Socii e foederati: differenze tra le versioni
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Nel [[376]], tuttavia, i [[Goti]] [[Tervingi]], scacciati dalle loro sedi dagli attacchi degli [[Unni]], chiesero all'Imperatore [[Valente (imperatore romano)|Valente]] il permesso di stabilirsi sulla riva sud del [[Danubio]] e vennero accettati all'interno dell'Impero. I propagandisti di corte elogiarono Valente per l'ammissione dei Goti Tervingi, in quanto in questo modo si assicurava una considerevole fonte di reclutamento nonché un'ulteriore fonte di entrate per il fisco.<ref>{{cita|Heather|p. 200.}}</ref> In realtà, stando alla tesi di Heather, è possibile che Valente fosse stato costretto ad accogliere i Goti, in quanto il grosso del suo esercito di campo era in Oriente impegnato in operazioni militari contro la Persia, e in Tracia era rimasto un numero troppo esiguo di truppe per opporsi con successo a un eventuale attraversamento non autorizzato del Danubio da parte dei Goti.<ref>{{cita|Heather|pp. 203-204.}}</ref> In effetti, il fatto che Valente intendesse limitare i danni, non accogliendo troppi barbari per volta, è confermato dal fatto che rifiutò l'ammissione dei Goti [[Greutungi]], nonostante anch'essi ne avessero fatto richiesta.<ref>{{cita|Heather|p. 204.}}</ref>
Fino a quel momento, vi erano stati casi (''deditio'') in cui l'Impero aveva accolto ''intra fines'', cioè all'interno dei confini, delle popolazioni barbariche, insediandoli come contadini non liberi (''dediticii'') in zone di confine desolate, ma in tal caso i Romani, per precauzione, disperdevano i ''dediticii'' in modo da distruggere la loro coesione e renderli facilmente controllabili.<ref name=Zec129/> Nel caso dei Tervingi ciò non fu fatto: nonostante l'ammissione dei Goti all'interno dell'Impero fosse stata presentata dalla propaganda imperiale come ''deditio'', di fatto il numero eccessivo di Barbari da insediare, a cui si aggiunse il numero esiguo di truppe romane in Tracia, rese impossibile per l'Impero imporre agli immigrati le condizioni in genere imposte ai ''dediticii''; ai Goti fu permesso di mantenere la loro coesione tribale all'interno dell'Impero, costituendo così ''de facto'', anche se non ''de jure'', il primo caso di ''Foederati intra fines'', ovvero ''Foederati'' insediati all'interno dei confini dell'Impero.<ref name="cita|Heather|p. 205">{{cita|Heather|p. 205.}}</ref>
Le fonti antiche accusano gli ufficiali romani di aver gestito male l'insediamento dei Tervingi: ad esempio, narrano che gli ufficiali romani ricevettero l'ordine di confiscare tutte le armi agli immigrati, ma non adempirono al loro incarico perché corrotti dai Goti; poi li accusano di aver lucrato alle spalle dei Goti, riducendoli dapprima alla fame e vendendo poi loro cibo di scarsa qualità a prezzi carissimi; quando poi avvenne il tentativo di assassinio dei loro capi nel corso di un banchetto, i Goti non ne poterono più dei maltrattamenti subiti e decisero di rivoltarsi e devastare l'Impero (inizi del 377).<ref>{{cita|Heather|p. 201.}}</ref> In realtà, è possibile che la mancata confisca delle armi fosse dovuta alla necessità di velocizzare l'attraversamento del fiume per evitare una sommossa tra i Goti, il che impedì agli ufficiali di controllare perfettamente gli equipaggiamenti dei Goti. Il razionamento dei viveri alle popolazioni immigrate può essere inoltre interpretato come un mezzo per tenere sotto controllo una moltitudine di barbari che si sarebbe potuta dimostrare ostile e, data la sua presenza al di qua delle frontiere, molto pericolosa.<ref
