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Buongiorno Europa

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Buongiorno Europa è un romanzo di Lino Monchieri pubblicato nel 1968 dall'Editrice La Scuola e narra le vicende di quattro uomini che, fuggiti da un lager nazista, trovano rifugio presso una fattoria.

Buongiorno Europa
AutoreLino Monchieri
1ª ed. originale1968
GenereRomanzo
Lingua originaleitaliano

Cap. 1 Non avere paura!

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Leonid Leontiev, prigioniero russo, allo scoppio dei primi bombardamenti da parte degli Alleati, scappa dal lager di Oerke, vicino a Fallingbostel, dopo tre anni di prigionia. Durante la fuga si ferisce ed è costretto a fermarsi. Il pensiero va al momento della sua cattura nella steppa, alla prigionia e ai trattamenti subiti. Al sorgere dell’alba si sveglia al suono degli ultimi aerei anglo-americani, che sganciano una bomba nelle vicinanze, facendogli perdere i sensi. Viene rianimato da un ragazzo che lo incoraggia parlandogli in russo. Questi capisce che non può trasportare Leonid da solo, così chiama in soccorso il suo compagno. I due, sorreggendo lo sventurato, si dirigono verso la loro fattoria con l’idea di nasconderlo nel fienile perché i civili non potevano dar ricovero ai prigionieri di guerra fuggiti dai campi di concentramento. Fermatisi a una pozza di acqua, si presentano: il ragazzo che parla russo si chiama Stanislaw Kaczmarek ed è polacco di Tarnopol; il suo amico, Fernand Maurice, è francese di Cherbourg. Entrambi sono contadini e vivono in una fattoria a Benzen, poco lontano dal grande centro industriale di Walsrode, rispettivamente da cinque e da quattro anni, ospiti del signor Wilhelm Busch, il proprietario, che abita con la moglie Herta, la figlia Helga, e che, oltre a loro, ha accolto anche Adel, una ragazza serba deportata dalla Jugoslavia. Ripreso il cammino, i tre giungono a destinazione e nascondono Leo nel fienile senza rivelare nulla a Herr Busch. La mattina seguente, la fattoria vicina dei Wackman viene centrata dall’unica bomba sganciata dell’aereo alleato. Non sopravvive nessuno a parte una mucca che viene nascosta da Stan. Egli vuole infatti donare la mucca a Herr Busch in cambio dell'ospitalità a Leo, fatto passare come unico superstite della disgrazia.

Cap. 2 Prenderai il suo posto

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Stanislaw Kaczmarek, uno tra i primi prigionieri di guerra polacchi nell’autunno del 1939, quando era avvenuta la divisione della Polonia tra Germania e Russia, essendo nato in campagna, aveva accettato l’offerta di lasciare il lager per andare a lavorare nei campi anziché finire nella polveriera di Walsrode, a sostenere gli interessi bellici della Eibia G.m.b.H. Era stato scelto da Busch, che aveva presentato domanda al Comando militare di Schwarmstedt. Il patron aveva voluto rimpiazzare così il figlio maggiore Herbert, morto combattendo su suolo polacco. Al loro primo incontro il giovane, notando il braccio di Wilhelm fasciato di lutto, aveva capito che entrambi erano accomunati dal dolore. Inoltre aveva riconosciuto nel suo “liberatore” doti umane che lo avevano spinto a seguirlo fino a casa. Una domenica Busch si recò, insieme con Stan, nella chiesetta che sorgeva nel centro del villaggio di Benzen, per pregare. Lungo il percorso erano passati davanti alla birreria di Siebe, che Willy aveva indicato come il gerarca del posto, fanatico e intollerante. In quel luogo sacro Stan si era sentito purificato. Erano trascorsi l’inverno e parte della primavera e l’ospite con il tempo era stato bene accolto: Frau Herta gli aveva rivelato di provare affetto per lui, anche se non glielo dimostrava apertamente, mentre Fraulein Helga, dopo una certa avversione istintiva nei suoi confronti, in quanto straniero, aveva cominciato a vincere la sua diffidenza, grazie a una dichiarazione del padre sulla sostanziale uguaglianza degli uomini pur nella loro diversità.

