Bartolomeo Ammannati: differenze tra le versioni

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Nel [[1555]], alla morte di Giulio III, se ne tornò a Firenze, dove l'aveva mandato a chiamare Vasari, già da un anno trasferitosi alla corte di [[Cosimo I de' Medici]]. Il primo lavoro che attese fu quello di una grande fontana detta ''di Giunone'' da collocare in [[palazzo Vecchio]], nel [[salone dei Cinquecento]], dirimpetto alla tribuna del [[Bandinelli]]. Fu un'opera travagliata, che finì per essere collocata da [[Francesco I de' Medici|Francesco I]] nel [[giardino di Pratolino]]. Le statue dell'insieme (l<nowiki>'</nowiki>''Arno'', la ''Fonte del Parnaso'', ''Allegoria di Firenze'', la ''Maturità del Consiglio'' e la ''Terra''), scolpite tra il [[1555]] e il [[1561]], furono definite da Michelangelo una "bella fantasia", e solo recentemente sono state riunite nel cortile del [[Museo del Bargello|Bargello]]<ref name=Treccani/>.
 
Nel [[1559]] partecipò al concorso per un'altra fontana, destinata ad essere la prima pubblica di Firenze, da collocare in [[piazza della Signoria]], a culmine dell'importante costruzione di un acquedotto che dalla collina a sud della città portava acqua salubre nella parte nord, passando sotto l'Arno. L'Ammannati, favorito da [[Eleonora di Toledo]], risultò vincitore contro [[Benvenuto Cellini]], il [[Giambologna]] e [[Vincenzo Danti]] (mortomentre inil quel[[Baccio periodoBandinelli|Bandinelli]] fuera ilappena Bandinelliscomparso), iniziando le fondazioni dell'opera il 10 marzo [[1563]] e inaugurandola nel [[1577]]. Si tratta della [[fontana del Nettuno (Firenze)|fontana del Nettuno]], composta da una vasca dal disegno elegantissimo, dal cocchio del dio e dalla sua statua colossale, la terza e ultima in ordine cronologico tra i giganti ammannatiani, dopo quello (perduto) per la Marciana e quello per il giardino di Marco Mantova Benavides, a Padova<ref name=Treccani/>.
 
Il ''Nettuno'' però, citando il vicino [[David di Michelangelo]], fu aspramente criticato, non solo dai rivali (aspro il commento del [[Benvenuto Cellini|Cellini]], che nella sua ''[[Vita (Cellini)|autobiografia]]'' descrisse l'artista come il "degno" seguace dell'odiato [[Baccio Bandinelli]]), ma anche dagli intellettuali di corte (il Borghini scrisse come "[non poté] far mostrare alla sua figura attitudine con le braccia alzate; ma fu costretto a farla con grande difficultà come oggi si vede") e anche dal popolo minuto, che coniò per la statua l'appellativo di "Biancone" con cui ancora oggi è nota, intendendo come l'unica cosa che colpisce di essa è il bianco del marmo, oltre al ritornello canzonatorio "Ammannato, Ammannato, quanto marmo hai sciupato!". Solo in tempi recenti la sua opera è stata oggetto di rivalutazione, sottolineandone le novità anticlassiche e la sintesi tra il titanismo di Michelangelo e le dolcezze di matrice veneta<ref name=Treccani/>.