Il Popolo d'Italia: differenze tra le versioni

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Tra polemiche e dissapori politici, riportati con vari articoli non solo sul Popolo d'Italia ma anche sugli altri giornali, si giunse al febbraio del [[1923]] quando il [[Partito Nazionale Fascista]] assorbì i nazionalisti, dai quali prelevò alcuni esponenti di rilievo (come ad esempio [[Enrico Corradini]]) inserendoli tra i collaboratori del quotidiano. Nello stesso anno apparve il primo numero della «Rivista illustrata del Popolo d'Italia», diretta da [[Manlio Morgagni]] (1923-1943). Dapprima ebbe periodicità bimestrale, poi passò ad uscite mensili.
 
=== Giornale di regime: dal 1924 al 1936 ===
I cambiamenti di stile e di contenuti non cessarono mai nel quotidiano, tanto è vero che anche dopo il consolidamento di Mussolini al Governogoverno ''Il Popolo d'Italia'' ebbe due periodi distinti. Il primo periodo sino alla proclamazione del regimedell'impero, contraddistinto da forti aumenti di tiratura. Il secondo dominato dai "molti silenzi" e dal "greve tono di ufficiosità". In questa seconda fase Mussolini fece sentire la sua disapprovazione definendolo "giornale freddo senza voce e senza eco".
 
====1924-1925====
Nel [[1924]] il giornale venne preso nell'occhio del ciclone quando uno dei suoi primi redattori, [[Nicola Bonservizi]], cadde vittima a [[Parigi]] di un attentato compiuto da antifascisti italiani cosiddetti "fuoriusciti". Poi l'omicidio [[Giacomo Matteotti|Matteotti]] lo coinvolse in pieno insieme al suo fondatore in una partita decisiva. Il giornale respinse subito ogni accusa e sospetto sulla responsabilità del fascismo ufficiale. [[Vincenzo Moreno]] a tal proposito sottolineerà, nell'editoriale del 15 giugno, la speculazione politica del fronte antifascista.
 
Altri articoli capeggiarono sul Popolo d'Italia circa l'omicidio Matteotti con titoli di critica nei confronti dei socialisti ed antifascisti: "Moderatucoli - Le trombe di Gerico - Prediche e pulpiti". Le polemiche si trascinarono fino al 3 gennaio contro l'[[Secessione Aventiniana|Aventino]] e soprattutto contro le vecchie classi dirigenti liberali. Arnaldo nel contesto di una situazione delicatissima protese per una moderazione anche dopo il delitto [[Armando Casalini|Casalini]], deputato fascista, sindacalista, ucciso a revolverate da un esaltato il 12 settembre. "Nessuna violenza - Nessuna disciplina" furono i titoli sul Popolo d'Italia in quei giorni.
 
Dal 18 settembre 1924 al 3 maggio [[1925]] il Popolo d'Italia pubblicò anche un'edizione romana diretta da [[Paolo Orano]], chiamatoassunto quell'anno come [[caporedattore]] del giornale.
 
Nelle pause tra le varie polemiche il quotidiano aprì le sue colonne al dibattito sulla tematica dello [[Stato Fascistafascista]]. Furono chiamati ad esprimersi in merito nomi quali: [[Sergio Panunzio]], [[Carlo Costamagna]], [[Massimo Rocca]], [[Gino Arias]], [[Angelo Oliviero Olivetti]], [[Vincenzo Fani Ciotti|Volt]]. Venne preso come bersaglio polemico [[Benedetto Croce]]. Sarà non solo attraverso questo dibattito, ma anche a causa dei delitti prima menzionati, primo fra tutti il delitto Matteotti, che si delineerà la strada che porterà alla repressione della [[censura]]Libertà sulladi stampa nel Regno d'Italia|libertà di stampa]], accompagnata da minacce di restrizioni e sequestri cui il Popolo d'Italia non sarà estraneo. Scrisse [[Giorgio Rumi]]:
{{Citazione|Il silenzio imposto alle opposizioni sembra ritorcersi anche su di esso, la sua funzione è oramai quella della più ortodossa ed incondizionata apologia.}}
 
Un pensiero smentito da alcuni [[articolo di fondo|fondi]] di [[Prima pagina|prima]] e [[terza pagina]] del Popolo d'Italia pubblicati in quegli anni.
 