Cap. 3 Diversi e uguali

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Un telegramma arrivò alla fattoria, annunciando che il figlio di Wilhelm Busch, Heinz, era morto in guerra in campo francese, un giorno di maggio del 1940, procurando un nuovo lutto dopo la scomparsa di Herbert. Per l’accaduto, la fattoria conobbe giorni tristi. In seguito a questo fatto, alla notizia che prigionieri francesi delle Armate sconfitte erano nei Lager vicini, Busch decise di prendersene uno: Fernand Maurice. Essendo vivace e spigliato, a differenza di Stan, riflessivo e taciturno, questi portò nella fattoria un po’ di simpatia e felicità, stringendo buoni rapporti con tutti, anche con il cane Tell, che al suo arrivo gli era andato incontro, scodinzolando. Dato che non sapeva il tedesco, Stan glielo avrebbe insegnato. Fernand era stato marinaio e pescatore, non aveva mai visto Parigi, che immaginava grande e bella. Inviato a difendere sul fronte occidentale la Linea Maginot, era stato catturato dai tedeschi, che lo avevano trasferito in un campo di concentramento da dove Busch lo aveva prelevato. Fernand in segno di rispetto aveva dato al proprietario della fattoria il nomignolo di patron. Il birraio Siebe non sopportava il francese e il polacco, pronti sempre a difendere Busch dai suoi attacchi, in particolare non mandava giù il fatto che Fernand continuasse a intonare la Marsigliese, un canto rivoluzionario, incurante del Paese che lo ospitava. Pertanto Siebe richiese l’intervento del maestro Penning, reso zoppo da una ferita in guerra nel 1917, a Caporetto, per la quale si accompagnava a un bastone. Il suo astio nei confronti dei due, però, veniva meno quando Fernand lo minacciava di rifornirsi altrove di birra per la fattoria. Wilhelm si fidava ciecamente di Stan e di Fernand; con quest’ultimo, poi, riusciva a confidarsi nei momenti di disperazione. Frau Hertha, chiusa nel suo triste mutismo e isolamento, si lasciava “coccolare” dall'ottimismo innocente ed effervescente del francese; al contrario, Helga vedeva entrambi i giovani come degli intrusi, prigionieri e stranieri nella sua realtà, anche se intimamente li trovava piacevoli.

Cap. 4 Semi di speranza

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Il 1941 fu un anno infelice per l’Europa, che conobbe l’invasione da parte delle truppe tedesche, cui seguirono deportazioni in campi di concentramento e impiego dei prigionieri nelle fabbriche e nelle campagne. Busch chiese un aiuto allo Stato per mandare avanti la sua fattoria in un periodo di maggiore attività: gli venne consegnata una diciottenne serba, Adel, che fu assunta tramite un contratto di lavoro con le autorità della Jugoslavia, Paese occupato. Stan fece da mediatore perché si inserisse nella piccola comunità, in cui la giovane fu a suo agio ed ebbe modo di dimostrare il suo con lei: Adel diventò la sua confidente, dormiva con lei e indossava i suoi vestiti smessi. Stan, ricordando l’espressione “due a due”, usata nel recente passato da Fernand, con riferimento al fatto che ora fossero due ragazzi e due ragazze, voleva chiarirne il significato nascosto con lui. Ma proprio l’amico lo chiamò per avvisarlo dell’arrivo del birraio, insieme con il maestro Penning e due soldati. Stan e Fernand intuirono che il figlio di Busch fosse morto, quindi avrebbero potuto accogliere Leo senza ricorrere allo scambio con la mucca: il russo senza difficoltà avrebbe potuto rimpiazzare Hermann, caduto in guerra. Ben presto capirono, però, che i quattro erano venuti per congratularsi, poiché il soldato aveva ricevuto la Croce di ferro, come riconoscimento per il suo comportamento da eroe, in Russia. La sera stessa Stan riferì del ritrovamento di Leo a Busch, che dichiarò di non poter far nulla per aiutare il fuggitivo, considerato quanto stabilito dalla legge. Poco dopo riprese la questione con Fernand, che decise di parlare al patron della mucca.

