Carmine Crocco: differenze tra le versioni

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Il 7 aprile occupò [[Lagopesole]] (rendendo il [[castello di Lagopesole|castello]] una roccaforte) e il giorno successivo [[Ripacandida]], dove sconfisse la guarnigione locale della [[Guardia Nazionale Italiana]] e lo stesso Anastasia, che aveva denunciato Crocco per il suo rapimento, venne trucidato.<ref>{{cita|Cinnella|p. 95}}</ref> Il 10 aprile i briganti entrarono a [[Venosa]] e la saccheggiarono, mettendo in fuga i militi della Guardia Nazionale e la cittadinanza borghese che si rifugiarono nel [[Castello Aragonese (Venosa)|castello]]. Il popolo, accorso entusiasta incontro ai briganti, indicò loro le case dei galantuomini. Durante l'occupazione di Venosa, venne assassinato Francesco Saverio Nitti, medico ex [[carbonaro]], nonno dell'[[Francesco Saverio Nitti|omonimo statista]], e la sua abitazione fu razziata.<ref>{{cita|Del Zio|p. 129}}</ref> Fu poi la volta di [[Lavello]], in cui Crocco fece istituire un tribunale che giudicò 27 liberali; le casse comunali furono svuotate di 7.000 ducati ma, davanti alla supplica del cassiere comunale di lasciare il denaro per i poveri, Crocco ne prese solamente 500.<ref>{{cita|Bourelly|p. 135}}.</ref> Dopo Lavello toccò a [[Melfi]] (15 aprile), dove Crocco fu accolto trionfalmente (anche se alcuni ricordano mestamente l'entrata dei suoi uomini nella città melfitana per via della macabra uccisione e mutilazione del [[parroco]] Pasquale Ruggiero).<ref>{{cita web|url=http://www.cittadimelfi.it/origini-e-storia.html|titolo= Città di Melfi, storia e origini|accesso=27 gennaio 2008}}</ref> L'occupazione di Melfi destò particolare preoccupazione da parte del regno Italiano, tant'è che lo stesso Garibaldi venne informato dai patrioti meridionali del «governo provvisorio a Melfi» e ne fece menzione durante un'interpellanza parlamentare.<ref>''Atti parlamentari dello Senato'', Tip. E. Botta, 1861, p. 628</ref>
 
Con l'arrivo di rinforzi piemontesi da [[Potenza (Italia)|Potenza]], [[Bari]] e [[Foggia]], Crocco fu costretto ad abbandonare [[Melfi]] e, con i suoi fedeli, si spostò verso l'avellinese, occupando, qualche giorno dopo, comuni come [[Monteverde (Italia)|Monteverde]], [[Aquilonia]] (a quel tempo chiamata "Carbonara"), [[Calitri]], [[Conza della Campania|Conza]] e [[Sant'Angelo dei Lombardi]].<ref>A. Maffei count, Marc Monnier, ''Brigand life in Italy, vol.2'', Hurst and Blackett, 1865, p.39</ref><ref>{{cita|Del Zio|p. 23}}.</ref> Il 16 aprile tentò di prendere Rionero, il suo paese natale, ma venne respinto dalla resistenza degli abitanti locali del partito democratico, guidati dalle famiglie Brienza, Grieco e D'Andrea che riunirono contro le forze di Crocco i piccoli proprietari e i professionisti, e subito dopo, con una petizione in cui raccolsero circa 300 firme, denunciarono alle autorità come manutengoli<ref>Ossia protettori e complici</ref>, i componenti della famiglia Fortunato, fra cui [[Giustino Fortunato (1777-1862)|Giustino]], capo del governo Borbonico dopo la repressione dei moti del [[1848]].<ref>{{cita|Slupo|p. 112-113}}.</ref> Dopo un'altra sconfitta nei pressi di [[San Fele]], il 10 agosto riottenne una vittoria a [[Ruvo del Monte]] con il supporto popolare, trucidando una decina di notabili, e abbandonò il paese incalzato dai regolari, comandati dal maggiore Guardi.
 
Arrivate le truppe unitarie, la comunità di Ruvo fu punita con una [[Massacro di Ruvo del Monte|feroce rappresaglia]] per aver collaborato con gli invasori, effettuando il rastrellamento e l'immediata fucilazione di numerosi abitanti. Guardi ordinò al sindaco di fornire il suo contingente ma, di fronte ad un diniego motivato poiché le casse furono trafugate dai briganti, fu arrestato assieme ad altri rappresentanti della cittadinanza, per attentato alla sicurezza interna dello Stato e complicità in brigantaggio.<ref>Tommaso Pedio, ''Brigantaggio Meridionale (1806-1863)'', Capone, 1997, p.78-79, 94</ref> Crocco si acquartierò a Toppacivita, nelle vicinanze di [[Calitri]], e, il 14 agosto, fu attaccato dai regi soldati, i quali subirono una netta sconfitta. Tuttavia, forse dubbioso sulle sorti della propria spedizione e visto il mancato arrivo di rinforzi più volte promesso dai comitati filoborbonici,<ref>{{cita|Cinnella|p. 101}}.</ref> decise improvvisamente di sciogliere le sue schiere, intenzionato a trattare con il nuovo governo. Il barone piemontese [[Giulio De Rolland]], nominato nuovo governatore della Basilicata al posto del dimissionario [[Giacomo Racioppi]], era disposto a trattare con lui ed informò il generale [[Enrico Cialdini]], luogotenente del re a Napoli, riguardo alle trattative di resa del brigante. Cialdini incaricò di dirgli però che «saranno ricompensati quelli che renderanno dei servigi, ma non accorda grazia piena a nessuno: è questo un attributo del sovrano».<ref>Tommaso Pedio, ''[[Archivio storico per la Calabria e la Lucania]], Volume 30'', p.137</ref>