Communitas Siciliae: differenze tra le versioni
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[[File:Louis9+Cardinal Simon.jpg|thumb|upright=1.3|Il cardinale [[Martino IV|Simon de Brion]], futuro [[Martino IV]], incontra [[Luigi IX di Francia|Luigi IX]], [[re di Francia]] e fratello di [[Carlo I d'Angiò]]]]
La '''''Communitas Siciliae''' more civitatum Lombardiae et Tusciae'' (''Comunità siciliana, alla maniera delle città di [[Lombardia]] e [[Tuscia]]''<ref>"Delle città libere di Lombardia e Toscana", riferimento ai [[Comune medievale|liberi comuni]] della Lombardia (inteso anche come [[coronimo]] medievale per indicare, più in generale, l'[[Italia settentrionale|Italia del nord]]) e della Toscana (Tuscia,
== Prodromi ==
Ebbe luogo nel [[1282]], nel frangente storico dei [[Vespri siciliani]], la violenta e sanguinosa rivolta anti-[[Carlo I d'Angiò|angioina]] deflagrata sull'isola il 31 marzo di [[1282|quello stesso anno]]. I suoi promotori si proponevano di dotare la Sicilia di
La ''Communitas'' fu espressione di una eterogenea aggregazione in cui confluirono gruppi disparati, provenienti anche da sponde tradizionalmente contrapposte: vi era rappresentata la nobiltà [[Guelfi|guelfa]] filo-[[Angioini|angioina]] ma anche
Il progetto di una [[Stato federale|federazione]] di [[comune medievale|liberi comuni]] alla maniera [[Lega Lombarda|lombarda]] e [[Storia della Toscana|toscana]] si rivelò, in brevissimo tempo, un'aspirazione improvvisata, velleitaria e politicamente insostenibile, destinata fin dall'inizio, in maniera facilmente prevedibile, a naufragare di fronte all'opposizione espressa dal connubio politico costituito tra il papa [[Francia|francese]] [[Martino IV]], eletto al soglio di Pietro appena l'[[1281|anno prima]], il [[Regno di Francia]], da cui Martino proveniva, e [[Carlo I d'Angiò|Carlo d'Angiò]], fratello del [[re di Francia]] [[Luigi IX di Francia|Luigi IX]]: questa avversione pose fine alle velleità autonomiste e favorì le aspirazioni della componente ghibellina, già esule sotto il dominio francese, i cui esponenti perorarono la "soluzione dinastica" della rivolta,
== Contesto storico ==
L'esperienza politica coinvolse un nucleo di città, esclusivamente della [[Isola di Sicilia|parte insulare]] del [[Regno di Sicilia]], che si raccolsero in ''Parlamento generale'' nella città di [[Messina]]: giurando solennemente fedeltà e sottomissione alla [[Chiesa cattolica]], affermarono il rifiuto di nuove sottomissioni a un re straniero, dichiarandosi al contempo una confederazione di [[libero comune|liberi comuni]], alla maniera delle realtà civiche fiorite nell'[[Italia medievale]] [[Italia centrale|centro]]-[[Italia settentrionale|settentrionale]].▼
▲L'esperienza politica coinvolse un nucleo di città,
L'aver posto la costruzione autonomistica sotto l'egida della Chiesa rivelava l'improvvisazione dell'iniziativa: doveva essere risaputo, infatti, come il papa dell'epoca, [[Martino IV]], eletto l'anno prima, al principio del 1281, intrattenesse un antico e consolidato rapporto politico con il [[Regno di Francia]] (lui stesso era francese) e con [[Carlo I d'Angiò]], a cui lo univa un legame così forte da trascendere in una sorta di sudditanza politica. Alla solidità del connubio personale e politico con l'angioino, si aggiungeva la diffidenza del papa, anche questa prevedibile da parte dei fautori della ''Communitas'', nei confronti dell'[[Vespri siciliani|insurrezione del Vespro]] e dei trascorsi [[ghibellini]] della nobiltà e del popolo siciliano.▼
▲L'aver posto la costruzione autonomistica sotto l'egida della Chiesa rivelava l'improvvisazione dell'iniziativa: doveva essere risaputo, infatti, come il papa dell'epoca, [[Martino IV]], eletto l'anno prima, al principio del [[1281]], intrattenesse un antico e consolidato rapporto politico con il [[Regno di Francia]] (lui stesso era francese) e con [[Carlo I d'Angiò]], a cui lo univa un legame così forte da trascendere in una sorta di sudditanza politica. Alla solidità del connubio personale e politico con l'angioino, si aggiungeva la diffidenza del papa, anche questa prevedibile da parte dei fautori della ''Communitas'', nei confronti dell'[[Vespri siciliani|insurrezione del Vespro]] e dei trascorsi [[ghibellini]] della nobiltà e del popolo siciliano.
