Scuola pitagorica: differenze tra le versioni

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=====La rinascita delle anime=====
Aristotele<ref>Aristotele,''De anima'' 407b20 = 58 B 39 DK, p. 955 tr. it.</ref> cita la metempsicosi come un "mito" della scuola pitagorica mentre Platone, il più noto per la sua dottrina della trasmigrazione delle anime <ref>Platone, ''Menone'', 81 AD; ''Fedone'', 70 A, ecc.</ref> non nomina mai Pitagora ma piuttosto indica [[Filolao]], membro della scuola pitagorica.<ref>Platone, ''Fedone'', 61b</ref>
Secondo lo studioso svizzero Christoph Riedweg, filologo classico e specialista di Pitagora, che ha tentato, in ''Pythagoras: Leben–Lehre–Nachwirkung'' (Monaco 2002)<ref>In italiano: ''Pitagora. Vita, dottrina e influenza'', op.cit.</ref> di ricostruirne i lineamenti storici, il divieto delle fave, assieme alle varie interpretazioni di natura "totemistica", sanitaria o ricollegabile a somiglianze fisiche, è da rapportarsi alla dottrina della rinascita delle anime <ref>C. Riedweg, ''Op.cit.'', p.20</ref> come attestano sia un verso attribuito ad [[Orfeo]], la figura simbolo a cui fanno capo i [[Misteri orfici]], citato da [[Eraclide Pontico]] che lo riferisce a Pitagora («''È uguale mangiare fave e mangiare le teste dei propri genitori''» <ref>''Orphicorum Fragmenta'' 291 = Eraclide Pontico, Fr.41 Wehrli </ref>), sia un frammento di Empedocle <ref>«''Ci sono delle buone ragioni per credere che Empedocle [possa essere accostato] a Pitagora al quale esso si avvicina non solo per il rifiuto di uccidere qualsiasi essere animato e per il tabù delle fave ma anche nel modo di presentarsi e nel rappresentare se stesso come un essere divino''» (in C. Riedweg, ''Op.cit.'', p.20</ref> che condivide la dottrina della trasmigrazione delle anime («''Sciagurati, assolutamente sciagurati, tenete lontane le vostre mani dalle fave''» <ref>Empedocle, 31 B 141 DK</ref>) che ritornano sulla terra proprio durante le fioritura delle fave, quando «vengono alla luce dalle dimore dell'Ade» <ref>C. Riedweg, ''Op.cit.'', p.132 </ref>
Alcuni versi di [[Senofane]], riportati da [[Diogene Laerzio]] <ref>Diogene Laerzio,21 B 7 DK in VIII, 36, pp. 301-303 tr. it.</ref> alludono alla metempsicosi riferendola a un aneddoto con protagonista Pitagora:
{{Citazione|Si dice che un giorno, passando vicino a qualcuno che maltrattava un cane, [Pitagora], colmo di compassione, pronunciò queste parole: "Smettila di colpirlo! La sua anima la sento, è quella di un amico che ho riconosciuto dal timbro della voce."}}
Oltre a questo riferimento lo stesso [[Diogene Laerzio]] scrive:
{{Citazione|Si narra che Pitagora sia stato il primo presso i greci ad insegnare che l'anima deve passare per il ''cerchio delle necessità'' e che veniva legata in vari tempi a diversi corpi viventi...<ref>Edoardo Bratina ''Vite e dottrine dei filosofi'', ''La Reincarnazione, documentata dalla religione, filosofia e scienza'', ETI, Trieste 1972, pag. 27.</ref>}}
 
Secondo lo studioso svizzero Christoph Riedweg, filologo classico e specialista di Pitagora, che ha tentato, in ''Pythagoras: Leben–Lehre–Nachwirkung'' (Monaco 2002)<ref>In italiano: ''Pitagora. Vita, dottrina e influenza'', op.cit.</ref> di ricostruirne i lineamenti storici, il divieto delle fave, assieme alle varie interpretazioni di natura "totemistica", sanitaria o ricollegabile a somiglianze fisiche, è da rapportarsi alla dottrina della [[reincarnazione|rinascita delle anime]] <ref>C. Riedweg, ''Op.cit.'', p.20</ref> come attestano sia un verso attribuito ad [[Orfeo]], la figura simbolo a cui fanno capo i [[Misteri orfici]], citato da [[Eraclide Pontico]] che lo riferisce a Pitagora («''È uguale mangiare fave e mangiare le teste dei propri genitori''» <ref>''Orphicorum Fragmenta'' 291 = Eraclide Pontico, Fr.41 Wehrli </ref>), sia un frammento di Empedocle <ref>«''Ci sono delle buone ragioni per credere che Empedocle [possa essere accostato] a Pitagora al quale esso si avvicina non solo per il rifiuto di uccidere qualsiasi essere animato e per il tabù delle fave ma anche nel modo di presentarsi e nel rappresentare se stesso come un essere divino''» (in C. Riedweg, ''Op.cit.'', p.20</ref> che condivide la dottrina della trasmigrazione delle anime («''Sciagurati, assolutamente sciagurati, tenete lontane le vostre mani dalle fave''» <ref>Empedocle, 31 B 141 DK</ref>) che ritornano sulla terra proprio durante le fioritura delle fave, quando «vengono alla luce dalle dimore dell'Ade» <ref>C. Riedweg, ''Op.cit.'', p.132 </ref>
 
Altre moderne interpretazioni risalgono a quella di Gerald Hart,<ref>In ''Descriptions of blood and blood disorders before the advent of laboratory studies'' (''British Journal of Haematology'', 2001, 115, 719-728</ref> secondo cui il [[favismo]] era una malattia diffusa nella zona del crotonese e ciò conferirebbe al divieto una motivazione profilattica-sanitaria. Dunque Pitagora viveva in zone di favismo diffuso, e da questo nasceva la sua proibizione igienica; ma perché i medici greci non avevano identificato questa patologia? Nell'esperienza quotidiana le fave erano un cardine dell'alimentazione che tutt'al più causava flatulenze e insonnia e se qualcuno che aveva mangiato fave contemporaneamente si ammalava i due fatti non venivano collegati. Se dunque Pitagora dell'astenersi dal mangiare fave ne fa addirittura un precetto morale è perché i greci del VI secolo a.C. avevano un modo diverso dal nostro di considerare le malattie nel senso che le riferivano alla religione <ref>[[Mirko Grmek]], ''Le malattie all'alba della civiltà occidentale'', Il Mulino 1985</ref> per cui, come ha messo in luce [[Claude Lévi-Strauss]], le fave erano considerate connesse al mondo dei morti, della decomposizione e dell'impurità, dalle quali il filosofo si deve tenere lontano.