==== Il ''Popolo di Roma'' ====
Nel [[1925]] l'Italiai pullulòquotidiani diitaliani, a cominciare dai giornali fascisticon ele ipiù grandialte quotidianitirature, riportavanosi fedelmenteuniformarono laalle vocedirettive del regime riportando fedelmente la sua voce. Forse per questi motivi le tirature del Popolo d'Italia scesero sotto le 80.000 copie e le pubblicità furono sempre più scarse. Di conseguenza aumentò il passivo fino ad indurre l'amministrazione del giornale a sospendere l'edizione romana in maniera definitiva. Al suo posto il 1º ottobre nacque ''Il Popolo di Roma'', [[quotidiano]] con gli stessi caratteri di testata e indirizzo politico del predecessore. Successivamente si avvicinò all'organizzazione degli industriali fascisti <ref>http://www.treccani.it/enciclopedia/giornale-e-giornalismo_res-e2df55c3-87e5-11dc-8e9d-0016357eee51_(Enciclopedia-Italiana)/</ref>.
 
A differenza del suoPopolo d''progenitore''Italia, continuò a essere pubblicato anche dopo l'[[8 settembre 1943]].
 
==== Il malcontento ====
Arnaldo Mussolini, per evitare la chiusura, cercò di dare al giornale da lui diretto una funzione originale, tanto che fu indotto a scrivere:
{{Citazione|Le rivoluzioni hanno bisogno di un 'Monitore' più che di una serie di grandi quotidiani; di bollettini di battaglie e di informazioni più che di giornali ben allineati}}
 
In quest'ottica si sforzò di fare del giornale un efficace strumento di orientamento e mobilitazione, valorizzando le iniziative di governo non solo attraverso gli articoli ma anche confacendo unforza sull'impatto visivo per il quale: usò titoli di spicco, fotografie e disegni di [[Mario Sironi]]. Il tono forzatamente piatto ed opaco dei servizi portarono ugualmente l'interesse dei lettori verso altre testate, benché il Popolo d'Italia fosse stato, in quel preciso periodo, il quinto quotidiano italiano più letto all'estero.
 
La censurarepressione della libertà di stampa fece effetto anche sul Popolo d'Italia, oltre che sul resto delladei stampagiornali italiani. DiDelle questaimposizioni imposizione didel regime si lamentarono in molti, in particolare [[Giorgio Pini]] che, su ''L'Assalto'' scrisse(organo dei fascisti bolognesi) espresse, oltre alle critiche, anche una sorta di profezia: "Che questa opposizione, sempre viva e necessaria, soffocata all'esterno, ricomparirà all'interno, automaticamente". A tali critiche, espressesottoscritte anche da [[Giuseppe Bottai]] su ''[[Critica fascista]]'' del [[1927]], Arnaldo rispose personalmente. A Pini, dopo averlo rimproverato per la sua presa di posizione, rivolse un formale invito di collaborazione al giornale di Mussolini.
 
Mentre per Bottai e i giovani giornalisti di ''Critica fascista'' Arnaldo prima ricordò che "il giornalismo che prende argomenti, li affina, li discute, li tuffa, li riprende, non è del nostro tempo" e che "la sua funzione odierna non è quella di inseguire farfalle, ma di volgarizzare dei principi", e poi precisò con maggior forza: "è ora di lasciare da parte, per non averli sempre tra i piedi, gli scontenti, gli ipercritici e di valorizzare seriamente i silenziosi, gli operanti, i tenaci, i fascisti senza incrinature e senza casi dubbi di coscienza". Ma proprio per essersi allineato alla volontà del Duce e quindi accettato la giustezza della censura, siglando tale pensiero con la frase: "È l'ora della disciplina e del silenzio nei ranghi", aumentò il senso di sfiducia, malcontento e delusione di molti giornalisti e di gran parte del popolo italiano.
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{{Citazione|Il Popolo d'Italia è, in un certo senso, guastato dal fatto che esso ha la coscienza di essere un organo semi - ufficiale. Nel suo sforzo di essere decoroso, esso assume arie di pesantezza che non gli sono naturali, e le disarmonie che ne risultano, balzano agli occhi ad ogni pagina.}}
 