Cap. 5 La guerra non risolve niente

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La sera Paul Siebe, come ogni settimana, convocò una concione con i fattori, durante la quale lesse una circolare relativa ai rapporti tra contadini e prigionieri di guerra, occupati nei campi, sottolineando che erano inammissibili tra nemici forme di familiarità e che spettavano delle sanzioni ai trasgressori. Busch, che lo ascoltava, si sentiva investito personalmente da quelle parole, ricordando il colloquio avuto con il polacco. Al ritorno dall’assemblea il patron trovò Stan e Fernand allegri, dopo essersi scambiati opinioni sulla guerra punzecchiandosi a vicenda. Rivolgendosi a Stan, lo informò che stavano cercando il suo fuggitivo e salì le scale che conducevano alle camere da letto. Poi andò incontro a Stan che avanzava trascinando la mucca. Questi disse che la bestia era l’unico superstite dei Wachman e la spacciò come un omaggio da parte di Leo. Herr Willy, alla fine, accettò i suoi suggerimenti di tenerla a pensione. La serba scoprì nel pagliaio la presenza del russo. Dopo avergli portato del cibo dietro sua richiesta, scoppiò in pianto e raccontò la sua storia. Disse di chiamarsi Adel Blagowich e, rammaricata, ribatté all’offesa rivoltale, che non collaborava con i tedeschi come le ucraine. Inoltre aggiunse che molte ragazze di varie nazionalità lavoravano in Germania contro la loro volontà. In verità in seguito alla distruzione della sua fattoria vicino a Belgrado, dove viveva con la madre le sorelle e la nonna, allevando oche bianche, era finita prigioniera dei soldati tedeschi. Separata dalle sue care (la mamma era morta per lo schianto la notte), aveva viaggiato in un carro merci in condizioni penose fino in Germania, per raggiungere un campo di concentramento. Da lì era passata nell’attuale fattoria. Leo cercò di sollevare il morale della ragazza e a sua volta narrò la propria vicenda. Si era trasferito con la famiglia da Samara a Gorkij ed era stato costretto ad abbandonare il suo lavoro in un’officina dello Stato per imbracciare un fucile mitragliatore. Così a meno di vent’anni aveva ricevuto l’incarico di difendere sul fronte del Don la Russia, in ritirata. Era riuscito a salvarsi, nascondendosi tra i cadaveri, fingendosi morto. Era stato scoperto, poi avviato alle retrovie e infine trasportato in un Lager come Adel. Nel pagliaio irruppe Stan per annunciare che Busch voleva incontrare.

Cap. 6 Il figlio superstite

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Busch, da poco rientrato, vide due uomini sconosciuti con Siebe. Erano venuti per annunciargli la morte di suo figlio Hermann in Russia, avvenuta il giorno in cui era arsa la fattoria dei Wachman. Questa era l’occasione propizia perché fosse ospitato Leo. Dopo un momento di grande sconforto condiviso con la moglie e la figlia, Willy conobbe Leontiev, il prigioniero russo, che gli venne presentato da Stan. L’uomo consentì di accoglierlo nella sua dimora. A metà luglio, al tempo dl pieno raccolto, il lavoro alla fattoria procedeva a ritmo intenso con grande soddisfazione di Herr Busch. Proprio in quei giorni era presente il suo più giovane figlio, Heinrich, a cui era stata concessa una licenza straordinaria a causa del sacrificio dei fratelli. Finita l’estate, sarebbe ripartito per l’Italia. Al suo arrivo si era stupito di trovare in casa tanti stranieri, ma con fare divertente aveva accettato la cosa, e ben presto aveva legato con loro, integrandosi perfettamente nel gruppo. In particolare era nata una simpatia, ricambiata, verso Adel. Una sera, a mensa, durante una conversazione sulla guerra, tutti i giovani si mostrarono favorevoli all’idea lanciata da Fernand di fondare una nuova società delle Nazioni, con l’unico scopo di difendere la pace dei popoli liberi. Helga, presa dall’entusiasmo, aspirava a formare una famiglia con i nuovi arrivati, ma la madre ribadiva che la loro Patria era un’altra. Fallito l’attentato ad Hitler il 20 luglio 1944, in previsione dell’immancabile conclusione vittoriosa del conflitto da parte della Germania incattivita, il 21 Heinrich venne richiamato a rientrare al reparto. Il soldato non avrebbe voluto lasciare la sua casa, ma seguì la volontà dei genitori, che lo richiamarono al senso del dovere.

