Restauro della Pietà di Michelangelo: differenze tra le versioni
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Fermato l'autore del folle gesto e allontanata folla, per prima cosa si provvide a recuperare, nella stessa cappella dove è custodita la ''Pietà'' michelangiolesca, tutti i frammenti di marmo sparsi in terra. Alcuni, incautamente prelevati come ''souvenir'' da persona che si trovava all'interno della basilica, tornarono indietro dagli USA, nei mesi successivi, accompagnati da una lettera di scuse.
Seguì una lunga e paziente catalogazione, per dimensione, dalla più grande alla più minuta, di ogni scheggia: in tutto erano una cinquantina. Bisognava accostare tra loro i frammenti di quel mosaico impazzito. Il compito di eseguire il lungo e complicato restauro fu affidato da [[Deoclecio Redig de Campos]], allora direttore generale dei [[Musei Vaticani]], a [[Vittorio Federici]], che dirigeva i Gabinetti Ricerche Scientifiche degli stessi Musei. Per buon sorte, nel 1944 [[Francesco Mercadali]] aveva eseguito un calco in gesso della ''Pietà'' che era conservato nel Museo Storico Artistico di San Pietro.
=== Riportare l'opera alla primitiva purezza? ===
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[[File:Pietà vaticana dopo il vandalismo, 1972.jpg|thumb|Vandalismo sulla ''Pietà vaticana'' di Michelangelo nel 1972]]
Riparare le lesioni subite e restituire all'opera il miracolo del primitivo splendore formale era soltanto una delle opzioni. Alcuni avrebbero preferito che la ''Pietà'' non fosse affatto restaurata, bensì lasciata con i segni delle martellate cieche che l'avevano deturpata: in tempi tanto violenti, sarebbe diventata così un simbolo di vittima innocente. Altri avrebbero invece desiderato un restauro "critico" che lasciasse in evidenza le mancanze e le integrazioni. Prevalse la prima ipotesiː il restauro integrativo e completo. Redig de Campos disse allora: «La ''Pietà'' trae la sua forza espressiva in gran parte dalla purezza del marmo. E' una statua così meravigliosamente rifinita che un semplice graffio sul viso disturba più della mancanza delle braccia della [[Venere di Milo]].»<ref>{{Cita| Devreux|p. 87-88.}}</ref>
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Il 7 ottobre 1972, terminate le ricerche in laboratorio, si passò alla fase esecutiva del restauro, direttamente sulla ''Pietà'' vaticana.
Ecco come [[Cesare Brandi]], allora direttore dell'[[Istituto superiore per la conservazione ed il restauro|Istituto Centrale del Restauro]] e autore di articoli di fondo per il Corriere della Sera, raccontò alcune fasi del restauro: «
==== L'occhio sinistro ====
Dal calco in gesso dell'intera scultura fu ricavato il negativo dell'occhio sinistro, in gomma al [[silicone]]. Fu poi ricavato il calco in silicone dell'occhio danneggiato. La comparazione fra i due risultati in negativo permise di calcolare l'esatta forma delle parti mancanti, da realizzare. Per fortuna era stato identificato il frammento originale che restituiva al volto della Vergine la primitiva espressione.
Il martello sacrilego aveva lasciato sull'occhio uno sbaffo di vernice oleosa blu. Cesare Brandi così descrisse il problema e la sua soluzione: «
==== Naso, velo, avambraccio, dita ====
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Ottenuto ufficialmente il permesso, che fu concesso in esclusiva mondiale dalla Pontificia Commissione per le Comunicazioni Sociali, una troupe televisiva della [[RAI]], sotto la regia di [[Brando Giordani]], ebbe il privilegio di filmare, a colori, tutte le fasi del restauro della ''Pietà'' vaticana. Il documentario, girato sotto la regia di Giordani e coprodotto dalla SD Cinematografia e dalla RAI, ebbe come titolo ''La violenza e la Pietà''.<ref>[[Rosanna Di Pinto]], ''La violenza e la Pietà. Un esempio di rigore documentario e spettacolo, a futura memoria'', in: {{Cita| Devreux|pp. 97-133.}} Intervento arricchito da immagini di documenti inediti e da un'analisi della stampa d'epoca sul documentario.</ref> Andò in onda in bianco e nero (non esisteva la TV a colori). La dirigenza RAI non volle ottenere lucro da questa operazione e donò il filmato alle televisioni - di tutto il mondo - che ne fecero richiesta. Il documentario ottenne la nomination agli Oscar: era la prima volta che accadeva a una produzione RAI.
Brando Giordani non realizzò un semplice documentario scientifico, per spiegare le tecniche di restauro di una scultura di marmo; bensì volle esprimere il significato estrinseco, il messaggio morale della ''Pietà''. Fece riprese alla cava dei marmi di Carrara - dove Michelangelo aveva scelto la materia prima della sua opera - con gli operai ''tecchiaioli'' all'opera; filmò i ''sampietrini'', cioè gli operai che si calano con le funi all'esterno della cupola di San Pietro; intervistò il giovane vigile del fuoco che aveva fermato la mano sacrilega del folle; colse la selezione dei frammenti e le ricognizioni dei tecnici che avvenivano di mattina, all'alba, prima dell'apertura della basilica al pubblico; sorprese gli occhi dei visitatori, che scrutavano la ''Pietà'' attraverso interstizi e fori, nella parete lignea che chiudeva la cappella. Il documentario si chiude con drammatiche foto di donne, tratte dalla cronaca del tempo, che tengono tra le braccia il corpo inerme del proprio figlio, barbaramente ucciso: hanno identico dolore della Madonna ai piedi del [[Golgota]]. Alcune foto sono immagini della [[guerra in Vietnam]].
=== Quarant'anni dopo ===
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