Dino Alfieri: differenze tra le versioni

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{{F|argomento=politici italiani|data=aprile 2012}}
{{Carica pubblica
|nome = Dino Alfieri
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}}
 
==Le prime esperienze politiche==
==Biografia==
Trascorse la giovinezza a Milano, dove operò come giornalista e attivista del [[nazionalismo]]: nel dicembre del [[1910]] prese parte al congresso di Firenze - dominato dalla figura di [[Enrico Corradini]] - da cui scaturì l'[[Associazione nazionalista italiana]] e un mese dopo fu tra i fondatori della sezione meneghina del gruppo<ref name="treccani">P. Pastorelli, [http://www.treccani.it/enciclopedia/edoardo-alfieri_(Dizionario-Biografico)/ ''Edoardo Alfieri''] in [[Dizionario Biografico degli Italiani]], volume 34, 1988.</ref>.
Nel [[1911]] si laurea in legge e poco dopo gli studi aderisce al [[nazionalismo]] di [[Enrico Corradini]]. Interventista e volontario nella [[Prima guerra mondiale]], nel [[1923]] criticò la confluenza dell'[[Associazione Nazionalista Italiana]] nel [[Partito Nazionale Fascista]], tra le file del quale fu comunque eletto [[deputato]] nel [[1924]]. Durante il [[governo Mussolini]] gli vennero assegnati vari incarichi: dal [[1929]] al [[1932]] fu sottosegretario alle Corporazioni.
 
Il 15 maggio [[1915]] si laureò in [[giurisprudenza]] all'[[Università di Genova]] e dieci giorni dopo, coerentemente con il suo [[interventismo]], presentò domanda di arruolamento volontario nell'esercito regio (in precedenza era stato riformato). Nel corso della [[Prima guerra mondiale|Grande Guerra]] fu promosso sottotenente (luglio 1915) e tenente (aprile [[1916]]), ricevendo una medaglia di bronzo (3 agosto 1916) e una d'argento (15 settembre [[1917]]) al valor militare. Vestì la divisa grigioverde fino al 26 luglio [[1919]], giorno in cui venne congedato<ref name=treccani/>.
Nel 1932 fu direttore della [[Mostra della Rivoluzione Fascista]]<ref>[http://search.acs.beniculturali.it/OpacACS/guida/IT-ACS-AS0001-0003706 Home<!-- Titolo generato automaticamente -->]</ref> che aveva ideato come direttore dell'[[Istituto fascista di cultura]] di Milano. Dal [[1935]] fu sottosegretario alla Stampa e Propaganda, facendo le funzioni del ministro [[Galeazzo Ciano]], impegnato nella [[guerra d'Etiopia]], dall'11 giugno [[1936]]. Quando il genero del [[duce]] occupò il dicastero degli Esteri, Alfieri venne nominato [[ministro]] della Cultura Popolare nel [[1937]] e un anno dopo, sottoscrivendo il ''Manifesto della razza'' ("Manifesto degli scienziati razzisti"), si dichiarò favorevole all'introduzione delle [[leggi razziali fasciste]].
 
Tornato alla vita civile, aprì uno studio legale e nel [[1920]] sposò Carlotta Bonomi. Continuò inoltre a militare tra le fila nazionaliste, divenendo dapprima consigliere comunale e poi assessore ([[1923]]-[[1924]]) del comune di Milano. Si dichiarò contrario alla confluenza dell'ANI nel [[Partito Nazionale Fascista]] - avvenuta nel marzo del 1923 - in quanto, a suo dire, essa avrebbe annacquato l'ideologia nazionalista<ref>P. V. Cannistraro, ''La fabbrica del consenso: fascismo e mass media'', Laterza, Bari, 1975, p. 14.</ref>. Fu comunque inserito nel [[Listone Mussolini]], con cui venne eletto deputato alle [[elezioni politiche italiane del 1924|elezioni del 1924]]; mantenne lo scranno parlamentare ininterrottamente fino al 2 agosto [[1943]].
Ambasciatore d'[[Italia]] presso il [[Vaticano]] nel [[1939]], un anno dopo si trasferisce con lo stesso ruolo in [[Germania]], dove ebbe l'opportunità di conoscere personalmente [[Adolf Hitler]]. Membro del [[Gran Consiglio del Fascismo]], nel luglio del [[1943]] vota sì all'[[ordine del giorno Grandi]] e per evitare ritorsioni fugge in [[Svizzera]], entrando dal valico di [[Astano]] grazie ai contatti del parroco don Isidoro Marcionetti. [[Condannato a morte]] in [[contumacia]] nel [[processo di Verona]] ([[1944]]), nel [[1947]] tornò in patria e un anno dopo pubblicò il libro ''Due dittatori a fronte'' (ovvero [[Mussolini]] e [[Hitler]]); negli anni Cinquanta aderì al [[Partito Nazionale Monarchico]]<ref>Federico Robbe, [http://books.google.it/books?id=RLGMYDwRyHAC&pg=PA86&dq=vito+mussolini+msi&hl=it&sa=X&ei=wIwwU6WGBsWBywOUl4KQCw&ved=0CDEQ6AEwAA#v=onepage&q=vito%20mussolini%20msi&f=true ''L'impossibile incontro. Gli Stati Uniti e la destra italiana negli anni Cinquanta''], FrancoAngeli, Milano, 2012, pag. 86</ref>.
 
