Il gladiatore: differenze tra le versioni

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== Trama ==
{{citazione| Io sono Massimo Decimo Meridio, generale delle legioni Felix, servo fedele dell'unico vero imperatore Marco Aurelio, padre di un figlio assassinato, marito di una moglie uccisa, e avrò la mia vendetta, in questa vita o nell'altra|Massimo Decimo Meridio}}
 
Nell'anno [[180|180 d.C.]], il valente generale Massimo Decimo Meridio<ref>Detto Meridio perché nato a [[Mérida (Spagna)|Mérida]], l'antica [[Emerita Augusta]], capitale della [[Lusitania (provincia romana)|Lusitania]].</ref> guida l'[[esercito romano]] alla vittoria durante la guerra contro i [[Marcomanni]] in [[Marcomannia|Germania]], guadagnandosi ancora di più la stima dell'anziano [[Imperatori romani|imperatore romano]] [[Marco Aurelio]], gravemente malato; questi, che si sente prossimo alla fine, non accetta il proprio figlio [[Commodo]] come proprio successore, considerandolo inadatto al ruolo; designa pertanto il generale Massimo, vedendovi il figlio che avrebbe voluto avere al posto di Commodo: Marco Aurelio intende affidargli il compito di ripristinare la [[repubblica romana|repubblica]] restituendo il potere al [[Senato romano|senato]], ovvero al popolo romano, come avveniva prima dell'avvento dell'[[età imperiale]].
 
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Lucilla, dopo aver visto Massimo in vita, s'incontra segretamente con lui in una delle celle in cui si trovano i gladiatori. Durante il loro colloquio, Massimo l'accusa con rabbia di aver partecipato agli omicidi del padre e della sua famiglia, ma lei lo nega decisamente, dichiarandosi a sua volta terrorizzata e vittima del fratello. Lucilla confida a Massimo di disporre di potenti alleati in Senato che vogliono detronizzare Commodo e lo invita ad allearsi con loro per rovesciare il fratello, ma Massimo rifiuta e le chiede di dimenticarlo, chiudendo bruscamente l'incontro.
 
Il giorno dopo Massimo deve fronteggiare l'unico gladiatore imbattuto che ritorna nell'arena cinque anni dopo il suo ritiro, Tigris delle [[Gallia|Gallie]]. Durante il combattimento, più volte, da botole che si aprono nell'arena, balzano fuori delle tigri incatenate che si avventano, trattenute a stento dagli addetti, contro Massimo. Una delle tigri riesce ad atterrarlo, ma viene trafitta da Massimo che riesce, pur sotto il peso del felino, a colpire ripetutamente Tigris, che cade a terra sconfitto. Tigris, condannato a morte dal [[pollice verso]] di Commodo, viene graziato da Massimo che si rifiuta di ucciderlo, sfidando deliberatamente l'ordine dell'Imperatore., che gli impone di rivelare la sua vera identità:
{{citazione|Io sono Massimo Decimo Meridio, generale delle legioni Felix, servo fedele dell'unico vero imperatore Marco Aurelio, padre di un figlio assassinato, marito di una moglie uccisa, e avrò la mia vendetta, in questa vita o nell'altra|Massimo Decimo Meridio}}
La folla lo acclama come "Massimo il misericordioso", mentre Commodo, abbandonato il palco, lo raggiunge nell'arena e insulta la memoria dei cari di Massimo con lo scopo di farlo combattere contro di sé: senza perdere la calma, Massimo si volge e si allontana, sottolineando ancora una volta la sua volontà a non riconoscere Commodo come imperatore.
 
Mentre viene riaccompagnato alla scuola dei gladiatori, Massimo viene informato da Cicero, il suo fedele servitore, che il suo esercito, accampato ad Ostia, gli è rimasto fedele. Riesce a incontrarsi nelle celle dei gladiatori con Lucilla e il senatore Pertinace Gracco, al quale chiede di farlo uscire da Roma e ricongiungere col suo esercito, col quale tornerà a Roma e rovescerà Commodo, tutto questo lo dice mentre bacia Lucilla. Sospettando il tradimento della sorella, Commodo minaccia indirettamente il figlio di lei, Lucio, costringendola a rivelare il complotto con dispiacere. I pretoriani arrestano immediatamente Gracco e prendono d'assalto la caserma, combattendo contro i gladiatori di Proximo, mentre Massimo scappa. Hagen e Proximo vengono uccisi durante l'assedio, mentre Juba e i superstiti vengono imprigionati. Massimo fugge attraverso un tunnel dalle mura della città, ma assiste impotente alla morte di Cicero, trafitto dalle frecce dei pretoriani, e viene catturato da alcune guardie pretoriane.