Armano a studiare la tela del ''Creatore sull’iride'' lo portò nel 1786 a far tappa a Correggio in Santa Maria della Misericordia, per confrontare il quadro con la copia seicentesca allestita nell’ancona dell’altare maggiore, al posto dell’originale del Correggio. Non gli fu però possibile effettuare il confronto, poiché sia le copie sia l’ancona erano state alienate mediante pubblica asta nel novembre del 1782, all’indomani della soppressione della confraternita di San Maria della Misericordia. Nel 1789 Giovanni Antonio Armano riuscì ad acquistare dai conti Fabrizi anche la tela dei ''Quattro Santi'' del Correggio, già ospitata nell’altare Fassi in Santa Maria della Misericordia di Correggio. Si riunivano così dopo due secoli due capolavori dell’Allegri da lui dipinti per la chiesa del suo quartiere natale.
▲Il 22 giugno del 1816, moriva in Bologna il conte Ferdiando Marescalchi; all’epoca la tela del Redentore era esposta nel suo palazzo di Bologna dove nel 1818 fu ammirata dal poeta inglese Percy Bysshe Shelley (Field Place, Sussex, 4 agosto 1792 – Viareggio, 8 luglio 1822) che ne rimase particolarmente colpito, tanto da ricordarlo in una sua lettera. Il progressivo dissesto finanziario della famiglia spinse il figlio Carlo Marescalchi (Bologna 1782-1868), a cercare di alienare la quadreria paterna. Nel 1824 l’intera collezione fu proposta al collezionista russo Nikolai Guriev, ma le trattative non andarono in porto; successivamente al trasferimento da Bologna a Firenze, Carlo Marescalchi tentò di vendere il ''Creatore sull’iride'' al granduca di Toscana, poi alla ditta veneziana Antonio Zen e comp. (mercanti d’arte), ma anche queste trattative non ebbero seguito, al pari di quella aperta col principe di Metternich per l’ingresso del Redentore nella galleria imperiale di Vienna.
L’intensa attività del Marescalchi attirò l’attenzione del cardinale camerlengo [[Pietro Francesco Galleffi
Da subito la vicenda assunse i caratteri dell’affare di Stato con la produzione di un fitto carteggio fra il camerlengato di Santa Romana Chiesa e la Nunziatura Apostolica di Parigi, amministrata dal cardinale [[Vincenzo Macchi
Favorevoli all’autografia del Correggio si pronunciarono a seguito di perizia:
*[[Bertel Thorvaldsen]], presidente dell’Accademia di San Luca di Roma
*[[Andrea Pozzi]] (
*[[Tommaso Minardi]] (Faenza, 4 dicembre
*[[Domingos António de Sequeira]] (Belém, 10 marzo
*[[Jean-Baptiste Joseph Wicar]] (Lille, 22 gennaio
*[[Luigi Durantini]] (
*[[Carlo Maria Viganoni]] (
*[[Giovanni Silvagni]] (
*[[Filippo Agricola]] (Roma,
*[[Agostino Tofanelli]] (Lucca,
Dubbiosi sull’unica paternità della tela:
*[[Vincenzo Camuccini]]
Contrari all’autografia del Correggio
*Pierre-Narcisse Guérin (Parigi,
*Camillo Pellegrini
Nonostante gli accorati appelli del conte Carlo Marescalchi al cardinale camerlengo Galleffi, affinché si giungesse in tempi rapidi ad un accordo per la cessione allo Stato Pontificio della tela, l’affaire si protrasse fino al febbraio del [[1829]] quando, grazie alla mediazione del marchese Giovanni Battista Morando, agente del conte Marescalchi, fu conclusa la vendita. Il prezzo pattuito fu di 8.000 scudi di Roma, versati al Marescalchi in tre trance ([[1829]], [[1830]] e [[1831]]). Il dipinto fu quindi ripulito dal restauratore [[Vincenzo Camuccini]] e collocato nel febbraio del [[1832]], dal cavalier [[Antonio d'Este]], direttore della [[Pinacoteca Vaticana]], nella galleria dove ancora oggi si trova.
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