Sociologia del diritto: differenze tra le versioni

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Il tema del rapporto tra diritto e realtà sociale è l’oggetto di studio dell’analisi sociologica del diritto dal momento in cui il diritto non si considera più determinato sulla base di norme e principi di grado superiore, ma in rapporto alla società. Il riferimento polemico è alla [[giusnaturalismo|dottrina del diritto naturale]], rispetto alla quale la sociologia del diritto, pur condividendo il proposito dello studio di un diritto diverso da quello positivo, si distingue nettamente per la via seguita e l’oggetto prescelto. Come più volte messo in luce da [[Renato Treves|Treves]], alla via della speculazione la sociologia del diritto sostituisce la via dell’esperienza; alla ricerca di un diritto assoluto e immutabile che trova il proprio fondamento, a seconda dei tempi e degli Autori, nella natura, in dio o nell’uomo, la sociologia del diritto contrappone lo studio di un diritto relativo e variabile, indissolubilmente legato al contesto sociale. Nonostante l’attenzione riservata da alcuni autorevoli esponenti della scuola moderna del diritto naturale, quali [[Hobbes]], [[John Locke|Locke]] o [[Jean-Jacques Rousseau|Rousseau]], alle funzioni che il diritto ricopre all’interno della società (tema che rimarrà centrale nel dibattito sociologico), solo l’abbandono del razionalismo astratto e della pretesa di assolutezza della dottrina del diritto naturale a favore di una nuova sensibilità per il divenire storico e la concreta realtà sociale condurrà alla nascita della sociologia del diritto. A caratterizzare l’analisi sociologica del fenomeno giuridico è infatti, fin dagli albori, la distinzione operata a livello metodologico tra diritto come struttura normativa e società e la concezione degli stessi come due variabili legate tra loro da un nesso di interdipendenza interpretato in chiave evolutiva e controllabile empiricamente. In tale prospettiva l’evoluzione sociale è letta come aumento della complessità ed il diritto come un elemento condizionante e condizionato di questo processo di sviluppo che esso stesso favorisce nel momento in cui si adatta alle sue esigenze. È proprio questa interpretazione in chiave evolutiva del rapporto diritto-società che caratterizza le prospettive dei classici della disciplina. Senza pretesa di essere esaustivi, ne presentiamo di seguito le più note.
 
La problematica evolutiva è centrale per esempio alla teoria di [[Henry Sumner Maine|Henry J.S. Maine]] (1822-1888), il quale dimostra come lo sviluppo di sistemi sociali ad elevata complessità implichi necessariamente un allentamento della relazione tra struttura sociale e configurazione giuridica, con un venir meno del rapporto diretto tra le principali direttrici della differenziazione sociale e il diritto, a favore di un’elevata mobilità dei rapporti giuridici. Questo processo si concretizza nel passaggio dalle società di status alle società di contratto: lo [[status]] indica la condizione propria della società primitiva in cui i rapporti personali si riducono a rapporti di famiglia e la posizione degli individui, determinata dalla nascita, appare immutabile; il contratto indica invece la condizione caratteristica delle società complesse, in cui gli individui, indipendenti dal proprio gruppo, si raccolgono in associazioni volontarie e determinano con atti di volontà i propri rapporti giuridici. Il tema viene ripreso dal sociologo evoluzionista contemporaneo [[Herbert Spencer]] (1820-1903) il quale analogamente sostiene che è nel passaggio dalla società militare organizzata in regime di status al tipo di società industriale organizzata in un regime di contratto che si definisce l’evoluzione del diritto. Considerando come motore dell’evoluzione la lotta per l’esistenza che [[Charles Darwin]] aveva posto quale base della selezione naturale, Spencer attribuisce alla guerra una funzione civilizzatrice: la guerra avrebbe spinto gli uomini ad uscire dallo stato di omogeneità ed uguaglianza proprio delle società semplici, avrebbe formato le prime differenziazioni nell’organizzazione sociale specificando organi e funzioni, favorendo la creazione della struttura politica autoritaria e gerarchica che contraddistingue le società militari. A tale società in seguito subentrerà la società industriale, che invece di richiedere la subordinazione delle azioni individuali in funzione di un’azione collettiva, tenderà a promuoverle e a difenderle attraverso l’amministrazione della giustizia, espressione della volontà comune.
 
Agli stessi aspetti, ma con riferimento alla complessità del moderno sistema economico, si dedica l’analisi operata da [[Karl Marx]] (1818-1883): per l’Autore è centrale il passaggio del primato nell’attribuzione di significati sociali dalla politica all’economia. La constatazione della moderna indipendenza dei grandi processi di decisione da ogni valutazione inerente al soddisfacimento di bisogni soggettivi e locali conduce ad un’interpretazione del diritto come strumento in grado di servire la complessità sociale, assicurando un’elevata variabilità senza intaccare la struttura. Per Marx lo stato e il diritto sono da considerarsi variabili dipendenti rispetto a quella parte della società che detiene il potere, ovvero dispone della forza: essi sono una sovrastruttura rispetto alla struttura economica della società costituita dall’insieme dei rapporti di produzione all’interno dei quali gli uomini entrano indipendentemente dalla propria volontà. Il diritto, quindi, lungi dal rappresentare gli interessi di tutta la società, esprime quelli della sola classe dirigente che impone a tutta la società le norme di condotta maggiormente funzionali al proprio sviluppo.