Telesio Interlandi (Chiaramonte Gulfi, 20 ottobre 1894Roma, 15 gennaio 1965) è stato un giornalista italiano. È ricordato soprattutto per il ruolo che ebbe nella diffusione di idee razziste e antisemite durante il regime fascista.

Biografia modifica

Nato nel 1894 a Chiaramonte Gulfi, in provincia di Ragusa, compiuti gli studi superiori a Catania, nel 1913 Telesio Interlandi era già redattore capo del Giornale dell'Isola. Partecipò come sottotenente alla prima guerra mondiale, e dopo la guerra lavorò per diversi quotidiani: La Nazione di Firenze, per il quale fu inviato alla marcia su Roma e il Travaso, giornale satirico romano. Il 10 agosto 1919 conseguì l'iniziazione massonica nella loggia Aurora di Catania[1], e negli anni successivi divenne redattore capo dell'Impero di Mario Carli ed Emilio Settimelli, un quotidiano fascista per il quale creò una rubrica breve ed efficace, intitolata "Colpi di punta". Dopo l'omicidio di Giacomo Matteotti e la conseguente crisi attraversata dal fascismo, pubblicò su L’Impero, il 23 settembre 1924, la prima intervista a Luigi Pirandello – di cui era buon amico – dopo l’adesione del drammaturgo siciliano al fascismo. Si trattò della svolta nella sua carriera giornalistica[2].

Dal “Tevere” alla “Difesa della razza” modifica

Guadagnatosi la fiducia di Mussolini, nel dicembre 1924 Interlandi fondò un suo quotidiano, Il Tevere, che dal 1926 venne sostenuto finanziariamente dal Partito nazionale fascista e dall’Ufficio stampa della Presidenza del Consiglio. Portavoce di un fascismo estremista e radicale – anche rispetto allo stesso organo ufficiale del regime, Il Popolo d'Italia – ma comunque sempre allineato alla direttive provenienti da Mussolini, al quotidiano di Interlandi l'allora capo del governo affidò il compito di anticipare le svolte politiche e culturali del regime o di condurre polemiche contro personaggi dello stesso fascismo considerati ingombranti o non allineati . Così dalle colonne del Tevere furono attaccati in prima pagina ministri in carica, come Giuseppe Bottai, o personaggi di rilievo del regime, come Marcello Piacentini, architetto e urbanista "ufficiale" del fascismo. Alla terza pagina del Tevere collaborarono numerosi intellettuali dell'epoca, tra cui Emilio Cecchi, Giuseppe Ungaretti, Vitaliano Brancati, Elio Vittorini, Ennio Flaiano, Antonello Trombadori e molti altri[3]

Segretario dei giornalisti romani dal 1925, Interlandi negli anni Trenta assunse sempre più il ruolo di dominus della pubblicistica fascista fondando il settimanale Quadrivio (1933) e soprattutto, il quindicinale La difesa della razza (1938), da lui diretto fino al 1943.

Al settimanale Quadrivio parteciparono in varia veste molti giovani intellettuali, di cui non pochi poi antifascisti negli anni successivi. Interlandi, infatti, fu anche un giornalista e un direttore abile nel circondarsi delle giovani promesse del tempo: da Vincenzo Cardarelli a Renato Guttuso, da Mario Soldati e Bruno Barilli, oltre al rapporto con Anton Giulio Bragaglia e il suo Teatro sperimentale degli Indipendenti[4].

Note modifica

  1. ^ Ma quali sono i reati massonici e non massonici di Licio Gelli? di Aldo Alessandro Mola
  2. ^ Si veda Francesco Cassata, La difesa della razza, Torino, Einaudi, 2008. In particolare cfr. L'estremista di regime, pp. 5-55.
  3. ^ Si veda F. Cassata, op. cit., p. 8
  4. ^ Si veda Giampiero Mughini, A via della Mercede c’era un razzista, Milano, Rizzoli, 1991. in particolare cfr. Eppure vestivamo la camicia nera, pp. 103-137.