A peggiorare la situazione, anche i Goti Greutungi, condotti da [[Alateo]] e [[Safrax|Safrace]], riuscirono ad attraversare il fiume e a unire le forze con i Tervingi di re [[Fritigerno]]; più tardi, alla fine del 377 alcuni contingenti di Unni e Alani attraversarono il Danubio e rafforzarono ulteriormente il già consistente esercito goto. Il 9 agosto 378 i Goti sconfissero i Romani nella [[Battaglia di Adrianopoli (378)|Battaglia di Adrianopoli]], nella quale perirono i due terzi dell'esercito campale dell'Impero d'Oriente, insieme allo stesso Imperatore Valente. La grave sconfitta subita costrinse l'Impero romano a venire a patti con i Goti. [[Teodosio I]], il successore di Valente in Oriente, si trovò in notevoli difficoltà quando tentò di ricostituire in tempi brevi un esercito nazionale: le resistenze dei proprietari terrieri a permettere ai propri contadini di svolgere il servizio militare (soprattutto per il timore di perdere manodopera) e la scarsa volontà da parte dei romani stessi a combattere (le leggi romane del tempo lamentano che molti, pur di non essere reclutati, arrivavano persino a mutilarsi le dita della mano) lo costrinsero a fare sempre maggior affidamento sui barbari.<ref>{{cita|Ravegnani 2012|pp. 23-26.}}</ref> [[Zosimo (storico)|Zosimo]] narra che Teodosio, pur di colmare le perdite subite dall'esercito, fu costretto a ricorrere al reclutamento massiccio di barbari, tra cui molti goti spinti a disertare e a passare dalla sua parte.<ref name=ZosIV30>Zosimo, IV,30.</ref> Alcuni di questi goti si rivelarono fedeli all'Impero, come il generale Modare, che nel 379 riuscì ad espellere i propri connazionali dalla [[Tracia (diocesi)|Tracia]] pacificandola.<ref>Zosimo, IV,25.</ref> Tuttavia, secondo il racconto di Zosimo, i disertori goti, che superarono presto in numero le reclute romane, diedero preoccupanti segnali di indisciplina. Dubitando della fedeltà dei disertori barbari reclutati nelle legioni, molti dei quali di origine gotica e quindi connazionali dei barbari che avrebbero dovuto combattere per conto dell'Impero, Teodosio, prudentemente, trasferì parte dei barbari in [[Egitto (diocesi)|Egitto]], e le legioni dell'Egitto in Tracia.<ref name=ZosIV30/> Nonostante questa precauzione, l'esercito, riempito di barbari e caduto nel disordine più totale, non poté che perdere un'altra battaglia contro i Goti [[Battaglia di Tessalonica|nei pressi di Tessalonica]] (estate 380), nella quale l'Imperatore stesso scampò a stento alla cattura; Zosimo attribuisce la sconfitta al tradimento dei disertori goti che defezionarono in favore del nemico nel corso della battaglia.<ref>Zosimo, IV,31.</ref>
La sconfitta subita convinse Teodosio dell'impossibilità di poter vincere in maniera definitiva i Goti e della necessità di firmare una pace di compromesso con essi.<ref>Alcuni studiosi (cfr. ad esempio {{cita|Halsall|pp. 180-183}}) hanno messo in discussione il fatto che il trattato di pace del 3 ottobre 382, attestato da alcune cronache, avrebbe riguardato l'intero popolo dei Goti, sostenendo che in tal caso sarebbe stato l'Imperatore stesso a negoziarlo e non Saturnino, e che inoltre nell'ultima fase della guerra i Goti avevano perso la loro coesione, suddividendosi in diversi gruppi; essi asseriscono che nel 382, invece di un unico trattato di pace, ve ne sarebbero stati molteplici, ognuno con un differente gruppo di Goti. Altri studiosi, tuttavia, continuano ad attenersi alla visione tradizionale (cfr. ad esempio {{cita|Heather|pp. 230-236}}, e {{cita|Ravegnani|pp. 32-33}}).</ref> I Goti, con il trattato del 3 ottobre 382, divennero alleati (''foederati'' o ''symmachoi'') di Roma: si insediavano in territorio imperiale, nell'Illirico orientale, sotto il comando dei loro capi e ricevevano terre da coltivare; in cambio si impegnavano a fornire assistenza militare all'esercito romano-orientale in caso di necessità.<ref name="cita|Heather|pp. 230-232">{{cita|Heather|pp. 230-232.