Armistizio di Cassibile: differenze tra le versioni

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Costituì l'atto con il quale il [[Regno d'Italia (1861-1946)|Regno d'Italia]] cessò le ostilità verso gli [[Alleati della seconda guerra mondiale|Alleati]] durante la [[seconda guerra mondiale]] e l'inizio di fatto della [[resistenza italiana]] contro il [[nazifascismo]].
 
Poiché tale atto stabiliva la sua entrata in vigore dal momento del suo annuncio pubblico, esso è comunemente datato all'8 settembre, data in cui, alle 18:30 italiane,<ref>{{Cita web |url=http://news.bbc.co.uk/onthisday/hi/dates/stories/september/8/newsid_3612000/3612037.stm|titolo=Le 17.30 di Algeri}}</ref> fu reso noto prima dai microfoni di [[Radio Algeri]] da parte del generale [[Dwight D. Eisenhower|Dwight Eisenhower]] e, poco più di un'ora dopo, alle 19:42, confermato dal [[proclama Badoglio dell'8 settembre 1943|proclama]] del [[Maresciallo d'Italia|maresciallo]] [[Pietro Badoglio]] trasmesso dai microfoni dell'[[Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche|EIAR]].<ref>[[Ruggero Zangrandi]], ne ''L'Italia tradita'', Mursia, 1971, riprendendo il ricordo dello ''speaker'' Giovan Battista Arista, racconta i dettagli dell'annuncio, trasmesso dall'auditorio "O"; preparata la diretta, fu interrotta la canzone "Una strada nel bosco" e dopo una breve introduzione di Arista, Badoglio lesse il suo comunicato, subito registrato per poter essere successivamente ritrasmesso. Zangrandi, che dedica questo libro ad una feroce critica nei confronti di Badoglio, sapidamente precisa che Badoglio lo pronunciò "quasi in italiano".</ref>
 
== Antefatti ==
{{NN|storia|gennaio 2016}}
Nella prima metà del 1943, in una situazione generale di grave preoccupazione, indotta dall'opinione, sempre più condivisa, che la [[guerra]] fosse ormai perduta e che stesse apportando insopportabili e gravissimi danni al Paese, [[Benito Mussolini]], capo del [[fascismo]], operò una serie di avvicendamenti, che investirono alcuni dei più significativi centri di potere e delle alte cariche dello [[Stato]], rimuovendo, tra l'altro, alcuni personaggi che reputava ostili alla prosecuzione del conflitto accanto alla Germania, o comunque più fedeli al Re che non al regime. Tra gli altri, furono rimossi [[Giuseppe Volpi]], presidente della [[Confederazione generale dell'industria italiana|Confindustria]] e membro del [[Gran consiglio del fascismo|Gran Consiglio del fascismo]], [[Galeazzo Ciano]], ministro degli Esteri e genero del duce, relegato a servire quale ambasciatore presso il [[Città del Vaticano|Vaticano]], e il ministro della Cultura popolare [[Alessandro Pavolini]], cui fu affidata la direzione del quotidiano "''[[Il Messaggero]]''".
 
Secondo alcuni studiosi, fu a seguito di tali sostituzioni, finalizzate a rafforzare il regime in crisi di consenso, se non apertamente ostili al [[Palazzo del Quirinale|Quirinale]] (dal quale giungevano da tempo segnali critici occulti nei confronti del [[governo]]), che [[vittorio Emanuele III di Savoia|re Vittorio Emanuele III]] avrebbe rotto gli indugi e cominciato a progettare in via esecutiva un piano che consentisse la destituzione del duce. [[Maria José del Belgio|Maria Josè di Savoia]], moglie del principe ereditario [[Umberto II d'Italiadi Savoia|Umberto]], già ai primi di settembre del [[1942]] - un anno prima dell'armistizio dell'[[Proclama Badoglio dell'8 settembre 1943|8 settembre 1943]] - aveva avviato, tramite [[Guido Gonella]], contatti con il [[Città del Vaticano|Vaticano]], nella persona di Monsignor [[Papa Paolo VI|Giovanni Battista Montini]], auspicando di potersi avvalere della diplomazia papale quale tramite per aprire un canale di comunicazione con gli Alleati (in particolare con l'ambasciatore degli [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]] presso la Santa Sede, [[Myron Charles Taylor|Myron C. Taylor]]) al fine di far uscire l'Italia dalla [[seconda guerra mondiale]].
 