==== Il periodo della censura 1927-1928====
Ormai imbavagliata l'opposizione e acquietati i dissensi interni, Mussolini distribuì da un lato avvertimenti e rimproveri ai renitenti all'ordine di allineamento e dall'altro ilricompensò plausochi persi allineava al regime. Ma chi esagerava nell'esaltare le opere didel regimefascismo poteva incorrere in un eguale rimprovero. Ne cadde vittima l'avvocato [[Roberto Farinacci]], allora Segretario del [[Partito Nazionale Fascista|PNF]], che fu attaccato per i toni eccessivamente politici profusi al processo Matteotti nella difesa di [[Amerigo Dumini]] e degli altri responsabili nell'uccisione didel Matteottiparlamentare, tanto che dovette dimettersi dalladal caricavertice didel partito.
 
InIl materiagiornale difu situazionitenuto sempre lontano dalle lotte interne al regime, il giornale: godette di una sorta di immunità extra-territoriale, anche se i direttori ed i capi redattori non ne fecero mai uso. Nella tormenta delle critiche e dei rimproveri cadde anche il successore di Farinacci a capo del PNF, [[Giovanni Giuriati]], che ebbe vita breve a capo del PNF per il suo "zelo epurativo". Ciò che portò Mussolini a calcare la mano sulla limitazione della libertà di stampa fu senz'altro anche il caso Matteotti e le traversie che questi portò. Eloquenti furono le sue parole del 10 ottobre [[1928]] rivolte ai settanta quotidiani:
{{Citazione|In un regime totalitario [...] la stampa è un elemento di questo regime [...] Ciò che è nocivo si evita e ciò che è utile al regime si fa [...] il giornalismo, più che passione o mestiere, diventa missione di una importanza grande e delicata, poiché nell'età contemporanea, dopo la scuola che istruisce le generazioni che montano, è il giornalismo che circola tra le masse e vi svolge le sue opere di informazione e di formazione.}}
 
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Il giornale acquisì dei picchi nelle vendite solo quando i due fratelli Mussolini scrissero insieme, trattando vari temi. Ciò avvenne senza alcun accordo precedentemente preso. Il periodo di crescita si ebbe nel [[1931]] quando comparvero, a firma dei Mussolini, articoli sulla crisi tra Stato e Chiesa e sui rapporti che precedettero e seguirono la firma dei [[Patti Lateranensi]] fra Italia e [[Città del Vaticano]].
 
==== I Patti Lateranensi e la morte di Arnaldo Mussolini ====
Il Popolo d'Italia e l'''[[Osservatore Romano]]'', tramite critiche reciproche, commentarono la fase preliminare dei [[Patti Lateranensi]]. La direzione del Popolo d'Italia fu ancora una volta affidata ad [[Arnaldo Mussolini]]. Questa fu anche la sua ultima battaglia giornalistica prima di morire improvvisamente. Non fu di facile conclusione il progetto di conciliazione, sia perché nello stesso periodo Mussolini si trovò impegnato nella [[Carta del Lavoro]], sia perché il Duce si trovò costretto a fronteggiare il conflitto sorto sul caso [[Azione Cattolica]].
 
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L'accordo tra Stato e Chiesa comunque avvenne il 30 settembre [[1931]] e Arnaldo scrisse l'ultimo suo intervento degno di nota apparso sulle pagine del Popolo d'Italia. Il fratello del [[Duce]] morì nel dicembre dello stesso anno e per volere del Capo del Governo gli succedette il figlio [[Vito Mussolini|Vito]], il quale fu spesso assente dalla redazione e dimostrò di essere poco portato agli interessi giornalistici. In realtà l'eredità giornalistica venne tramandata a [[Sandro Giuliani]] che dal [[1932]] al [[1936]] fu capo redattore ed a [[Gaetano Polverelli]], che passò al ruolo di capo dell'Ufficio Stampa.
 
==== Con il Corporativismo ====
Il fascismo in quel preciso periodo fu in continua evoluzione e nell'ordine sociale e civile capeggiò l'idea del [[corporativismo]] bottaiano. Furono anni nei quali l'Italia fascista mise in discussione i diversi sistemi sociali allora presenti, come il collettivismo sovietico e il capitalismo anglosassone. In questa fase il Popolo d'Italia aprì le sue colonne agli esponenti delle diverse tendenze liberiste, stataliste, ruralizzatrici, industrializzatrici, privatistiche e programmatiche.
 