== La carriera durante il regime ==
Riposa nella Necropoli del [[Cimitero Monumentale di Milano]], nell'Edicola 82A<ref>{{Cita news|autore=Comune di Milano|titolo=App di ricerca defunti Not 2 4get|pubblicazione=|data=}}</ref>.
 
Sotto il regime fascista Alfieri ebbe vari incarichi: dapprima fu presidente dell'Istituto fascista di cultura di Milano (di cui era stato anche fondatore) e dell'Ente nazionale della cooperazione dal [[1925]] al [[1929]]; successivamente, dal 9 novembre 1929 al 20 luglio [[1932]] entrò nel [[governo Mussolini]] come sottosegretario al ministero delle Corporazioni, il cui dicastero era retto in quel periodo da [[Giuseppe Bottai]]. Nel 1932 fu direttore della [[Mostra della Rivoluzione Fascista]]<ref>[http://search.acs.beniculturali.it/OpacACS/guida/IT-ACS-AS0001-0003706 Home<!-- Titolo generato automaticamente -->]</ref>, che aveva ideato come direttore dell'[[Istituto fascista di cultura]] di Milano.
 
Il 15 gennaio [[1933]] fu nominato presidente della [[Società italiana degli autori ed editori]], incarico che mantenne fino al [[1936]]. Il 22 agosto [[1935]] tornò al governo come sottosegretario del neocostituito ministero della Stampa e Propaganda, che di fatto resse personalmente nei giorni della [[guerra d'Etiopia]] essendo [[Galeazzo Ciano]] al fronte: questa grande responsabilità, unita al sodalizio che si venne a creare tra Alfieri e il genero del [[Duce]], gli permise di diventare uno dei [[gerarca|gerarchi]] più in vista<ref name=treccani/>.
 
L'11 giugno 1936, dopo che Ciano aveva assunto il ministero degli Esteri, Alfieri divenne ministro per la Stampa e la Propaganda (ribattezzato [[Minculpop|dicastero della Cultura Popolare]] dal 27 maggio [[1937]]). [[Quinto Navarra]], usciere di [[palazzo Chigi]] e commesso di [[Benito Mussolini|Mussolini]], ricordò nelle sue memorie come Alfieri fosse il gerarca più rimproverato dal dittatore, ma anche quello che sapeva incassare meglio le sfuriate<ref>Q. Navarra, ''Memorie del commesso di Mussolini'', Longanesi, Milano, 1983, p. 143.</ref>. Nel [[1938]] Alfieri, sottoscrivendo il ''Manifesto della razza'' ("Manifesto degli scienziati razzisti"), si dichiarò favorevole all'introduzione delle [[leggi razziali fasciste]].
 
Nell'ottobre del [[1939]] gli venne comunicato l'imminente licenziamento dal ministero e Ciano scrisse di volerlo "tenere a galla" facendolo nominare o presidente della [[Camera dei fasci e delle corporazioni]] o ambasciatore presso la Santa Sede<ref>Si vede il ''Diario'' di Galeazzo Ciano alla data 19 ottobre 1939.</ref>: quest'ultima sortita riuscì e Alfieri iniziò la sua attività diplomatica in Vaticano il 9 novembre. Subito si mise all'opera per organizzare uno scambio di visite tra tra [[Vittorio Emanuele III]] e [[Pio XII]]: gli incontri avvennero tra il 21 e il 28 dicembre e diedero molta popolarità ad Alfieri, essendo questa la prima uscita ufficiale del Pontefice dal 1870<ref name=treccani/>.
 