La riuscita della partita in gioco, infatti, dipendeva essenzialmente dal consenso della Chiesa, ma l'affidamento della ''Communitas'' al volere del papato, e la sua sottomissione (più nominale che sostanziale), non rendevano meno arduo il nodo politico da sciogliere.
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Si rese necessario ricercare appoggio altrove, in un soggetto politico monarchico disposto a proporsi in chiave anti-angioina: si profilò allora la figura di [[Pietro III d'Aragona|Pietro III]], [[re d'Aragona]] e [[conte di Barcellona]], candidato naturale degli esuli ghibellini [[legittimismo|legittimisti]] fedeli alla [[Hohenstaufen|dinastia sveva]] per una soluzione dinastica del complesso nodo politico creatosi: Pietro il Grande, infatti, poteva accampare diritti sul regno di Sicilia per aver sposato [[Costanza di Hohenstaufen]], figlia di [[Manfredi di Sicilia|Manfredi]] e ultima discendente di [[Federico II di Svevia]].
Le conseguenze di questo evento sarebbero state enormi per il futuro del [[Regno di Sicilia]]: ne sarebbe scaturito, infatti, un vero e proprio conflitto politico fra Siciliani e [[Aragonesi]] da una parte
== La parabola della ''Communitas Siciliae'' e la metamorfosi del Vespro ==
La stagione della ''Communitas Siciliae'' si esaurì in fretta, mentre rapida si consumava anche quella del Vespro, la cui parabola politica declinante si sarebbe misurata, presto, con la caduta di molte delle attese e delle speranze che aveva saputo suscitare: lo sviluppo degli eventi, in una sorta di [[eterogenesi dei fini]], avrebbe travolto anche protagonisti di primissimo piano, come, ad esempio, tutti e tre gli ispiratori siciliani della rivolta del Vespro: [[Alaimo da Lentini]], infatti, avrebbe subito un destino di prigionia conclusosi con la [[mazzeratura]] presso l'[[Isola di Marettimo]], mentre una fine infausta avrebbe falciato [[Gualtieri di Caltagirone]], giustiziato nel 1283 proprio per mano del [[Gran Giustiziere del Regno di Sicilia|Gran Giustiziere]] Alaimo; il terzo siciliano<ref>Il quarto leader dei Vespri siciliani, [[Giovanni da Procida]], era infatti [[Salerno|salernitano]] e non siciliano</ref>, [[Palmeri Abbate]], sarebbe caduto in disgrazia e guardato con sospetto, messo in disparte per presunta [[Tradimento (reato)|intelligenza col nemico]]<ref name="S. Tramontana, 44">[[Salvatore Tramontana]], ''Gli anni del Vespro: l'immaginario, la cronaca, la storia'', 1989 p. 44</ref><ref name="S. Runciman, 329">[[Steven Runciman]], ''I vespri siciliani'', 1997, p. 329</ref>.
La precisa coscienza di quella imprevista metamorfosi può cogliersi nelle amare parole con cui l'[[avventuriera]] [[Macalda di Scaletta]], reclusa, stigmatizzava dal carcere la piega inattesa assunta dagli eventi<ref name="S. Tramontana, 44"/>, rivolgendosi a [[Ruggero di Lauria]], ammiraglio italiano al servizio degli aragonesi<ref>[[Andreas Kiesewetter]], [http://www.treccani.it/Portale/elements/categoriesItems.jsp?pathFile=/sites/default/BancaDati/Dizionario_Biografico_degli_Italiani/VOL64/DIZIONARIO_BIOGRAFICO_DEGLI_ITALIANI_Vol64_018781.xml {{Maiuscoletto|LAURIA}}, Ruggero], in ''[[Dizionario Biografico degli Italiani]]'', Vol. LXIV (2005)</ref>, venuto a farle visita in carcere per rivendicare il feudo di Ficarra che egli rivendicava. Apostrofando fieramente l'ammiraglio, Macalda esprimeva così la propria amarezza:
{{Citazione|Ecco come siamo rimeritati da Pietro vostro Re. Noi lo abbiam chiamato e fattolo nostro compagno non già nostro Signore; ma egli, recatosi in mano il dominio del [[Regno di Sicilia|regno]], noi suoi sozii tratta siccome servi|[[Bartolommeo di Neocastro]], ''[[Historia Sicula]]'', cap. <small>XCI</small>}}
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{{Vespri siciliani}}
{{Portale|Due Sicilie|Medioevo|politica
[[Categoria:Vespri siciliani| ]]
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