Biografia

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Antonio Paradiso è nato a Santeramo in Colle, Bari, il 26 febbraio 1936. Ha studiato all'Accademia di Brera a Milano.Ha fatto mostre in Italia e all'estero, tra cui nei musei d'arte moderna di Dortmund, Helsenki, Colonia, Los Angeles, Belgrado, Rimini, Verona, Ferrara, Portofino, Reggio Emilia, Alberobello. Vive e lavora a Milano. Da alcuni anni sta lavorando ad una grande scultura antropologica. Si tratta di uno spazio di sei ettari, ex sito paleolitico, insieme di caverne del tempo, villaggio neolitico con trincea fortificata e fondo di capanna, pozzo e muro megalitico, ormai dagli ultimi cento anni trasformata in cava di tufi e ultimamente in opera antropologica.

Dalla personalità poliedrica ed eclettica, mosso da una vitale inquietudine, Antonio Paradiso è un artista mosso da naturali pulsioni che lo inducono ad affermare che "tutto è arte e tutti possono fare arte". La sua è una ricerca che parte dall’osservazione del reale che ci circonda: la vita, la natura, i segni che l’uomo ha lasciato nel tempo, sul tempo, sull’uomo, sullo spazio, sul rapporto con Dio e con l’infinito. Queste sono le concretizzazioni che lo scultore insegue attraverso l’uso della pietra come aggancio alle origini della terra legate anche alla sua infanzia Murgianae. Si parlerà di monumenti, altari, idoli, troni trofei di una cultura arcaica. A questi elementi formali andranno ad aggiungersi suggestioni magiche che fanno riferimento a rituali e tradizioni del posto.

Si avvicina per questo agli studi antropologici ed egli non modifica le grandi e maestose architetture e sculture cui si dedica.Le sue opere sono cento chicchi di grano realizzati in pietra di due chili l’uno scolpiti, una grossa sfera con una catena d’ancora di nave, un portachiavi ciclopico, un fiore di pietra. Con il passare del tempo anche la sua arte si trasforma e diventa più eterea: ne sono un esempio “i voli” che sono la rappresentazione di un evento naturale.

Le sue sono emozioni primordiali, tutte basate sulla propria terra e forse è per questo che è stato soprannominato “lo scultore contadino”. Ma Paradiso nella sua ricerca, non si ferma solo al suo vissuto, va oltre ed intraprende viaggi e ricerche, documenta gli atteggiamenti e le movenze dei tarantolati,un gruppo musicale dialettale lucano, porta alla biennale di Venezia un Toro vivo perché possa montare un mucca meccanica e questa operazione lo pone all’attenzione del mondo dell’arte. Lui non si lascia intimidire o influenzare da un successo che lo coglie di sorpresa e continua a lavorare come ha sempre fatto per lui.

La mostra di Antonio Paradiso è rappresentata da una grossa sfera con una catena d'ancora di nave; un ironico ciclopico portachiavi, con due Yale di pietra lunghe un metro l'una; un mucchio di sassi, sorta di fiore di tufo lavico a ricordare le aspre terre dei natale; cento chicchi di grano di due chili, scolpiti uno per uno nella pietra; e in fondo un grappolo di sculture più piccole.

Il "Teatro Antropologico" di Antonio Paradiso e compagni consiste nella presentazione di situazioni della cultura contadina e primitiva, con i mezzi più diversi: proiezione di un film a 16 mm."quadri viventi" (come la "vestizione della sposa" meridionale e i "lamenti funebri"), che hanno come "attori" i componimenti del gruppo: esposizione di fotografie; registrazioni sonore. E infine, dialogo col pubblico.

Parco Scultura "La Palomba"

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Il Parco Scultura “La Palomba” è nato su iniziativa dello stesso Paradiso che, in una cava di tufo esaurita, ha realizzato una mostra d'arte permanente delle sue opere. Tale operazione è stata, quindi, finalizzata a trasformare questo spazio in un parco d'arte o luogo di arte antropologica, come il suo promotore preferisce definirlo, in cui l'esposizione permanente viene periodicamente arricchita da esposizioni collettive e temporanee che coinvolgono scultori contemporanei che realizzano le loro opere durante un soggiorno nella città dei Sassi, quindi a diretto contatto con il territorio. Le opere e il Parco nel suo insieme ben si integrano nello scenario del contesto culturale-geologico in cui sono collocati.

La "Scultura" di Paradiso è una scultura simile a certe costruzioni guerriere o di ritualistica solare preistorica: non per nulla in Puglia si incontrano i "dolmen" preistorici che si alzano anche sulle rocce a picco dell'oceano bretone o nelle radure ventose di Scozia. Essa entra nella vita contemporanea non solo per la matura concezione di valori plastici ma anche per questa precisa risposta data al desiderio di primordialità e di magico mistero che inquieta l'intelligenza razionale e al tempo stesso delusa dell'uomo d'oggi.