Per questo fu avvicinato [[Dino Grandi]], uno dei gerarchi più intelligenti e prestigiosi dell'élite di comando, che in gioventù si era evidenziato come il solo vero potenziale antagonista di Mussolini all'interno del [[Partito Nazionale Fascista]], e del quale si aveva motivo di sospettare che avesse di molto rivisto le sue idee sul [[regime (politica)|regime]]. A Grandi, attraverso garbati e fidati mediatori fra i quali il [[Pietro d'Acquarone|Conte d'Acquarone]], ministro della Real Casa, e lo stesso [[Pietro Badoglio]], si prospettò l'opportunità di avvicendare il [[dittatura|dittatore]] e si convenne che la stagione del fascismo originale, quello dell'"idea pura" dei [[Fasci italiani di combattimento|fasci di Combattimento]], era finita e il regime si era irrimediabilmente annacquato in un qualunque sistema di gestione del [[potere]], avendo perso ogni speranza di sopravvivere a sé stesso.
 
Grandi riuscì a coinvolgere nella [[Fronda (movimento)|fronda]] sia [[Giuseppe Bottai]], altro importantissimo [[gerarca]] che sosteneva l'idea originaria e "sociale" del fascismo operando sui campi della [[cultura]], sia [[Galeazzo Ciano]], che oltre che ministro e altissimo gerarca anch'egli, era pure genero del Duce. Con essi diede vita all'Ordine del Giorno che avrebbe presentato alla riunione del [[Gran consiglio del fascismo]] il 25 luglio 1943 e che conteneva l'invito rivolto al re a riprendere le redini della situazione politica. Mussolini fu arrestato e sostituito da Badoglio, anziché, come era stato sempre detto a Grandi, da [[Enrico Caviglia]].
 
La nomina di Badoglio non significava una tregua, sebbene fosse un tassello della manovra [[Casa Savoia|sabauda]] per giungere alla [[pace]]. Attraverso un gran numero di espedienti, si cercò un produttivo contatto con le potenze alleate, cercando di ricostruire quei passaggi delle trattative (sempre indicate come spontanee e indipendenti) già intessute da [[Maria José didel SavoiaBelgio|Maria José]], consorte di [[Umberto II di Savoia|Umberto di Savoia]], che potevano stavolta meritare l'avallo del re.
 
Il generale Castellano fu inviato a [[Lisbona]] per incontrare gli inviati alleati, tuttavia, non poté attuare la missione con la speditezza che la drammaticità della situazione esigeva. Castellano, infatti, fu autorizzato a raggiungere il territorio neutrale soltanto in treno, e impiegò tre giorni per raggiungere [[Madrid]] e in seguito Lisbona. Castellano non parlava inglese e poté avvalersi come traduttore e assistente del console [[Franco Montanari (ambasciatore)|Franco Montanari]] (che lo accompagnò in seguito fino a Cassibile). Solo il 19 agosto conferì con i rappresentanti del Comando Alleato. Ripartì il giorno 23, giungendo finalmente a [[Roma]] il 27 agosto. La missione era durata quindici giorni.
Nel frattempo, per affiancare l'inviato italiano, furono mandati a Lisbona in aereo il generale Rossi e il generale Zanussi, che si presentarono ai rappresentanti alleati appena ripartito Castellano per Roma. Questa scelta generò anche una certa perplessità tra gli alleati; in particolare il generale [[Giacomo Zanussi|Zanussi]], già addetto militare a [[Berlino]], non era ben visto dagli alleati peraltro confusi dall'invio di delegazioni così ravvicinate e senza coordinamento<ref>[http://www.provincia.asti.it/hosting/moncalvo/franco%20montanari/f_montanari.htm G. Boano, M. Varvelli, ''Franco Montanari. Biografia'', Asti, Comune di Moncalvo, Stampa Espansione Grafica, 1995, p.30] {{webarchive|url=https://web.archive.org/web/20150924082559/http://www.provincia.asti.it/hosting/moncalvo/franco%20montanari/f_montanari.htm |data=24 settembre 2015 }} IT\ICCU\TO0\0634724</ref>.
L'ambasciatore britannico [[Ronald Campbell]] e i due generali inviati nella capitale [[portogallo|portoghese]] dal generale [[Dwight D. Eisenhower|Dwight David Eisenhower]], lo statunitense [[Walter Bedell Smith]] e il britannico [[Kenneth Strong]], ricevettero la disponibilità di [[Roma]] alla resa.<ref>{{cita web
|url=http://www.neill-lochery.co.uk/blog/an-attempted-italian-surrender-in-august-1943_1.html
|titolo=An attempted italian surrender in august 1943 |accesso=8 settembre 2014
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La proposta di resa, in realtà non era considerata con grande euforia da parte alleata, in quanto le sorti della guerra erano già evidentemente segnate verso una probabile prossima sconfitta delle armate italiane. Comunque la resa avrebbe significato un'accelerazione del corso della guerra verso la sconfitta tedesca, anche se poteva limitare in parte i vantaggi che le forze alleate intendevano trarre dalla vittoria militare.<ref name="Baroni">{{Cita libro |url=http://books.google.it/books?id=ru0_lxsVHAsC&pg=PA37&dq=&hl=it&ei=bUOjTPenJo_vOY-ImboD&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=1&ved=0CCsQ6AEwAA#v=onepage&q&f=false|autore=Piero Baroni|titolo=8 settembre: il tradimento|editore=Greco & Greco Editori|anno=2005|isbn=978-88-7980-391-5}}</ref>
 