}}</ref><ref>Fonti tarde (come Procopio e Giordane) fanno uso del termine ''foederati'' per indicare gli alleati goti, ma non è detto che questo termine fosse già in uso durante il regno di Teodosio, ma potrebbe essere un anacronismo del VI secolo. La prima attestazione del termine ''foederati'' in una fonte coeva è in una legge del 406. In ogni caso le fonti greche coeve usano il termine ''symmachoi'', che nella sostanza è sinonimo di ''foederati'', per indicare queste bande mercenarie gotiche insediate all'interno dell'Impero.</ref> Il trattato del 382 probabilmente prevedeva anche l'obbligo da parte dei Goti insediati all'interno dell'Impero di fornire reclute, scelte tra i loro giovani, all'esercito regolare. Del resto, già in precedenza Teodosio aveva reclutato nell'esercito regolare numerosi soldati goti che avevano disertato dall'esercito nemico. Tuttavia, sembrerebbe che il grosso dei ''foederati'' goti non fu integrato nell'esercito regolare, ma serviva in bande irregolari sotto il comando dei loro capi tribali (e non sotto ''praepositi'' romani, come nel caso dei ''[[laeti]]'') solo in occasione di specifiche campagne militari, venendo congedati dall'esercito al termine di esse; ciò sembrerebbe confermato dal fatto che [[Sinesio di Cirene]] e [[Socrate Scolastico]] definiscano questi barbari ''Symmachoi'' (alleati), e dal fatto che la ''[[Notitia Dignitatum]]'' attesti esplicitamente solo due reggimenti costituiti interamente da reclute gotiche nella parte orientale.<ref>{{cita|Rocco|pp. 518-521.}}</ref> Tuttavia sembra che all'epoca di Teodosio i capi tribali goti, nel corso delle campagne militari, fossero subordinati agli alti ufficiali dell'esercito romano. In tempo di pace i Goti coltivavano le terre loro concesse dallo stato nelle due province settentrionali della [[Tracia (diocesi)|diocesi di Tracia]], la ''[[Mesia (provincia romana)|Moesia II]]'' e la ''[[Scythia Minor]]'', e presumibilmente anche in [[Macedonia (provincia romana)|Macedonia]], ricevendole in proprietà.<ref>{{cita|Heather|p. 282.}}</ref> Stando a un'allusione vaga di Temistio, è possibile anche che per i Goti vigesse la cosiddetta ''[[hospitalitas]]'', cioè che fossero alloggiati nelle case dei proprietari terrieri romani. È incerto se i Goti fossero o meno esentati da imposte.
Nonostante formalmente l'accordo fosse stato presentato come una completa sottomissione dei Goti a Roma (''deditio''), in realtà rappresentò una cesura importante rispetto a tutti i casi precedenti di ''deditio''.<ref>{{cita|Heather|pp. 230-231.}}</ref><ref>{{cita|Jones|p. 157.}}</ref> Infatti, poiché, a differenza dei casi precedenti, i Romani non erano usciti vincitori nel conflitto, ai Goti furono concesse condizioni favorevoli senza precedenti: in particolare, anche se non fu loro riconosciuto un capo unico, fu concessa loro la possibilità di mantenere la loro coesione politica e militare nonché i loro costumi e non furono dispersi per le province, come accadeva nei casi consueti di ''deditio''.<ref
[[Temistio]], retore di Costantinopoli, in un discorso pronunciato nel gennaio 383 al [[senato bizantino]], cercò di raffigurare come "vittoria romana" il trattato di pace ([[foedus]]) tra l'Impero e i Goti, nonostante ai Goti fossero state concesse condizioni favorevoli senza precedenti. In tale discorso, Temistio argomentò che Teodosio, mostrando come virtù il perdono, invece di vendicarsi dei Goti sterminandoli in battaglia, decise invece di stringere un'alleanza con essi, ripopolando così la Tracia, devastata dalla guerra, di contadini goti al servizio dell'Impero; Temistio concluse il discorso rammentando come i [[Galati]] fossero stati assimilati, con il passare dei secoli, dalla cultura greco-romana ed esprimendo la convinzione che sarebbe accaduto lo stesso con i Goti.<ref>{{cita|Heather|pp. 233-237.