Nel maggio del 1940, dovendosi sostituire l'ambasciatore a Berlino [[Bernardo Attolico]], Mussolini conferì questa carica proprio ad Alfieri, che allo scoppio della [[Seconda guerra mondiale]] era stato un fautore della non belligeranza italiana: volendo sottolineare la scialba personalità del nominato, [[Michele Lanza (diplomatico)|Michele Lanza]] scrisse che "tale scelta indicava chiaramente che, nell'attuale momento, il nostro governo vuole a Berlino un rappresentante di parata che non faccia della politica, non sollevi questioni, e non scriva rapporti"<ref>L. Simoni [M. Lanza], ''Berlino, Ambasciata d'Italia, 1939-1943'', Edizioni Migliaresi, Roma, 1946, p. 100.</ref>.
 
== La caduta del fascimo e gli ultimi anni ==
I dispacci che inviò dalla capitale del [[Terzo Reich]] nel corso del conflitto furono sempre improntati all'ottimismo - cosa di cui Ciano si lagnò nei suoi Diari - fino all'ottobre del 1942, quando iniziò un mutamento di rotta. Membro del [[Gran Consiglio del Fascismo]], nella storica seduta del 25 luglio 1943 votò farevolemente all'[[ordine del giorno Grandi]], che mise Mussolini in minoranza e causò la fine del regime. Temendo rappresaglie naziste, non tornò più a Berlino ed il 31 luglio il nuovo Ministero degli Esteri [[Raffaele Guariglia]] accettò le sue dimissioni da ambasciatore<ref name=treccani/>.
 
Alfieri si nascose inizialmente a Milano ma, con la nascita della [[Repubblica Sociale Italiana]], per evitare ritorsioni fuggì in [[Svizzera]], entrando dal valico di [[Astano]] grazie ai contatti del parroco don Isidoro Marcionetti. [[Condannato a morte]] in [[contumacia]] nel [[processo di Verona]] il 10 gennaio [[1944]], venne collocato a riposo come ambasciatore il 1º agosto dello stesso anno (il regime di [[Salò]] aveva preso analoga decisione il 5 novembre 1943)<ref name=treccani/>.
 
Nel dopoguerra venne deferito presso l'[[Alta corte di giustizia per le sanzioni contro il fascismo]], ma il 12 novembre [[1946]] fu prosciolto in istruttoria "perché la sua azione non integrava i termini del reato rispetto all'accusa maggiore e per amnistia per quelle minori". Uguale sorte ebbe, il 6 febbraio 1947, il procedimento dinanzi alla Commissione per l'epurazione del personale del ministero degli Esteri; in entrambi i casi decisivo per l'assoluzione di Alfieri fu il comportamento di [[Alcide de Gasperi]] che, chiamato dal tribunale ad esprimere un parere, scrisse:
 
{{quote|Certo è, in linea generale, esatto che l'Alfieri, che di politica estera era peraltro digiuno e che non possedeva le qualità necessarie ad un mestiere che gli era completamente nuovo, fu germanofilo; che fu per questo designato dai tedeschi come persona gradita; che si adoperò, nella sua veste di ambasciatore, a rafforzare le relazioni tra Roma e Berlino. È peraltro anche esatto che, nel corso della guerra, tali suoi sentimenti e propositi subirono oscillazioni varie, come, tra l'altro, il diario Ciano documenta. L'Alfieri, fu comunque in questa, come nelle altre sue capacità, al di sotto della mediocrità. Sarebbe certamente sopravalutarlo, attribuirgli responsabilità di decisione o di iniziativa in materia di politica estera, che indubbiamente non ebbe.|Alcide de Gasperi<ref>Roma, Arch. stor. del min. per gli Aff. Esteri, ''fasc. pers.''</ref>}}
 
Nel [[1947]] Alfieri tornò in patria e un anno dopo pubblicò il libro ''Due dittatori a fronte'' (ovvero Benito Mussolini e [[Adolf Hitler]]). Pensionato come ambasciatore, negli anni Cinquanta Alfieri aderì al [[Partito Nazionale Monarchico]]<ref>Federico Robbe, [http://books.google.it/books?id=RLGMYDwRyHAC&pg=PA86&dq=vito+mussolini+msi&hl=it&sa=X&ei=wIwwU6WGBsWBywOUl4KQCw&ved=0CDEQ6AEwAA#v=onepage&q=vito%20mussolini%20msi&f=true ''L'impossibile incontro. Gli Stati Uniti e la destra italiana negli anni Cinquanta''], FrancoAngeli, Milano, 2012, pag. 86</ref> ed ebbe presidenze in organismi economici a carattere internazionale. Riposa nella Necropoli del [[Cimitero Monumentale di Milano]], nell'Edicola 82A<ref>{{Cita news|autore=Comune di Milano|titolo=App di ricerca defunti Not 2 4get|pubblicazione=|data=}}</ref>.
 
==Note==