Castello Cantelmo (Alvito): differenze tra le versioni

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Il '''castello Cantelmo''' di [[Alvito (Italia)|Alvito]] è un'antica [[fortezza]] della [[valle di Comino]], territorio della [[provincia di Frosinone]] a confine con l'[[Abruzzo]] e il [[Molise]]. È posto sulla cima di un colle sovrastante la [[piana d'Alvito]], che si sviluppa in direzione nord-est sud-ovest, dove è ubicato anche l'abitato di Castello, frazione ''[[intramoenia]]'' di Alvito e centro di fondazione dell'attuale città, uno dei primitivi abitati sorti dopo il disfacimento della benedettina Civita di Sant'Urbano<ref>In località Colle della Civita, presso l'imbocco della Val Di Rio, dove passava la via per [[Pescasseroli]] e l'[[Alto Sangro]], esisteva una città medievale, chiamata Sant'Urbano, fondata dagli abati di [[Montecassino]], di cui oggi restano pochissime tracce.</ref>. Dagli [[Anni 1990|anni novanta]] è di proprietà del Comune di Alvito, che sta provvedendo a ricostruirlo nelle parti andate, col tempo, distrutte, e a riconsolidare quanto rimasto, per promuovervi incontri culturali e manifestazioni sociali. È anche conosciuto col nome di "castello di Alvito", benché amministrativamente si indichi in tal senso l'intera frazione alvitana in cui è sito il maniero.
[[File:Alvito Castello.jpg|upright=1.8|thumb|''Alvito Castello'' nei primi del '900]]
== Storia ==
 
== Storia ==
==== L'incastellamento di Sant'Urbano e la nascita di Alvito ====
{{Vedi anche|Incastellamento|Economia curtense}}
La città di Alvito è strutturata su più livelli, lungo una delle propaggini meridionali del monte Morrone, su di una cima minore conosciuta un tempo come [[monte de Albeto]] o Serra de Albeto<ref>''Cronicon'' p. 108 (483).</ref>. L'attuale assetto urbano è il risultato di un insediamento progressivo e diffuso, iniziato nell'[[XI secolo]], che interessò tutto il territorio della città di [[Civita di Sant'Urbano|Sant'Urbano]], un antico centro amministrativo cominese, fondato dall'abate [[Aligerno (abate)|Aligerno]] di [[Montecassino]] nel 976<ref>Antonelli D., ''Alvito dalle origini al sec. XIV. Nella ricorrenza del IX Centenario della fondazione della Città (1096-1996)'', Printhouse, Castelliri 1999, p. 49; Idem, ''Abbazie, prepositure e priorati benedettini nella diocesi di Sora nel medioevo (secc. VIII - XV)'', Pasquarelli ed., Sora 1986, p. 128, n. 314.</ref>, là dove oggi una contrada è detta ''Colle della Civita''. Nello stesso luogo esisteva già una ''Civita Sancti Urbani''<ref>«''De loco sancti Urbano ubi fuid ipsa cibitate''». Leccisotti T. (a cura di), ''Abbazia di Monte Cassino. I regesti dell'archivio, VII'', Roma 1972, p. 235, n. 1365.</ref>, che fu probabilmente distrutta dai [[Saraceni]] sulla fine del [[IX secolo]], quando con i loro eserciti saccheggiarono e devastarono la [[Terra di San Benedetto]]<ref>Antonelli D., ''Alvito dalle origini'', cit., pp. 49 e 51.</ref>, e Aligerno, passato il pericolo arabo, s'interessò della sua riedificazione, commissionando in loco la costruzione di un castello<ref>Leccisotti T., ''op. cit.''.</ref>. L'opera si inseriva nel piano di riappropriazione territoriale della [[Terra di San Benedetto]], portato avanti dall'abate, che aveva diretto il ritorno dell'abbazia nella sua naturale sede cassinate dopo il cosiddetto «esilio di Teano»<ref>Dell'Omo M., ''Montecassino. Un'abbazia nella storia'', Arti Grafiche Amilcare Pizzi, Cinisello Balsamo 1999, p. 28-29.