Veritas Ipsa

bolla papale del 1537
Veritas Ipsa
Bolla pontificia
Stemma di Papa Paolo III
Pontefice Papa Paolo III
Data 2 giugno 1537
Traduzione del titolo La verità stessa
Argomenti trattati Condanna la schiavitù degli indios d’America

Veritas Ipsa è una bolla di Paolo III del 2 giugno 1537. Essa è conosciuta anche col nome di Sublimis Deus o di Excelsus Deus.

Già nella lettera al Cardinale di Toledo (29 maggio 1537), Paolo III scomunica

(LA)

«praefatos Indos quomodo libet in servitutem redigere aut eos bonis suis spoliare»

(IT)

«tutti coloro che ridurranno in schiavitù gli indios o li spoglieranno dei loro beni»

In questa bolla il Pontefice condanna le tesi razziste, riconosce ai nativi americani e a tutte le altre genti, cristiani e non, la dignità di persona umana, vieta di ridurli in schiavitù e giudica nullo ogni contratto redatto in tal senso.[1] Il Papa mette così fine alle numerose dispute tra teologi e università, soprattutto spagnole, circa l'umanità degl'indios d'America e sulla possibilità di ridurli in schiavitù.[2] Il Papa tenendo conto della dottrina teologica e della documentazione a lui pervenuta volle porre fine alle dispute ed emanò il verdetto:

(LA)

«Indios veros homines esse»

(IT)

«Gli indios sono veri uomini»

Queste le disposizioni principali assunte dal Pontefice:

«Noi, sebbene indegni, … consideriamo tuttavia che gli stessi indios, in quanto uomini veri quali sono, non solo sono capaci di ricevere la fede cristiana, ma, come ci hanno informato, anelano sommamente la stessa; e, desiderando di rimediare a questi mali con metodi opportuni, facendo ricorso all'autorità apostolica determiniamo e dichiariamo con la presente lettera che detti indios e tutte le genti che in futuro giungeranno alla conoscenza dei cristiani, anche se vivono al di fuori della fede cristiana, possono usare in modo libero e lecito della propria libertà e del dominio delle proprie proprietà; che non devono essere ridotti in servitù e che tutto quello che si è fatto e detto in senso contrario è senza valore; che i detti indios ed altre genti debbono essere invitati ad abbracciare la fede in Cristo a mezzo della predicazione della parola di Dio e con l’esempio di una vita edificante, senza che alcunché possa essere di ostacolo»

Il divieto di ridurre gli indigeni in schiavitù sarà ripetuto da papa Gregorio XIV (Cum Sicuti, 1591), da papa Urbano VIII (Commissum Nobis, 1639), da papa Benedetto XIV (Immensa Pastorum, 1741), da Papa Pio VII (che chiese ai partecipanti al Congresso di Vienna del 1815 – in cui i paesi europei decisero come spartirsi il continente africano – di proibire il commercio degli schiavi), e da papa Gregorio XVI (In Supremo, 1839), Leone XIII, (Epistola ai Vescovi del Brasile sulla schiavitù, 1888), Giovanni Paolo II, Messaggio agli indigeni del Continente americano, (1992).

La bolla ha fatto seguito al breve apostolico Altitudo divini consilii del 1º giugno 1537, in cui il papa raccomandava di non rendere troppo complicata la preparazione al battesimo per gli indigeni che ne facevano richiesta.

Note modifica

  1. ^ "dichiariamo con la presente lettera che detti indios e tutte le genti che in futuro giungeranno alla conoscenza dei cristiani, anche se vivono al di fuori della fede cristiana, possono usare in modo libero e lecito della propria libertà e del dominio delle proprie proprietà; che non devono essere ridotti in servitù e che tutto quello che si è fatto e detto in senso contrario è senza valore".
  2. ^ Non è il primo pronunciamento papale. Già nel 1492 Papa Pio II aveva scritto a un vescovo della Guinea portoghese (l’attuale Guinea Bissau) che la schiavitù dei neri è un “magnum scelus”, un grande crimine.

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