Cap. 7 Comando di lavoro 6247

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Heinrich, pronto alla partenza, salutò tutti con rimpianto pronunciando le parole: “Buongiorno Europa”. Poi imboccò il sentiero che portava da Benzen a Walsrode. Con la guerra questa industria, famosa già in tempo di pace per la produzione di polvere per i cacciatori, era diventata un grande complesso industriale con stabilimenti e officine a sostegno dello sforzo bellico. Qui venivano impiegati i prigionieri di guerra meno protetti, destinati a svolgere un lavoro duro e pericoloso. Nelle vicinanze, a Graesbeck, era sorto un doppio Lager: uno per i prigionieri e l’altro per i civili. I primi, accompagnati da meister, ex manovali divenuti secondini, erano mandati al lavoro ogni giorno secondo i turni. Nel lager ogni baracca aveva cinque o sei vani, detti stube, in cui venticinque/trenta persone vivevano accalcate in pochi metri di spazio. Il Lager di Graesbesk che ospitava il “Comando di lavoro n. 6025 per prigionieri di guerra” comprendeva sei baracche, occupate prevalentemente da italiani. Gli internati subivano maltrattamenti e umiliazioni di ogni genere dai segugi di un ufficiale, che si comportavano con grande crudeltà nei loro confronti, a volte per puro capriccio. Nella prima stube del Lager alloggiavano venticinque prigionieri italiani, provenienti dalle diverse regioni e appartenenti ad armi e a condizioni sociali differenti. Erano stati espulsi dall’Ospedale da campo di Fallingbostel, dopo essere stati dichiarati guariti. Essi dovevano ripristinare il tronco ferroviario Walsrode-Verden nel tratto che conduceva al deposito militare di Muna. Essendo diventato poco agevole raggiungere il cantiere la mattina e ritornare al campo la sera, man mano che la ferrovia avanzava, fu scelto come posto più vicino il villaggio di Benzen, precisamente un vasto locale annesso alla birreria di Siebe, dove nacque il Comando di lavoro n. 6247. Il gerarca, inizialmente contrario, perché considerava gli italiani traditori, li accettò in quanto prossimi nuovi clienti. Il maestro Penning, che aveva combattuto in Italia, aspettava con ansia l’arrivo di quegli italiani e seguiva i lavori di costruzione della loro nuova sede. Egli si distingueva dai suoi conterranei per i suoi sentimenti di umanità e apprezzava lo stare insieme. Heirich, suo allievo e figlioccio, passò a fargli visita. Dopo aver ricevuto le sue raccomandazioni ad aiutare gli altri, prese una scorciatoia nel bosco, per non perdere il treno per Walsrode. Lungo la ferrovia incontrò i prigionieri italiani diretti a Benzen.