}}</ref> Anche il panegirista Pacato nel 389 lodò l'Imperatore per aver ammesso i Goti all'interno dell'Impero impiegandoli come contadini e soldati, e dipingendo i mercenari goti, alani e unni impiegati da Teodosio nella sua campagna militare contro l'usurpatore [[Magno Massimo]] come truppe ben disciplinate, serventi sotto insegne e generali romani. Ciò potrebbe implicare che almeno parte dei Goti fosse stata reclutata nell'esercito regolare, ma non è da escludere che il panegirista stesse distorcendo la realtà, presentando come truppe dell'esercito regolare ben disciplinate coloro che di fatto erano contingenti irregolari di alleati barbari.<ref>{{cita|Halsall|pp. 183-184}}, sostiene la tesi che tutti i Goti reclutati costituissero unità dell'esercito regolare costituite interamente da Barbari e nega che fu loro concessa una particolare autonomia; {{cita|Ravegnani 2012|pp. 32-33}}, tuttavia, definisce «fittizi» i successi descritti dalla propaganda, compreso Pacato, e descrive come «ingannevole» la speranza di farne truppe disciplinate, ribadendo che i Goti servivano sotto i loro capi e costituivano un gruppo semiautonomo.</ref>
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Intorno al 392, durante un banchetto organizzato da Teodosio, probabilmente per negoziare con i capi dei goti la loro assistenza militare contro l'usurpatore [[Flavio Eugenio|Eugenio]], i due litigarono al punto che Fravitta giunse ad uccidere Eriulfo; i seguaci di Eriulfo tentarono di uccidere Fravitta, ma furono fermati dalle guardie del corpo dell'Imperatore.<ref name=ZosIV56/>
A conferma che la fedeltà dei ''Foederati'' goti era assai dubbia, nel 388 l'usurpatore occidentale [[Magno Massimo]] riuscì a corromperne molti, con la promessa di grandi ricompense, persuadendoli a tradire Teodosio; l'Imperatore, scoperte le intenzioni proditorie dei Barbari, costrinse i mercenari traditori a fuggire per le paludi e per le foreste della Macedonia, cercandoli con grande diligenza.<ref
Le truppe di ''Foederati'' barbari che presero parte alla campagna militare contro Eugenio, secondo Zosimo, erano sotto la supervisione di ufficiali romani, seppur di origini barbariche: costoro erano il goto [[Gainas]], l'alano Saul e l'ibero [[Bacurio d'Iberia|Bacurio]]. Alla campagna ebbe un ruolo di comando almeno su parte dei ''Foederati'' Goti anche Alarico, a cui Teodosio aveva promesso un ruolo di comando nell'esercito romano in caso di successo. I Goti alla fine risultarono decisivi nella [[battaglia del Frigido]], nella quale subirono perdite consistenti (10.000 caduti), contribuendo alla sconfitta dell'usurpatore occidentale [[Eugenio]].<ref>Zosimo, IV,58.</ref> [[Orosio]] scrisse che con la vittoria del Frigido Teodosio ottenne in un colpo solo due successi: uno sull'usurpatore e un altro sugli alleati Goti, che risultarono così indeboliti.<ref>Orosio, VII,35.</ref>
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[[File:Visigoths sack Rome.jpg|thumb|left|Raffigurazione del [[Sacco di Roma (410)|Sacco di Roma]] condotto dai [[Visigoti]] di [[Alarico]] nel [[410]].]]
Verso la fine del 409, Alarico assediò per la seconda volta Roma, minacciando di distruggerla a meno che gli abitanti della città non si fossero rivoltati contro Onorio e avessero eletto un imperatore fantoccio sotto il controllo dei Visigoti.<ref name=ZosimoVI6>Zosimo, VI,6.</ref><ref name=SozIX8>Sozomeno, IX,8.</ref> Il [[senato romano]], essendo conscio che se non avessero accettato le condizioni di Alarico, Roma sarebbe stata distrutta, dopo una lunga discussione, accettò di far entrare Alarico in città e di nominare un imperatore fantoccio sotto il controllo dei Visigoti, il [[praefectus urbi|prefetto della città]] [[Prisco Attalo]].<ref name=SozIX8/><ref name=ZosimoVI7>Zosimo, VI,7.</ref> Attalo nominò come propri ''magistri militum'' Alarico e Valente, mentre Ataulfo fu nominato comandante della cavalleria domestica.<ref name=
