Azione (filosofia): differenze tra le versioni

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{{Quote|Chiunque produce qualcosa la produce per un fine, e la produzione non è fine a se stessa (ma è relativa ad un oggetto, cioè è produzione di qualcosa), mentre, al contrario, l'azione morale è fine in se stessa, giacché l'agire moralmente buono è un fine, e il desiderio è desiderio di questo fine...Il fine della produzione è altro dalla produzione stessa, mentre il fine dell'azione no: l'agire moralmente bene è un fine in se stesso.|Aristotele, ''Ethica nicomachea''}}
L'azione propria dell'uomo veniva distinta da Aristotele (''Etica nicomachea'', libro VI) in due forme:
*la ''poièsispoíesis'' che è l'agire diretto alla produzione di un oggetto che rimane autonomo e estraneo rispetto a chi l'ha prodotto;
*la ''praxispráxis'', che riguarda un agire che ha senso di sè in se stesso. Tutte le azioni morali, positive o negative, che non sono dirette alla specifica produzione di oggetti, rientrano in questa seconda accezione, che è stata la concezione prevalente del significato del termine ''azione'' nelle lingue europee. Agire come ''pratica'', termine equivalente, in questo caso, di ''morale''.
 
Nella Scolastica, ad esempio in [[Tommaso d'Aquino|San Tommaso]], questo secondo significato dell'azione veniva espresso con ''actio immanens'', azione immanente, che trova il senso all'agire all'interno dell'agire stesso. Riportata al significato di poiesis era invece quella che veniva chiamata ''actio transiens'' per la quale l'azione ''transitava'', passava su qualcos'altro.