Da autorevoli commenti successivi, e anche dalla vasta [[Memorie (genere letterario)|memorialistica]] prodotta nel [[secondoSecondo dopoguerra in Italia|dopo-guerra]] dai soggetti coinvolti (uno dei quali era proprio Eisenhower), si è dedotto che comunque fu l'incertezza nei rapporti fra le potenze alleate, e l'intento di evitare, a guerra ancora aperta, pericolose frizioni di interesse fra loro, che spinse gli alleati ad accettare di parlarne con concreta attenzione. Se l'Italia fosse stata conquistata, ad esempio, dagli statunitensi (già in posizione di supremazia militare nell'alleanza), l'Inghilterra e l'URSS avrebbero ovviamente distinto le loro posizioni per garantirsi equilibri che ne pareggiassero la strategica acquisizione, e avrebbero combattuto per loro conto, forse - eventualmente - anche contro gli stessi statunitensi. In più, in un'eventuale spartizione, era assolutamente da evitare (secondo gli altri) che l'Italia cadesse in mano britannica, giacché Londra avrebbe potuto monopolizzare il traffico commerciale, [[colonialismo|coloniale]] e soprattutto petrolifero del [[Mar Mediterraneo|Mediterraneo]]. Se ancora [[Conferenza di Jalta|Jalta]] non era alla vista, se ne cominciava ad avvertire l'incombere.<ref name = Baroni/>
 
Accettare la resa (rinunciando a conquistare militarmente l'Italia), divenne dunque la scelta più utile, per la quale spendere molte energie [[diplomazia|diplomatiche]], sia da parte americana sia degli altri alleati.
 
Il 30 agosto, Badoglio convocò Castellano, rientrato il 27 da Lisbona con qualche prospettiva. Il generale comunicò la richiesta di un incontro in [[Sicilia]], che era già stata conquistata. La proposta fu avanzata dagli Alleati per il tramite dell'ambasciatore britannico in [[Città del Vaticano|Vaticano]], [[Francis D'Arcy Osborne|D'Arcy Osborne]] che collaborava a stretto contatto con il collega [[Stati Uniti d'America|statunitense]] [[Myron Charles Taylor]]. Si è congetturato che la scelta proprio di quel diplomatico non fosse stata casuale, a significare che il Vaticano, già attraverso [[Papa Paolo VI|monsignor Montini]] ben immerso in trattative diplomatiche per il futuro post-bellico, e sospettato dal [[Palazzo del Quirinale|Quirinale]] di aver osteggiato la pace in trattative precedenti, stavolta avallasse, o almeno non intendesse ostacolare, il perseguimento di un simile obiettivo.
 
== Scelta delle condizioni ==
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Al che, nella prima mattinata del 3 settembre, per sollecitare la delega, Castellano inviò un secondo telegramma a Badoglio, che questa volta rispose quasi subito con un [[Telegrafo|radiogramma]] in cui chiariva che il testo del telegramma del 1º settembre era già un'implicita accettazione delle condizioni di armistizio poste dagli Alleati.
 
Ma di fatto continuava comunque a mancare una delega a firmare e si dovette attendere un ulteriore telegramma di Badoglio, pervenuto solo alle 16,30: oltre all'esplicita autorizzazione a firmare l'armistizio per conto di Badoglio, il telegramma informava che la dichiarazione di autorizzazione era stata depositata presso l'ambasciatore britannico in Vaticano [[Francis D'Arcy Osborne|D'Arcy Osborne]].
 