Il suo successore, Ataulfo, portò i Goti in Gallia nel 412, dopo aver devastato per altri due anni l'Italia "come locuste", e portando con sé come ostaggi [[Galla Placidia]], sorella dell'Imperatore, e l'usurpatore [[Prisco Attalo]]. Dopo aver detronizzato i due usurpatori gallici [[Giovino (usurpatore)|Giovino]] e [[Sebastiano (usurpatore)|Sebastiano]] per conto di Onorio, che come contropartita aveva promesso di pagare un tributo in grano ai Visigoti, Ataulfo si lamentò per il fatto che la promessa non fosse stata mantenuta dai Romani, presumibilmente perché la rivolta di Eracliano in Africa aveva interrotto i [[cura annonae|rifornimenti di grano dall'Africa]]; pretese, in cambio della pace e della restituzione di Placidia, che l'Impero rispettasse la promessa del tributo in grano.<ref>{{cita|Ravegnani 2012|p. 85.}}</ref> Di fronte al fallimento delle trattative, il re goto assunse di nuovo un atteggiamento ostile, impadronendosi, nel corso del 413, di gran parte della [[Gallia Narbonense]]. Nel 414, inoltre, Ataulfo sposò la sorella di Onorio, Galla Placidia, tenuta in ostaggio dai Goti fin dai giorni del sacco di Roma.<ref name=OroVII43>Orosio, VII,43.</ref><ref name="Filostorgio, XII,4">Filostorgio, XII,4.</ref><ref>Olimpiodoro, frammento 15.</ref> Secondo Orosio, Ataulfo:
{{Citazione|... preferì combattere fedelmente per l'Imperatore Onorio e impiegare le forze dei Goti per la difesa dello stato romano... Sembra che in un primo momento desiderasse combattere contro il nome romano e rendere tutto il territorio romano un impero gotico di nome e di fatto, in modo che, per usare espressioni popolari, la ''Gothia'' avrebbe preso il posto della ''Romània'', ed egli, Ataulfo, sarebbe diventato un nuovo Cesare Augusto. Avendo scoperto dall'esperienza degli anni che i Goti, a causa della loro barbarie..., erano incapaci di ubbidire alle leggi, e ritenendo che lo stato non dovrebbe essere privato di leggi senza le quali non sarebbe tale, scelse per sé almeno la gloria di restaurare e aumentare la grandezza del nome romano tramite la potenza dei Goti, desiderando di essere ricordato dalla posterità come il restauratore dell'Impero romano e non il suo distruttore... Cercò quindi di trattenersi dalla guerra e di promuovere la pace, aiutato in ciò specialmente da sua moglie, Placidia, una donna di intelligenza e di pietà straordinaria; fu guidato dai suoi consigli in tutte le misure conducenti al buon governo.|Orosio, VII,43.}}
Il matrimonio tra Ataulfo e Placidia non trovò però l'approvazione della corte di Onorio, che rifiutò ogni negoziazione con i Visigoti. Nel 414 Ataulfo reagì proclamando Imperatore fantoccio sotto il controllo dei Visigoti Attalo, salvo poi abbandonarlo ai Romani quando fu costretto a evacuare la Gallia di fronte all'avanzata delle legioni del nuovo generale di Onorio, [[Costanzo III|Flavio Costanzo]], che costrinsero i Goti alla negoziazione bloccando loro l'arrivo di rifornimenti.
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Una pace definitiva con l'Impero arrivò solo nel 416, allorché Costanzo concesse ai Goti, condotti dal loro nuovo re [[Vallia]], di insediarsi in qualità di ''foederati'' in [[Gallia Aquitania|Aquitania]] e si impegnò a rifornirli di 600.000 moggi di grano: in cambio i Goti avrebbero combattuto i [[Vandali]], gli [[Alani]] e gli [[Suebi]] che avevano occupato militarmente gran parte della [[Spagna romana|Spagna]] e avrebbero restituito Galla Placidia.<ref>Olimpiodoro, frammento 31.</ref> Fu comunque solo verso la fine del 418 che avvenne effettivamente l'insediamento in Aquitania, nella valle della Garonna, dopo che i [[Visigoti]] avevano passato gran parte del 416, del 417 e del 418 a combattere per conto dell'Impero gli invasori della Spagna. I Visigoti furono insediati in ''Aquitania II'' e in alcune regioni delle province di ''[[Novempopulana]]'' e di ''Aquitania I''. L'Aquitania sembra sia stata scelta da Costanzo come terra di insediamento per i ''foederati'' Visigoti per la sua posizione strategica: infatti era poco distante sia dalla Spagna, dove rimanevano da annientare i Vandali Asdingi e gli Svevi, sia dalla Gallia nord-occidentale, dove forse Costanzo intendeva impiegare i Visigoti per combattere i ribelli separatisti [[Bagaudi]] nell'Armorica.<ref>{{cita|Heather|pp. 298-299.}}</ref>