</ref>. Alcuni nobili di [[Vicalvi]] ottennero il permesso di costruire la [[fortificazione]], su un colle presso la strada che dalla [[Valcomino]], per [[Pescasseroli]], portava negli Abruzzi; l'opera si inseriva in un sistema di interventi territoriali frequenti nella [[Terra di San Benedetto]], successivi alle invasioni dei Saraceni. Così fu pianificato anche un insediamento di coloni, come già altrove nel [[Lazio meridionale]], secondo il sistema produttivo delle ''[[Corte (storia)|curtes]]'', l'antica base sociale ed economia della [[Terra di San Benedetto]]<ref>Sennis A., ''Un territorio da ricomporre: il Lazio tra i secoli IV e XIV'', in «''Atlante storico-politico del Lazio''», [[Casa editrice Giuseppe Laterza & figli|Laterza]], Roma-Bari 1996, p. 47.</ref>. La nuova fondazione però non assicurò vita duratura al borgo: a causa dell'incremento demografico che si verificò nell'area alla fine dell'[[XI secolo]]<ref>Toubert P., ''Les structures du Latium médiéval. Le Latium méridional et la Sabine du IX siècle à la fin du XII siècle'', Roma 1973, p. 353.</ref> il centro fu presto abbandonato, perché il castello non riuscì mai ad integrare la realtà urbana nello spazio agricolo circostante<ref>''Ivi'', pp. 364-365.</ref><ref>Antonelli D., ''Alvito...'', cit., p. 109.</ref>, e gli abitanti si insediarono stabilmente nelle località dove erano concentrate le principali attività agricole del territorio, specialmente ''[[Santa Maria del Campo (Alvito)|Santa Maria del Campo]]'', ''Sant'Onofrio'' e, presso l'abitato di Alvito, ''La Valle''<ref name="Ibidem">''Ibidem''.</ref>. [[File:Topografonomastica Alvito.jpg|upright=2|left|thumb|Panorama di Alvito. La struttura diffusa dell'insediamento, che degrada lungo un colle dalla cima ai piedi, negli abitati di ''Castello'', ''Peschio'', ''La Valle'' e ''San Nicola'', sopravvive ancora oggi]] L'intervento di ricostruzione giovò comunque a [[Montecassino]]: il cenobio campano incoraggiò il ripopolamento della montagna fra l'[[Alto Sangro]] e la [[Terra di Lavoro]], dove istituì i più importanti centri di produzione, per il sostentamento dei monaci dell'abbazia, al contempo disponendo di autonomia economica e consolidando il confine settentrionale del [[principato di Capua]] e le propaggini della [[diocesi di Sora]] nel territorio marsicano.<ref>Antonelli D., ''Abbazie, prepositure e priorati benedettini nella diocesi di Sora nel medioevo (secc. VIII - XV)'', Pasquarelli ed., Sora 1986, p. 33-34.</ref><ref>L'opera di incastellamento finanziata dagli abati di Montecassino interessò particolarmente i valichi fra l'[[Alto Sangro]] e la [[Val di Comino]]; ogni passaggio fra i [[Monti della Meta]] era controllato da una fortificazione: ''Sant'Urbano'' sulla via della ''Val Lattara'', ''San Donato'' sulla via di ''Forca d'Acero'', ''Settefrati'' e ''Picinisco'' sulla via di ''[[Santuario di Canneto|Canneto]]'' e ''Saracinisco'' sulla via del ''Valico Venafrano''.</ref>
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==== Alvito e gli Angioini ====
Una sorta di processo di riunificazione patrimoniale nel [[Mezzogiorno (Italia)|Mezzogiorno]] continuò con la dinastia sveva. [[Federico II di Svevia|Federico II]] ereditò il [[Regno di Sicilia]] e portò avanti la politica centralista normanna. Il partito che lo sosteneva e che si interessò anche di riformare il sistema politico e giuridico italiano, si dovette scontrare con i diritti e i privilegi delle città della Penisola. Dal [[1230]] il paese fu sconvolto da una feroce guerra, che ebbe termine solo con la [[Battaglia di Benevento (1266)|battaglia di Benevento]] e la sconfitta dei [[ghibellini]], compresi i [[D'Aquino (famiglia)|d'Aquino]], sostenitori di [[Manfredi di Sicilia|Manfredi]]. Di conseguenza anche i feudatari d'Alvito, [[Tommaso II d'Aquino]], Giacomo e Adenolfo II, vennero espropriati dei loro beni, e a nobili francesi, che combatterono a fianco di [[Carlo I d'Angiò|Carlo d'Angiò]] contro gli svevi, fu assegnato il territorio cominese<ref>Franco de Wassemal prima, poi Esustasio de Faylle e quindi Pietro de Cronay e Goffredo de Jamville ebbero [[San Donato Val di Comino|San Donato]] e [[Settefrati]]; altri territori ebbe Guglielmo Maccaris, Atina andò a Ottone de Tremblay, mentre Casalvieri toccò a Ugone de Lica, nel 1269. Da ''Registri Angoini'', 1969, XXVII, p. 163, n. 222 e p. 288 n. 211.