A quel punto si procedette alla firma del testo dell'armistizio 'breve'.
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== Le firme ==
[[File:Il generale Castellano firma l'armistizio per conto di Badoglio.jpg|thumb|Il generale [[Giuseppe Castellano]] firma l'armistizio a [[Cassibile]] per conto di Badoglio. In piedi Walter Bedell Smith (a destra) e il funzionario del ministero degli esteri [[Franco Montanari (ambasciatore)|Franco Montanari]] (a sinistra)]]
L'operazione ebbe inizio intorno alle 17: apposero la loro firma Castellano, a nome di Badoglio, e Walter Bedell Smith (futuro direttore della [[Central Intelligence Agency|CIA]]) a nome di Eisenhower. Alle 17,30 il testo risultava firmato. Fu allora bloccata ''[[in extremis]]'' dal generale Eisenhower la partenza di cinquecento aerei già in procinto di decollare per una missione di bombardamento su Roma, minaccia che aveva corroborato lo sveltimento dei dubbi di Badoglio e che probabilmente sarebbe stata attuata se la firma fosse saltata.
 
[[Harold Macmillan]], il ministro britannico distaccato presso il [[quartier generale]] di Eisenhower, informò subito [[Winston Churchill|Churchill]] che l'armistizio era stato firmato "[...] senza [[emendamento|emendamenti]] di alcun genere".
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A Castellano furono solo allora sottoposte le [[Clausola (diritto)|clausole]] contenute nel testo dell'[[Armistizio lungo|armistizio 'lungo']], già presentate invece a suo tempo dall'ambasciatore Campbell al generale [[Giacomo Zanussi]], anch'egli presente a Cassibile già dal 31 agosto, che tuttavia, per ragioni non chiare, aveva omesso di informarne il collega. Bedell Smith sottolineò che le clausole aggiuntive contenute nel testo dell'armistizio "lungo" avevano tuttavia un valore dipendente dalla effettiva collaborazione italiana alla guerra contro i tedeschi.
 
Nel pomeriggio dello stesso 3 settembre Badoglio si riunì con i ministri della Marina, [[Raffaele Dede Courten|De Courten]], dell'Aeronautica, [[Renato Sandalli|Sandalli]], della Guerra, [[Antonio Sorice|Sorice]], presenti il generale Ambrosio e il [[ministro della Real Casa]] [[Pietro d'Acquarone|Acquarone]]: non fece cenno alla firma dell'armistizio, riferendosi semplicemente a trattative in corso.
 
Fornì invece indicazioni sulle operazioni previste dagli Alleati; in particolare, nel corso di tale riunione, avrebbe fatto cenno allo sbarco in [[Calabria]], a uno sbarco di ben maggiore rilievo atteso nei pressi di [[Napoli]] e all'azione di una divisione di paracadutisti alleati a Roma, che sarebbe stata supportata dalle divisioni italiane in città perché ormai l'Italia avrebbe agevolato gli alleati.
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== L'otto settembre ==
Nelle prime ore del mattino, dopo un bombardamento aeronavale alleato delle coste calabresi, ebbe inizio fra [[Villa San Giovanni]] e [[Reggio Calabria]] lo sbarco di soldati della 1ª Divisione [[Canada|canadese]] e di reparti britannici; si trattò di un imponente diversivo per concentrare l'attenzione dei tedeschi molto a sud di [[Salerno]], dove avrebbe avuto invece luogo lo [[OperazioneSbarco Avalanchea Salerno|sbarco principale]].
 
Due americani, il generale di brigata [[Maxwell Taylor|Maxwell D. Taylor]] e il colonnello William T. Gardiner, furono inviati in segreto a Roma per verificare le reali intenzioni degli italiani e la loro effettiva capacità di supporto per i paracadutisti americani. La sera del 7 settembre incontrarono il generale [[Giacomo Carboni]], responsabile delle forze a difesa di Roma. Carboni manifestò l'impossibilità delle forze italiane di supportare i paracadutisti americani e la necessità di rinviare l'annuncio dell'armistizio. Gli americani chiesero di vedere Badoglio, il quale confermò l'impossibilità di un immediato armistizio. Eisenhower, avvisato dei fatti, fece annullare l'azione dei paracadutisti, che avevano già parzialmente preso il decollo dalla Sicilia, e decise di rendere pubblico l'armistizio. Alle 18:30 dell'8 settembre gli alleati annunciarono l'armistizio dai microfoni di Radio Algeri. Alle 18:45 un bollettino della [[Reuters]] raggiunge Vittorio Emanuele e Badoglio al Quirinale; il re decise di confermare l'annuncio degli americani.<ref>Rick Atkinson, "The Day of Battle", Holt, 2007</ref>
 
L'[[armistizio]] fu reso pubblico alle 19:45 dell'8 settembre dai microfoni dell'[[Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche|EIAR]] che interruppero le trasmissioni per trasmettere l'annuncio (precedentemente registrato) della voce di [[Proclama Badoglio dell'8 settembre 1943|Badoglio che annunciava l'armistizio alla nazione]].
 