Ruolo nella politica razziale fascista

Dal 1925 Interlandi divenne segretario dei giornalisti romani. Nel 1933 fondò il settimanale Quadrivio, al quale parteciparono in varia veste molti giovani intellettuali, di cui non pochi poi antifascisti alla fine del conflitto mondiale. Interlandi è infatti stato anche un giornalista e un direttore abile nel circondarsi delle giovani promesse del tempo: da Vincenzo Cardarelli a Renato Guttuso, da Francesco Trombadori a Mario Soldati e Bruno Barilli, oltre al rapporto con Anton Giulio Bragaglia e il suo Teatro degli Indipendenti.[2] .

Nel 1938 Interlandi fondò e diresse fino al 1943 il quindicinale “La difesa della razza”, punto di riferimento della politica razzista messa in atto dal fascismo italiano, dedita alla pubblicazione di articoli razzisti e violentemente antisemiti che avevano il chiaro intento di preparare gli italiani alle leggi razziali e alla successiva politica di persecuzione degli ebrei.[3] Espose le sue idee antisemite anche in un volume, Contra judaeos, apparso anch’esso nel 1938 e già all’epoca molto discusso.[4] L’ebreo è per Interlandi “nemico politico (in quanto anti-fascista e internazionalista) e culturale (in quanto ‘europeista’)”, ma soprattutto “nemico economico”.[5]

Notevole è quindi la responsabilità di Interlandi, morale e politica, nella politica fascista per la razza e contro gli ebrei.

Arrestato il 26 luglio 1943, fu liberato dai tedeschi dopo l’8 settembre. Aderì alla Repubblica sociale italiana dove gli fu affidata la propaganda radiofonica, schierandosi sempre su posizioni intransigenti.[6]

La[cp2]  scampata fucilazione

Interlandi alla fine della guerra venne condannato a morte per le sue attività fasciste e per il ruolo da protagonista nella politica antirazziale. Catturato dai partigiani nell’ottobre del ’45, venne rinchiuso nel carcere di Brescia insieme al figlio Cesare.[7]

Successivamente, la moglie contattò l’avvocato Paroli, un noto e attivo antifascista, il quale decise di pattuire con il Tribunale di Brescia il rilascio di Cesare, il figlio, non essendoci prove che attestassero la sua colpevolezza. A causa della distrazione delle guardie venne però liberato il padre.

A quel punto l’avvocato “senza pensarci due volte, inviterà gli Interlandi a seguirlo. Con la sua auto li condurrà al sicuro, in uno scantinato del palazzo dove abitava dove gli Interlandi rimarranno per otto mesi, durante i quali l'antifascista Paroli, per salvare la vita del suo cliente, un "nemico" di ieri, rischiò grosso”.[8]

Morì a Roma, a settant'anni, nel 1965.

Di tutta la vicenda di Interlandi, soprattutto della scampata fucilazione, si interessò verso la fine della sua vita, Leonardo Sciascia, con l’intenzione di scriverne un libro.[9]


[1] Cfr. F. Cassata, La difesa della razza, Einaudi, Torino, 2008,pagg. 6-8.

[2]  Giampiero Mughini, A via della mercede c’era un razzista, Milano, Rizzoli, 1991; si veda in modo particolare il cap. V, “Eppure vestivamo la camicia nera”, pagg. 103-137

[3] Mauro Canali, “Interlandi Telesio” in Dizionario biografico degli italiani - volume 62, 2004 – Treccani

[4] Rosetta Roy, “La parola ebreo”, Torino, Einaudi, 1997, pp 29-30

[5] Francesco Cassata, La difesa della razza, Einaudi, Torino, 2008, pag. X

[6] Mauro Canali, “Interlandi Telesio” in Dizionario biografico degli italiani - volume 62, 2004 – Treccani

[7] archivio La Repubblica.it, 28/2/2018. https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2018/02/28/interlandi-il-razzista-salvato-dal-socialistaPalermo09.html

[8] archivio La Repubblica.it, 28/2/2018. https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2018/02/28/interlandi-il-razzista-salvato-dal-socialistaPalermo09.html

[9] Giampiero Mughini, A via della mercede c’era un razzista”, Milano, Rizzoli, 1991, pagg. 31 e sgg.


[cp1]Questa frase era già nella voce originale, non presenta però note. Le cose sarebbero più arruffate e complicate…io ho aggiunto un “così” iniziale per far capire il nesso fra queste polemiche e i cambiamenti di orientamento di Mussolini…

[cp2]Tutto questo paragrafo è costruito solo su un articolo di giornale…