</ref><ref>Tauleri B., ''Memorie istoriche della città di Atina'', pp. 112-113, in Mancini A., «''La storia di Atina. Raccolta di scritti vari''», Forni ed., Sala Bolognese 1994.</ref>. L'intera [[Valle di Comino|Valle]] risultò variamente frammentata e agli Aquinati, che pur conservavano un certo prestigio politico in [[Terra di Lavoro]], restò la sola Gallinaro<ref>Mazzoleni J. (a cura di), ''I registri della cancelleria Angioina'', Napoli 1949-1971, XXII, p. 40.</ref>. Dal 1270 pare che abbiano perso anche il castello di Alvito<ref>Castrucci F.S., ''op. cit.'', pp. 27-28.</ref>. Solo con la venuta di un nuovo re ebbero fine le loro sventure e il feudo per breve tempo si giovò di un'amministrazione prospera. Adenolfo II D'Aquino ([[1293]]), [[conte di Acerra]], qualche anno dopo le dure perdite subite dai suoi predecessori, riconquistò il favore del nuovo re, [[Carlo II d'Angiò|Carlo II]], che era succeduto a [[Carlo I d'Angiò]]. Costui riebbe [[Campoli Appennino|Campoli]], [[San Donato Val di Comino|San Donato]], [[Settefrati]] e il ''fortilicie castri Albeti'', nuova denominazione con cui si indicò [[Alvito (Italia)|Alvito]], che lascia supporre che nel frattempo vi era sorto un castello vero e proprio<ref>Antonelli D., ''op. cit.'', p. 195-196.</ref><ref>[[Domenico Santoro|Santoro D.]], ''Pagine sparse di storia Alvitana'', vol. I, Tip. Jecco, Chieti 1908, pp. 9-10.</ref>. ''Fortilicium'' è, infatti, il termine con cui nel medioevo si indicavano specificatamente i castelli.<ref name="Antonelli 195-196">Antonelli D., ''op. cit.'', pp. 195-196.</ref> Il maniero in quegli anni è descritto come un edificio in buone condizioni, ampiamente munito di armi e adeguatamente approvvigionato dei prodotti del circondario ([[vino]], [[grano]], [[Panicum miliaceum|miglio]], [[spelta]])<ref>Santoro D., ''op. cit.'', pp. 9-10.</ref> anche perché nelle lotte tra guelfi e ghibellini, trattandosi di una fortezza di confine fra lo Stato Romano e il Napoletano, aveva acquisito sempre maggior importanza territoriale e politica<ref> name="Antonelli D., ''op. cit.'', pp. 195-196.<" /ref>. [[File:Vicalvi.JPG|upright=1.6|left|thumb|L'abitato e il [[castello di Vicalvi]]]]
 
==== La fine del dominio dei d'Aquino ====
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{{Vedi anche|Cantelmo}}
Dall'arrivo degli angioini nel [[regno di Napoli]] non esistevano più le grosse signorie baronali, alcune delle quali retaggio dell'antica [[Regno longobardo|dominazione longobarda]]. Ogni città aveva il suo signore, generalmente di origine francese, e ricostruire le unità territoriali delle regioni storiche meridionali fu impresa ardua, spesso impossibile. Nell'area a cavallo fra l'[[Abruzzo]] montano e l'alta [[Terra di Lavoro]] si insediò la famiglia francese dei [[Cantelmo (famiglia)|Cantelmo]], che qui ebbero in concessione diverse città dai sovrani di [[Napoli]], ricoprendo poi anche cariche amministrative e burocratiche nei [[giustizierato|giustizierati]] abruzzesi e campani.<ref>Santoro D., ''op. cit.'', vol. I, p. 49.