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Nonostante i rischi per le proprie carriere, alcuni membri del Partito Comunista criticarono il fallimento dei quadri locali, considerandolo come prova del fatto che la Cina aveva bisogno di maggiore istruzione, tecnici ed esperti. Per i maoisti, i lavoratori dovevano essere "più rossi e meno esperti", seguendo i metodi di sviluppo "delle masse" invece di quelli "borghesi".<ref>Gli stessi cinesi, in particolare la propaganda, consideravano "borghesi" i tecnici, gli esperti e gli intellettuali portatori di una "cultura libresca", i quali dovevano "imparare dai contadini". Jasper Becker (''La rivoluzione della fame'', pag.62) afferma che "il messaggio di innumerevoli libri e articoli [in Cina] era lo stesso: era impossibile ottenere l'impossibile solo ignorando i consigli degli esperti pusillanimi, gli ''specialisti borghesi'' che vivevano nella loro torre d'avorio"</ref>.
 
Mao rinunciò alla carica di Presidente della Repubblica nel [[1959]], conservando quella di Presidente del Partito. Al suo posto fu eletto il moderato [[Liu Shaoqi]]. Nel [[1962]], quest'ultimo contraddisse Mao alla '''Conferenza dei settemila quadri''', affermando che il disastro economico era causato principalmente da errori umani e non da catastrofi naturali<ref>''Twentieth Century China'', terzo volume, Beijing, [[1994]], pagina 430; Jung Chang (''Cigni Selvatici'') e Mu Aiping (''Vermillion gate''): i genitori delle autrici parteciparono alla conferenza dei settemila quadri e riferirono della dichiarazione di Lu Shaoqi</ref>. Liu Shaoqi e [[Deng Xiaoping]] (Segretario Generale del Partito) si occuparono di restaurare l'economia con politiche meno radicali; il contrasto fra Mao e Liu Shaoqi sarà la principale causa della Rivoluzione Culturale del 1966.
 
== Interpretazioni ==