== Conseguenze dell'armistizio di Cassibile ==
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L'annuncio dell'armistizio da parte degli alleati colse del tutto impreparate e lasciò quasi prive di direttive le forze armate italiane che si trovavano impegnate nei fronti all'estero, e quelle all'interno della madrepatria: non vi erano ordini né piani, né ve ne sarebbero stati nei giorni a seguire.
 
Il mattino successivo, di fronte alle prime notizie di un'avanzata di truppe tedesche dalla costa tirrenica verso [[Roma]], il re, la regina, il principe ereditario, Badoglio, due ministri del Governo e alcuni generali dello stato maggiore [[Fuga del redi Vittorio Emanuele III|fuggirono da Roma]] dirigendosi verso il sud Italia per mettersi in salvo dal pericolo di una cattura da parte tedesca. La fuga si arrestò a [[Brindisi]] che divenne per qualche mese la sede degli enti istituzionali. Il progetto iniziale era stato quello di trasferire con il re anche gli stati maggiori al completo delle tre forze armate, ma solo pochi ufficiali raggiunsero Brindisi.
 
Tristemente noto è l'episodio dell'imbarco nel [[porto di Ortona]]: poiché non c'era posto per tutti i componenti del numeroso seguito, molti di loro, pur essendo alti ufficiali delle Forze Armate, si gettarono inutilmente all'assalto della piccola [[corvetta]] "''Baionetta''", e una volta respinti a terra, colti dal panico, vestirono abiti borghesi e, abbandonando bagagli e uniformi per terra nel porto, si diedero alla macchia<ref>{{cita web|url=http://www.reumberto.it/bufera5.htm|titolo=testimonianza diretta}}</ref>.
 
Così, mentre avveniva il totale sbandamento delle forze armate, le armate tedesche della ''Wehrmacht'' e delle ''SS'' presenti in tutta la penisola poterono far scattare l'[[Operazione Achse]] (secondo i piani già predisposti sin dal 25 luglio dopo la destituzione di Mussolini) occupando tutti i centri nevralgici del territorio nell'Italia settentrionale e centrale, fino a [[Roma]], sbaragliando quasi ovunque l'esercito italiano: la maggior parte delle truppe fu fatta prigioniera e venne mandata nei [[Campo di internamentoconcentramento|campi di internamento]] in [[Germania]], mentre il resto andava allo sbando e tentava di rientrare al proprio domicilio. Di questi ultimi, chi per motivi ideologici o per opportunità si diede alla macchia andò a costituire i primi nuclei del movimento partigiano della [[resistenza italiana]].
[[File:Dopo la firma dell'armistizio 3 settembre 1943.jpg|sinistra|miniatura|350x350px|Cassibile (Siracusa), 3 settembre 1943. Dopo la firma dell'Armistizio fra l'Italia e le potenze alleate, posano per una foto nell'oliveto presso la tenda dove si è svolta la cerimonia. Da sinistra, il Brigadiere Generale inglese Kenneth Strong, il Generale italiano Giuseppe Castellano, il Generale statunitense Walter Bedell Smith (futuro direttore della CIA) e il diplomatico Franco Montanari, che aveva svolto le funzioni di traduttore e interprete per Castellano.]]
Nonostante alcuni straordinari episodi di valore in patria e su fronti esteri da parte del [[Regio Esercito|regio esercito italiano]] (tra i più celebri si ricordano quelli che si conclusero con l'[[eccidio di Cefalonia]] e con l'[[eccidio di Coo]], avvenuto dopo la [[Battaglia di Coo]]), quasi tutta la penisola cadde sotto la pronta occupazione tedesca e l'esercito venne disarmato, mentre l'intera impalcatura dello Stato cadde in sfacelo. Le Forze Armate italiane riuscirono a sconfiggere e mettere in fuga il nemico tedesco solo a Bari, in Sardegna e in Corsica (che era stata occupata dall'Italia). A Napoli, invece, fu la popolazione a mettere in fuga le truppe nazifasciste dopo una battaglia durata 4 giorni (episodio che sarebbe poi passato alla storia come le cosiddette ''[[quattro giornate di Napoli]]''). Una questione a parte si originò circa la [[mancata difesa di Roma]], che poté essere facilmente espugnata dai tedeschi.
 