Il "Toro Pinco"

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Lo spettacolo del possente toro (vivo) denominato Pinco intento a montare una vacca meccanica al fine d’inseminarla artificialmente fu uno choc che turbò la quiete di un pubblico ancora poco avvezzo al surrealismo traumatico. Paradiso finì col precorrere di circa un trentennio temi come la mortificazione del creato, il copyright sulla vita, la mutazione in quanto status permanente. A quell’ epoca, egli stesso – quasi a giustificarsi – candido dichiarò: “Sono decenni che i tori non vedono più una femmina vera”. Finì che il nostro s’impose quale ultimo cantore del ritualismo magico meridionale al tempo del postmoderno trash. Il toro pesava una tonnellata e mezzo, mentre la mucca meccanica rispondeva al nome di Pallina. Pallina non è una vera mucca, ma Pinco non lo sapeva; lui vedeva la sua pelle gettata sopra un trespolo, annusava l'afrore di femmina in calore, quindi si scagliava tutto il pesa della sua compressa virilità. Il toro era legato ad una catena, piuttosto stretto. La sua è un'arte di protesta ed infatti afferma: " ...la mia opera consiste di una trilogia: la vita, l'usura e la morte. Nella vita, c'è lo spasimo e l'estasi, vuoi di un toro alienato, vuoi di un ragioniere infelice. Poi l'usura: ecco i miei abbeveratoi di marmo, simili a quelli degli animali, dove l'uomo si ferma e si disseta, fra l'una e l'altra schiavitù della vita".


Oggi, questo poliedrico artista pugliese continua a essere mosso da una inquietudine tanto da spingersi fino a New York per recuperarsi i pezzi del massimo feticcio di sangue e morte del XXI Secolo – le torri gemelle del World Trade Center, abbattute l’11 settembre del 2001 – con l’intento di plasmare quei rottami a guisa di opera d’arte spirituale, nella speranza di “toccare l’infinito”.“Ho caricato 20 tonnellate di putrelle in un container da 12 metri – riferisce Paradiso – senza alcun tipo di diffidenza da parte delle autorità americane, poiché c’era il beneplacito del giudice federale. Avevo fatto domanda circa un anno e mezzo prima, quando ho saputo che donavano questo materiale a musei, artisti e istituzioni (una quarantina in tutto, a fronte di 9000 richieste giunte da ogni parte del mondo) ma non pensavo che sarei stato scelto e per giunta come unico rappresentante italiano…”. Così è nata questa sua “Ultima cena globalizzata”, realizzata con le sbarre d’acciaio contorto che un tempo costituivano l’ossatura delle famigerate torri. Riplasmate fino a ottenere Cristo e gli Apostoli in una sorta di danza ascensionale macabra e celeste al tempo stesso».

Di seguito si riportano alcuni giudizi di addetti ai lavori, riuniti da Giorgio dell'Arti:

«È un personaggio curioso e anomalo sulla scena della scultura italiana. È vero, è stato allievo di Marino Marini a Brera, nella fucina della grande tradizione fondata sul classico, sulla nobiltà del marmo e del bronzo. Ma la sua vocazione, da subito, è stata quella di riappropriarsi le origini. Le sue dapprima, di uomo del Sud che lavorando con rudezza amorevole la pietra di Trani e il tufo di Matera sceglieva di non imporre la sua bellezza alla materia, ma di farne emergere il potente fascino intrinseco. E poi le origini di tutti noi, il momento che l’antropologia – disciplina della quale Paradiso è un adepto tutt’altro che dilettantesco – ci insegna essere stato quello in cui l’uomo ha “visto” nella pietra, nel legno, nella creta, alcuni simboli fondamentali: l’abitare, il totem, il rapporto tra le viscere della terra e le vertigini del cielo. Aiutato dalla sua lunga consuetudine con i deserti africani e le civiltà primarie che lo abitano, che di quelle origini sono testimonianza vivente, Paradiso ha riportato la scultura alle sue sorgenti, dando vita a molteplici operazioni in cui l’opera non vuole più rappresentare, ma si costituisce essa stessa in spazio, e forma, e luogo. Da lì sono cominciate altre suggestioni, altre esplorazioni. Il volo dei colombi, un senso dello spazio e delle distanze che è sapienza innata e simbolo assoluto di libertà, è nel percorso di Paradiso una delle più tenaci. (…) Da vero primitivo moderno, Paradiso ha reso il motivo del volo di colombi uno schema visivo essenziale, ad alta densità simbolica, e lo declina con fasto decorativo sagomando con il laser pesanti lastre di acciaio corten. La materia greve, opaca, possente, che evoca durezza e staticità, si trasforma in queste sculture in una trina di vuoti e pieni che indica invece la perdita di gravità, trasformandosi in un inno alla leggerezza, alla circolazione della luce e dell’aria, alla bellezza struggente delle forme naturali» (Flaminio Gualdoni) [Cds 26/4/2009].

L'Amministrazione comunale di Gioia, riconoscendo i meriti artistici di questo nostro coprovinciale, gli ha commissionato delle opere che architettonicamente arredano alcuni punti importanti della nostra città. Tre sono i punti in cui si nota la presenza del suo lavoro: il primo è in Via Rossini, di fronte al Teatro Comunale, in cui è presente una scultura in pietra di Apricena intitolata ' Icaro ', opera eseguita dall'artista nel 1992. Gli altri segni del lavoro di Paradiso sono visibili in Piazza dei Martiri del 1799 e nella piazza antistante il Teatro Rossini, dove sono state posizionate delle sculture in pietra di Trani, scolpite nel 1988, ìntitolate ' Volo ' che raffigurano volatili con ali spiegate,di diversa conformazione e grandezza. Tali sculture oltre ad a svolgere la funzione di ornare architettonicamente quelle Piazze servono anche da panche per ospitare passanti e turisti in cerca di un ristoro.

Collegamenti esterni

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Bibliografia

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  • Corriere della sera- di Tommaso Trini 29 Settembre 1974
  • Domus- di Daniela Palazzoli Maggio 1973
  • Corriere della Sera- di Mario Perazzi 7 giugno 1970
  • Il giorno- di Marco Valsecchi 1968 Lo scultore contadino
  • Il giorno- di Nantas Salvataggio Venezia 30 Giugno 1978