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Il giornale nel 1933-1934 aprì le sue porte ad un nutrito gruppo di giovani universitari quali: [[Niccolò Giani]], [[Berto Ricci]], [[Vitaliano Brancati]], [[Romano Bilenchi]], [[Ruggero Zangrandi]], [[Edgardo Sulis]], [[Indro Montanelli]], [[Diano Brocchi]]. Nell'ambito della cultura e nel clima giovanile venne fondato il GUF ([[Gruppi Universitari Fascisti]]), una struttura istituzionale, espressione del fermento della nuova cultura fascista. L'inserimento delle giovani leve all'interno del Popolo d'Italia fu voluto da Mussolini anche per svecchiare il tono pesante e greve che il giornale acquisì durante gli anni di regime.
 
===Giornale Ladi politicaregime: esteradal e1936 Giorgio Pinial 1943===
==== La politica estera e Giorgio Pini ====
Dopo un decennio di relativa calma, Mussolini rivolse le sue attenzioni alla politica estera. Insieme agli appelli rivoluzionari dei "tempi nuovi" dove si propagandò la necessità di una crescita demografica e il richiamo all'ideale dell'[[Impero coloniale italiano|Impero]], il quotidiano mutò la rotta politica estera fascista. L'interesse internazionale si fece maggiore alla vigilia della [[guerra d'Etiopia]] criticando i franco-britannici, nonché per il diritto dell'Italia alla "quarta sponda" e per la ripresa della politica imperiale fascista di Roma.
 
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Oltre a Mussolini stesso, il quale preferì quasi sempre rimanere anonimo. Un anonimato relativo perché ad ogni scritto del Duce Pini preventivamente scriveva la frase: "Domani un importante articolo sul tema...." e ben presto i lettori capirono che l'articolo sarebbe stato scritto dal Duce. Uno dei periodi di maggior risalto per il quotidiano fu nel contesto della [[guerra di Spagna]]. Il 17 giugno [[1937]] l'articolo del Duce intitolato ''[[Guadalajara (Spagna)|Guadalajara]]'' fece superare il tetto delle tirature tanto che l'articolo dovette essere ripubblicato nei numeri successivi. Il 30 giugno un altro articolo, ''I volontari e Londra'' portò la stessa situazione precedente. E ancora il 24 luglio con ''Le realtà e le finzioni''.
 
==== Tra leggi razziali e sindacalismo ====
Nel [[1937]] e [[1939]] si segnalarono due campagne importanti per il Popolo d'Italia, quella sulla questione della razza e sulla questione sindacale. La campagna sulla razza durò circa due settimane, dal 25 maggio all'8 giugno [[1937]] dopo di che Pini ricevette una telefonata da Mussolini che gli ordinava di chiudere l'argomento perché "male impostato". Prima di queste date il quotidiano già ebbe modo di affrontare l'argomento sulla razza. Il 4 giugno [[1919]] Mussolini, in occasione della guerra civile in Russia, denunciò l'ebraismo mondiale come anima del bolscevismo e capitalismo. Ma dopo un anno e mezzo dall'accusa l'opinione del Duce fu opposta a quella prima espressa. Il cambiamento di rotta avvenne anche perché alcuni industriali che finanziavano il suo giornale erano di origine ebrea.
 
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Anche gli antifascisti fuoriusciti, attirati dalle polemiche e dalle prese di posizione del governo fascista si stupirono di così tanto scalpore fino ad indurre Pini a troncare di netto l'argomento per aver travalicato il limite del tollerabile consentito. Sarà questo argomento, ancor più di quello sul razzismo, che porterà le tirature del giornale alla cifra di 434.000 copie vendute solo il 28 ottobre 1938.
 
==== La guerra e la chiusura ====
 
Il 10 giugno [[1940]] l'Italia entrò in guerra. Le copie vendute l'indomani sfiorarono le 435.000 unità per poi stabilizzarsi nel corso dei giorni a venire sulle 397.000 copie. Fu il periodo dei corrispondenti di guerra, tra i quali spiccarono i nomi di [[Mario Appelius]] e [[Luigi Barzini senior]]. In quel frangente la cultura e l'ideologia scivolarono in seconda e terza pagina lasciando il posto alle cartine di guerra ed ai reportage dai campi di battaglia.