</ref> A svantaggio dei D'Aquino, la famiglia francese accrebbe notevolmente il suo patrimonio, e compare per la prima volta anche nella storia di Alvito, grazie a dei matrimoni combinati dapprima fra Giovanni Cantelmo, figlio di [[Giacomo II Cantelmo|Giacomo II]], con [[Etendard|Angela Étendard]], signora di [[Arpino]], [[Roccasecca]], [[Gallinaro]] e [[San Donato Val di Comino|San Donato]], e quindi fra [[Rostaino II Cantelmo|Rostaino II]] e Margherita di Corban, vedova di [[Adenolfo d'Aquino]] signore di Alvito<ref name="Ibidem"/>. Anche l'unità territoriale cominese era stata perduta; gli [[Stendardo (famiglia)|Étendard]] di Arpino, infatti, avevano ottenuto diversi borghi della [[Valcomino|Valle]]<ref>Vincenti P., ''Historia della famiglia Cantelma'', Napoli 1604, p. 33.</ref>, e i D'Aquino non erano più in grado di tutelarvi i propri interessi economici e territoriali, né il bene comune dei locali abitanti. [[Rostaino Cantelmo]], figlio di [[Rostaino II Cantelmo|Rostaino II]] e nipote diretto dei d'Aquino morti nel terremoto del [[XIV secolo]], per via della zia [[Giovanna Cantelmo|Giovanna]], non poté non approfittare di questa confusione amministrativa e, ereditata la proprietà del castello, si preoccupò della sua ricostruzione. Rostaino edificò anche una cinta muraria nuova per Alvito e il palazzo ducale di [[Atina]], ultima residenza nobiliare dopo i crolli del [[XIV secolo|1300]]<ref>Altri membri della famiglia [[Cantelmo (famiglia)|Cantelmo]] avevano Rostaino per nome; perciò per anni si è fatta molta confusione su chi fosse il proprietario del [[Castello di Alvito]], su chi ne avesse finanziato la ricostruzione, sulla consistenza del patrimonio alvitano della famiglia francese e sulla linea di successione. Il [[Domenico Santoro|Santoro]] riporta una serie di documenti che fanno pensare che il Rostaino, primo feudatario dei Cantelmo di Alvito, sia il figlio di [[Rostaino II Cantelmo|Rostaino II]] e Margherita di Corban, vedova di Adenolfo II signore d'Alvito e che quindi, morto senza eredi, abbia indirettamente lasciato il patrimonio al suo pronipote Rostaino, nipote diretto di [[Giacomo II Cantelmo|Giacomo II]], giustiziere d'Abruzzo. Cfr. Santoro D., ''op. cit.'', vol. I, pp. 56-60.</ref>, assicurandosi il controllo di quello che allora era il centro più importante della zona. I lavori iniziarono nel [[1350]] e furono completati probabilmente da [[Giacomo III Cantelmo|Giacomo III]]<ref>Reggente dei tribunali del regno. Mancini A., ''Famiglia Cantelmo'', in «''La storia di Atina''», cit., p. 691.</ref>, anche se in alcuni documenti sembra che in realtà l'erede del castello fosse il fratello Rostaino. Da alcuni manoscritti infatti, risulta che costui, usurpati ''manu militari'' i feudi dei [[D'Aquino (famiglia)|D'Aquino]] nella [[Valcomino]], fu multato dal re [[Carlo III di Napoli|Carlo III]] e ancora, a seguito di una ribellione, pare, secondo altre fonti, che per le stesse ragioni gli furono alienate delle proprietà a [[Napoli]]<ref>L'identificazione di questo Rostaino è rafforzata proprio da alcune fonti che ricordano i suoi possedimenti a Napoli. Dice il Vincenti: «Rostainuccio hebbe un assai ricco palazzo nella piazza d'Arco di Napoli, là dove si dice capo di Trio, nel qual luogo erano le case di Rostaino Cantelmo, zio di costui». Evidentemente è lui il Rostaino a cui vennero confiscati i beni, lui il ribelle e lui il nemico dei D'Aquino, almeno il più intemperante. Cfr. Santoro D., ''op. cit.'', vol. I, pp. 59-62.</ref>. I nobili francesi avevano comunque sconfinato dall'Abruzzo in Terra di Lavoro e avevano compiuto il primo passo verso la riunificazione dell'antico feudo cassiense tra [[Alto Sangro]] e Valcomino. [[File:Palazzo Ducale Cantelmo di Atina.JPG|left|thumb|Il palazzo ducale di [[Atina]] costruito da Rostaino e Giacomo III.]]
