Arbegnuoc: differenze tra le versioni

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In realtà la vera repressione non era ancora iniziata; il maresciallo Graziani, apparentemente convinto, sulla base delle superficiali indagini giudiziari svolte in fretta dalle autorità, che l'attentato fosse opera di un vasto gruppo di opposizione etiopico coinvolgente gran parte delle personalità superstiti della dirigenza abissina, diede inizio il 26 febbraio alla sistematica fucilazione degli esponenti più importanti della resistenza già sottomessi o catturati in precedenza<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 89-91}}</ref>. In pochi giorni furono quindi uccise personalità della cultura, ex-funzionari, gli ultimi cadetti di Oletta, giovani ufficiali ''arbegnuoc'' come Keflè Nasibù, Belai Haileab e Ketema Bechà, capi prestigiosi come [[Bellahu Deggafù]], ritenuto il principale capo del complotto<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 92-93}}</ref>. Subito dopo il maresciallo Graziani, sulla base anche delle direttive provenienti da Roma, estese ulteriormente l'azione di repressione; dal 19 marzo, con l'approvazione del ministro Lessona, il viceré procedette all'arresto di tutti i cantastorie, stregoni e indovini, considerati diffusori di notize false e suscitatori di idee "pericolose per l'ordine pubblico", che vennero subito brutalmente "passati per le armi"<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 98-99}}</ref>. Il numero dei fucilati crebbe costantemente nei mesi dell'estate 1937; le azioni di violenza spessero si svolsero senza alcuna norma legale, nella confusione, sulla base di direttive generali che disponevano la distruzione dei villaggi e l'eliminazione soprattutto dell'etnia amahra, anche in assenza di segni di ostilità verso l'occupante o della presenza di combattenti ''arbegnuoc''; alcuni ufficiali italiani mostrarono grande durezza nelle operazioni repressive; in particolare il generale [[Pietro Maletti]] che affermò di aver messo "a ferro e fuoco" lo Scioa<ref>{{cita|Del Boca|vol. III, pp. 99-102}}</ref>.
 
Il culmine delle violenze venne raggiunto a maggio 1937 con i tragici eventi della [[strage di Debra Libanos]]; informato di una presunta collaborazione della [[Copti|chiesa copta]] con gli autori dell'attentato, il maresciallo Graziani decise di colpire il luogo sacro di [[Debra Libanos]] dove il generale Pietro Maletti tra il 20 e il 25 maggio 1937 arrestò e fece fucilare{{F}} 1500-2000 tra preti, monaci e diaconi; vennero brutalmente uccisi anche giovani di 12-13 anni e il 26 maggio nella vicina Engecha furono fucilati altri 500 ragazzi in un primo tempo risparmiati<ref>{{cita|Dominioni|pp. 179-180}}</ref>. Oltre alle fucilazioni in massa e alle distruzioni di villaggi, le misure repressive del maresciallo Graziani, pienamente condivise da Mussolini e Lessona, prevedevano anche la deportazione di capi e notabili e l'organizzazione di campi di concentramento e detenzione in Etiopia; furono organizzati cinque viaggi di deportati da [[Massaua]] all'Italia che trasferirono 323 persone tra maggio e dicembre 1937 prima all'isola dell'[[Asinara]] e poi in varie localita italiane tra cui [[Longobucco]], [[Mercogliano]], [[Tivoli]], Roma e [[Firenze]]<ref>{{cita|Dominioni|pp. 180-181}}</ref>. Nel giugno 1937 venne invece aperto il campo di concentramento di [[Danane]] dove furono imprigionate in condizioni estremamente disagiate per le carenze di assistenza e vettovagliamento, circa 6.500 persone tra guerriglieri, notabili di medio rango e famigliari, comprese donne e bambini, di combattenti ''arbegnuoc''<ref>{{cita|Dominioni|pp. 181-182}}</ref>.
 
La violenza della repressione e gli apparenti successi delle operazioni di "polizia coloniale" tuttavia non consolidarono in modo decisivo il dominio italiano in Etiopia; al contrario la crescente brutalità dell'occupante esasperò la popolazione e accrebbe l'ostilità<ref>{{cita|Dominioni|pp. 196-197}}</ref>. Eventi come le azioni del capitano [[Gioacchino Corvo]] nella regione di [[Bahar Dar]] nella seconda metà del 1937 contribuirono a rafforzare la volontà di resistenza degli ''arbegnuoc''; le impiccagioni pubbliche, le fuciliazioni di "ribelli" e le esecuzioni segrete di notabili locali con metodi barbari come gli annegamenti nelle acque del lago Tana, sollevarono l'indignazione dei civili che avrebbero ben presto sostenuto la rinascita della resistenza dei "patrioti"<ref>{{cita|Dominioni|pp. 197-198}}</ref>.