Secondo [[Filostorgio]], i Goti ricevettero terre da coltivare.<ref
Il territorio, almeno inizialmente, continuava ad appartenere legalmente all'Impero, tanto che per qualche tempo continuarono ad operare nella regione i funzionari civili romani, malgrado l'insediamento dei Visigoti.<ref>{{cita|Ravegnani 2012|p. 90.}}</ref> Di fatto, l'insediamento in Aquitania di una popolazione non sottomessa, i Visigoti, rischiava di minare la fedeltà delle popolazioni locali a Roma: già nel corso dell'occupazione visigota della Gallia Narbonense del 414-415, i Visigoti avevano goduto non solo dell'appoggio dei ceti inferiori, oppressi dal fiscalismo romano, ma anche della collaborazione con gli stessi proprietari terrieri, i quali avevano riconosciuto Attalo come imperatore legittimo.<ref>{{cita|Heather|p. 306.}}</ref> Questo fenomeno era molto dannoso per l'Impero, perché le rendite imperiali si basavano sull'intesa con i proprietari terrieri, i quali, in cambio di privilegi e della loro difesa tramite le leggi e l'esercito, accettavano di pagare le tasse.<ref name=Hea307>{{cita|Heather|p. 307.}}</ref> Secondo Heather, «l'Impero romano era sostanzialmente un mosaico di comunità locali che in buona misura si autogovernavano, tenute insieme da una combinazione di forza militare e baratto politico: in cambio dei tributi il centro amministrativo si occupava di proteggere le élite locali».<ref name=Hea307/> Questo baratto politico fu messo in crisi dalla comparsa dei Visigoti: i proprietari terrieri gallici, lasciati indifesi dall'Impero e non potendo correre il rischio di perdere la loro principale fonte di ricchezza, costituita dalle terre, allentarono i loro legami con l'Impero e acconsentirono a collaborare con i nuovi protettori Visigoti, nel tentativo di scongiurare una possibile confisca ai loro danni.<ref name=Hea307/>
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[[File:Reame di Siagrio (486).png|upright=1.6|thumb|Area controllata da [[Siagrio]], figlio e successore di Egidio.]]
Il nuovo Imperatore, tuttavia, non fu riconosciuto né dal ''Comes Illyrici'' [[Marcellino (generale romano)|Marcellino]], né da Egidio, né dall'Impero d'Oriente, ragion per cui la situazione per l'Impero si deteriorò ulteriormente. Ricimero, odiando Marcellino, aveva spinto i mercenari unni che servivano nell'esercito del ''Comes Illyrici'' a disertare da lui, costringendolo a ritirarsi dalla Sicilia e a tornare in Dalmazia, che separò dall'Impero non avendo riconosciuto il nuovo Imperatore d'Occidente, [[Libio Severo]].<ref>{{cita|Ravegnani 2012|p. 146.}}</ref> Il nuovo imperatore non fu riconosciuto nemmeno da Egidio, che, essendo un uomo di fiducia di Maggioriano e non avendo intenzione di collaborare con i responsabili della sua uccisione, separò la Gallia dal resto dell'Impero, forte dell'appoggio dell'esercito delle Gallie. Ricimero riuscì tuttavia a mettergli contro [[Visigoti]] e [[Burgundi]], al prezzo di nuove pesanti concessioni territoriali (ai Visigoti cedette Narbona e ai Burgundi concesse di espandersi nella Valle del Rodano), per cui Egidio, intento a guerreggiare i Barbari nelle Gallie, non ebbe l'opportunità per invadere l'Italia. Egidio aveva il sostegno dei ''foederati'' Franchi, di cui, secondo almeno [[Gregorio di Tours]], sarebbe diventato anche per un certo periodo addirittura loro re, anche se la notizia viene ritenuta inattendibile dalla storiografia moderna. Egidio tentò inoltre di allearsi con i Vandali contro Libio Severo e potrebbe anche aver sobillato gli Alani ad invadere l'Italia, invasione che però non ebbe successo, in quanto Ricimero sconfisse prontamente gli invasori nei pressi di Bergamo.