{{citazione|Allorché un terremoto mise in pericolo varie parti del Regno, queste annose mura ruinarono e caddero interamente al suolo. Tuttavia Rostaino Cantelmo, chiaro pel nome illustre degli avi, le rifece più belle ed eresse un nuovo Castello e nuove mura. Ma più ancora gli dà rinomanza e gli assicura imperitura fama l'invitta costanza onde mantiene la sua fedeltà. Quando, a difesa del Re d'Ungheria, soldatesche nemiche invadevano il Regno, egli, incurante della sua stessa salute, di danni e di spese personali, serbò a viso aperto la sua onesta promessa. Per tanti meriti il Re e la Regina gli donarono questo Castello che, per la morte di Adenolfo, era rimasto privo del suo Signore. Se chiedi quando ciò accadesse, aggiungi a cinquanta mille e trecento: l'anno in cui il Giubileo aprì le porte del Cielo a tutti i cristiani; se domandi del fondatore, il suo nome è Landolfo.|lingua = la|Antica lapide presso il castello, oggi non più esistente|Dum tremor in terris fuit et generale periclum per varias Regni partes, haec moenia prorsus sunt aequata solo, dederunt annosa ruinam. Ristaysius tamen in melius Vir nobilis ille Guantelmus egregio priscorum Patrum restituit, Castrumque novum nova moenia fecit. Nec minus invictae fidei custodia clarum nunc facit et longe servat praeconia famae. Ungariae Regi, dum Regnum invaderet hostis, publicus iste fuit promissi cultor honesti, nec sibi, nec damnis parcens, nec sumptibus ullis. Huic pro tot meritis Rex et Regina dederunt hoc Castrum, quod tunc Adenulfi morte vacarat. Tempora si quaeris, millenos atque tricenos quinquaginta dabis, coeli dum libera cunctis Ostia christicolis annus iubilaeus habebat. Si petis artificem, Landulfus sit tibi nomen.|lingua = la}}
 
Al [[XIV secolo]] risale la costruzione degli edifici principali, e non essendo più rinvenibile traccia alcuna di strutture preesistenti, è evidente che il maniero fu raso al suolo completamente. All'epoca fu edificata una struttura a pianta quadrata con una torre per ogni angolo<ref>Santoro L., ''Castelli angioini e aragonesi nel Regno di Napoli'', Milano 1982, pp. 128-129, 222-223 e 225.</ref>. Nello stesso periodo i signori di Alvito si interessarono anche del rafforzamento del castello di [[Picinisco]]<ref>Antonelli D., ''Il Castello medievale di Picinisco'', C & V Published, Sora 1997, pp. 57-58.</ref>. Un'interpretazione più recente dell'Antonelli vuole che in realtà prima del terremoto non vi fosse alcuna fortezza e che il ''castrum'' distrutto dal terremoto doveva essere l'intero abitato di Alvito Castello; Rostaino si interessò quindi sia dell'innalzamento di un vero e proprio maniero (''fortilicium'') sul colle di Alvito, che della pianificazione di un nuovo centro abitato, obbedendo in parte ai modelli di incastellamento angioini, in parte alle strutture degli antichi sistemi difensivi rurali normanni<ref>Antonelli D., ''Alvito dalle origini...'', cit., pp. 260-267.</ref>.