La [[Regia Marina]], che era ancorata nei porti da circa un anno per penuria di carburante, dovette [[Consegna della flotta italiana agli Alleati|consegnarsi nelle mani degli Alleati]] a [[Malta]] come prescritto nelle condizioni di armistizio. Successivamente, dopo la consegna, le navi maggiori furono internate nei [[laghi amari]] mentre il naviglio minore si unì alle flotte alleate per combattere contro il nuovo nemico. In seguito buona parte della flotta, in ottemperanza del trattato di Parigi del 1946, venne ceduta alle potenze vincitrici o demolita.
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De Courten nel pomeriggio telefonò a La Spezia all'ammiraglio Bergamini, ammettendo che l'armistizio era ormai imminente<ref name= Rocca >{{cita libro|cognome= Rocca|nome= Gianni|wkautore= Gianni Rocca|titolo= Fucilate gli ammiragli|annooriginale= 1987|data= |anno= |editore= Mondadori|città= Milano|pagine= 305 - 316}}</ref>; dovendo però andare al [[Palazzo del Quirinale|Quirinale]], lasciò al suo vice, ammiraglio Sansonetti, ex compagno di corso di Bergamini, il compito di convincerlo. Bergamini, con riluttanza, accettò formalmente gli ordini lasciando gli ormeggi, ma De Courten nascose la clausola del disarmo che pure era tra le condizioni dell'armistizio così come alcune clausole del Promemoria Dick,<ref>il "Promemoria Dick" (Istruzioni per il trasferimento delle navi da guerra e mercantili italiane) redatto 4 settembre 1943 dal commodoro Roger Dick per il Comandante in Capo del Mediterraneo amm. Cunningham, elencava tutti i dettagli operativi di disarmo della flotta, previsti al punto 4. dell'armistizio breve. Al punto 7, il Promemoria Dick prevedeva: "''Riconoscimento: Tutte le navi da guerra durante il giorno dovranno alzare all'albero di maestra (o all'albero che hanno, per quelle che ne posseggono uno solo) un pennello nero o blu scuro, il più grande possibile. Grandi dischi neri potranno essere posti in coperta come segnale di riconoscimento per gli aerei. Qualora durante la notte fossero incontrate altre navi, per farsi riconoscere saranno accesi i fanali di via con luce attenuata e sarà trasmesso il segnale « G A''".</ref> allegato all'armistizio.<br />
Tale documento prevedeva, fra l'altro, di innalzare un pennello nero o blu scuro sull'albero di maestra e di porre in coperta grandi dischi neri<ref name= Rocca />; questi segnali saranno innalzati dall'ammiraglio Oliva solo alle ore 7 del 10 settembre dopo comunicazione della [[Supermarina]],<ref name= Rocca /> mentre Bergamini innalzò il [[gran pavese]] navigando verso Malta, la sua navigazione si concluse il pomeriggio del giorno seguente, quando la {{nave||Roma|nave da battaglia 1940|2}} venne sventrata da una [[bomba (aeronautica)|bomba teleguidata]] [[Ruhrstahl SD 1400|Fritz-X]] lanciata da un [[Dornier Do 217]] tedesco.
[[File:Pietra della Pace - Armistizio di Cassibile - 1943.JPG|miniatura|La "Pietra della Pace" - Cassibile (Siracusa) donata dallo Stato Maggiore di Eisenhower alla baronessa Aline Grande]]
Il naviglio della [[Regia Marina]] perso a causa dell'armistizio, sia per autoaffondamento sia per cattura da parte dei tedeschi fu di 294.363 [[Tonnellata|tonnellate]] per 392 unità già operative, e di 505.343 tonnellate per 591 unità se si aggiungono le unità in costruzione, questo [[dislocamento]] rappresentava il 70% del dislocamento di tutte le navi della Regia Marina all'inizio della guerra, ed era nettamente superiore al dislocamento del naviglio perso nei precedenti 39 mesi di guerra (334.757 tonnellate)<ref>Erminio Bagnasco, ''In guerra sul mare, parte 4'', in ''Storia Militare Dossier'' N° 4, ottobre 2012, p. 391.</ref>