Mentre i Romani si combattevano tra di loro in una evitabile guerra civile utilizzando i ''foederati'' barbari l'uno contro l'altro e permettendo loro di rafforzare il loro potere a danni dell'ormai decadente Impero, l'Italia meridionale e la Sicilia erano devastate dai Vandali, che avevano colto l'uccisione di Maggioriano come pretesto per rompere il trattato stretto con lui e riprendere i loro saccheggi.<ref name=Pri29>Prisco, frammento 29.</ref> Ricimero inviò un'ambasceria presso Genserico, intimandogli di rispettare il trattato stretto con Maggioriano, di restituire la libertà alla moglie e alle figlie di Valentiniano III e di guardarsi dal devastare la Sicilia e l'Italia meridionale.<ref name=Pri29/> In seguito a un trattato stipulato con l'Impero d'Oriente nel 462, Genserico accettò unicamente di liberare [[Eudocia (regina dei Vandali)|Eudocia]] e [[Placidia]], e solo dopo aver costretto Eudocia a sposare [[Unerico]], ma non cessò le incursioni in quelle regioni: intendeva, infatti, ricattare l'Impero d'Occidente nel tentativo di costringerlo ad accettare come Imperatore [[Olibrio]], imparentato con Genserico in quanto marito di Placidia.<ref name=Pri29/>
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Zenone inviò quindi un'ambasceria a Teodorico Amalo, formalmente un generale romano, ordinandogli di marciare contro il nemico; Teodorico obbedì, ma non prima di aver ottenuto dall'Imperatore e dal [[Senato bizantino|Senato]] il giuramento che non avrebbero mai negoziato con Teodorico Strabone.<ref name=Malco15/> Teodorico avrebbe dovuto ricevere rinforzi consistenti dai Romani, ma questi ultimi non rispettarono i patti, e quando i Goti di Teodorico arrivarono in prossimità degli accampamenti dei Goti di Teodorico Strabone, quest'ultimo raggiunse l'accampamento di Teodorico Amalo e lo rimproverò, dandogli del sempliciotto per non essersi reso conto del piano dei Romani, che desideravano liberarsi di entrambe le armate gotiche, istigandole alla mutua distruzione, ed erano indifferenti su quale dei due partiti avrebbe vinto.<ref name=Malco15/> Questa argomentazione spinse i due schieramenti ad allearsi contro Zenone (478).<ref name=Malco15/>
I due generali ostrogoti inviarono ambasciatori a Costantinopoli.<ref name=Malco16>Malco, frammento 16.</ref> Teodorico Amalo, lamentandosi con Zenone per averlo ingannato con false promesse, richiedeva non solo la concessione di territori al suo popolo, ma anche del grano per poter mantenere la sua armata durante la carestia, e minacciò, in caso di mancata accettazione della sua richiesta, il saccheggio dei territori imperiali, necessario per il mantenimento del proprio esercito.<ref name=Malco16/> Teodorico Strabone richiese il rinnovo del trattato firmato con Leone nel 473, nonché il pagamento di un tributo.<ref name=Malco16/> Zenone si preparò alla guerra, annunciando alle truppe che avrebbe condotto di persona l'esercito.<ref name=Malco16/> Ciò generò enorme entusiasmo tra i soldati, ma all'ultimo momento Zenone cambiò idea, e le armate minacciarono una rivolta, per prevenire la quale l'esercito fu disgregato e i reggimenti inviati ai loro quartieri invernali.<ref name=Malco16/>
Con l'esercito sbandato, e con Teodorico Amalo intento nel devastare le regioni della Tracia limitrofe al Monte Rodope, ai confini tra Tracia e Macedonia, Zenone fu costretto a negoziare un'alleanza con Teodorico Strabone.<ref name=Malco17>Malco, frammento 17.</ref> Teodorico Strabone accettò la pace e l'alleanza con l'Imperatore a condizione che fosse pagato annualmente con una somma equivalente agli stipendi di 13.000 soldati, che fosse posto al comando di due ''scholae'' e nominato ''magister militum praesentalis'', e gli fossero restituite tutte le dignità che Basilisco gli aveva assegnato; inoltre, i suoi connazionali avrebbero dovuto stabilirsi in una città assegnata da Zenone.<ref name=Malco17/> Zenone accettò l'accordo: Teodorico fu deposto dalla carica di ''magister militum'', e sostituito da Teodorico Strabone (fine del 478).<ref name=Malco17/>
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== Note ==
== Bibliografia ==
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