Cap. 8 Il mondo è la mia patria

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I prigionieri procedevano in fila indiana. Davanti a tutti c’era il meister, che era il nuovo responsabile dei lavori, assieme ad alcuni prigionieri, tra cui Michele, che si era proposto volontariamente per fare da interprete. Il meister era un uomo tarchiato, con gli occhi un po’ a mandorla, labbra sottili, viso rosso, sguardo fiero. Era un po’ fanatico. Si vestiva generalmente con una divisa grigio-azzurra tipica dei militari dell’Armata Russa. Michele era invece un alpino di vent’anni che aveva studiato un po’ di tedesco a scuola e ancora ricordava qualcosa, per cui veniva spesso utilizzato come interprete. Al meister piaceva molto comandare quelle persone così diverse tra loro: lo si capiva da come dava ordini con soddisfazione. Il suo nome era Bayer, ma preferiva farsi chiamare con quell’appellativo così pomposo. Nei suo discorsi parlava sempre con grande entusiasmo della dottrina nazista, l’unica capace di raddrizzare l’Europa da popoli corrotti o pappamolle. Michele aveva ormai imparato a non ascoltarlo quando il meister cominciava uno dei suoi soliti discorsi. Non aveva idee molto chiare, per la verità, infatti, a causa del fascismo aveva ricevuto un’istruzione inadeguata, senza libertà, senza idee, in cui era importante solo la forma. Si ritrovava in una guerra senza capire, senza sapere perché; non era nemmeno capace di usare un fucile: nessuno glielo aveva mai insegnato. Durante la prigionia aveva imparato una sola cosa: gli uomini in fondo erano tutti uguali, non esistevano nemici o persone da odiare, nemmeno i tedeschi, ma solo genti e paesi da conoscere. Durante questi anni, vivendo a contatto con persone così diverse, era maturato moltissimo: si era ritrovato a riflettere su concetti come la Natura, la Provvidenza, il Bene, la Felicità, pensieri profondi che riportava accuratamente nel suo diario, una sorta di giornale di bordo. Animato da una fede molto semplice e forse anche un po’ fanciullesca, con grande entusiasmo si era accorto di provare un amore fortissimo per la vita, che sentiva di voler condividere con tutti i suoi compagni, nessuno escluso. Ad un certo punto Michele vide in lontananza un soldato tedesco, così chiamò il meister che era ancora impegnato in uno dei suoi soliti discorsi. Ma non fecero in tempo a dire altro che si avvertì un rumore dall’alto, un rombo d’aereo, poi seguirono i colpi di mitraglia . Tutti si buttarono a terra, cercando di ripararsi. Quando il pericolo sparì, si rialzarono e provarono a ricomporre la fila. Busch era stato colpito. Il meister allora si avvicinò per verificare che respirasse ancora: era ancora vivo. Michele e altri compagni si offrirono di portarlo al villaggio: mancava poco. Arrivati alla piazzetta, Bayer fece un segnale di richiamo e il maestro Penning accorse. Riconobbe immediatamente Busch, sbiancò appena vide che era gravemente ferito e guidò la compagnia fino alla fattoria della famiglia del ragazzo ferito. La madre e la sorella riconobbero Heinrich e cominciarono a disperarsi, nonostante il maestro Penning cercasse di consolarle. Heinrich Busch morì poco dopo, accanto ai suoi compagni e alla sua famiglia. I prigionieri furono sistemati nell’ex sala da ballo della birreria. Durante l’incursione aerea anche Michele era stato colpito da una piccolissima scheggia, ma non ci aveva dato peso perché aveva ben altro a cui pensare. Durante la notte, però, la caviglia si gonfiò e il dolore divenne insopportabile, così fu accompagnato a Walsrode dove, con sorpresa, incontrò Fernand. Subito si salutarono, si scambiarono confidenze e Fernand propose a Michele di andare a lavorare alla fattoria Busch, dove il trattamento era sicuramente migliore. Intanto le visite mediche seguivano un ritmo serrato, per qualunque tipo di male venivano date pastiglie e pasta scura d’ittiolo. Fernand con la sua mimica riusciva a far sorridere anche in quella situazione difficile. Ad un certo punto si avvicinarono alcuni uomini, attirati dall’accento familiare di Fernand: Guy, canadese del Quebec, e Jeff e Kid, due aviatori statunitensi. Insieme, dopo essersi conosciuti, parlarono, risero e, al momento di salutarsi, si scambiarono promesse e indirizzi. Avevano scoperto di avere diverse cose in comune ed era chiaro a tutti che era nata una nuova amicizia. Fernand e Michele tornarono insieme per un tratto di strada e nel frattempo il giovane rifletteva su quanto la guerra annullasse le distanze e creasse forti legami di amicizia. Poi arrivò il momento di salutarsi e i due si allontanarono.

Cap. 9 Il maestro Penning

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Il maestro di Benzen arrivò dove erano tenuti i prigionieri e diede qualcosa al soldato di guardia per avere in prestito per qualche ora uno dei prigionieri. Ne cercava uno istruito, per cui gli venne mandato Michele, che si propose subito appena la guardia riferì la richiesta. Michele e il maestro cominciarono quindi a camminare verso casa e iniziarono a chiacchierare del più e del meno. Parlarono soprattutto dell’Italia, dove il maestro era stato ferito, nella battaglia del Piave nel 1918, e dove Michele era nato. Parlarono del vino e di come questo avesse fatto innamorare il maestro Penning dell’Italia. Michele fece a questo punto un’osservazione che colpì molto il maestro: disse che se l’Italia avesse prodotto più vino che armi forse a lui sarebbe stato ordinato di lavorare altrove, magari in un vigneto anziché combattere in guerra. Quella riflessione piacque molto a Penning. Arrivati a casa, il maestro mostrò il lavoro che avrebbe dovuto svolgere Michele: sistemare il giardino, potando delle viti di ribes e qualche altro lavoretto. Si mostrò molto ospitale e attento verso Michele, infatti dopo aver saputo che il giovane era a digiuno e poco abituato a mangiare, fece in modo di saziarlo. Lo accompagnò dentro casa e continuarono a conversare di molte cose. Il tempo sembrava essersi fermato. La mente di Michele indugiava tra pensieri che lo portavano lontano: l’importanza di un’istruzione, l’importanza di dare valore a concetti come sacrificio, impegno, rinuncia, il desiderio di un avvenire migliore. Il maestro Penning lo riportò alla dura realtà dicendogli che avrebbe avuto della legna da spaccare. Cominciò il lavoro, quindi, ma nella sua testa continuavano i suoi pensieri. Cercava soprattutto di dare un giudizio sul maestro Penning, ma gli risultava difficile esprimerne uno in questo senso. Dal suo punto di vista tutti i maestri, italiani e tedeschi, credevano probabilmente di aver svolto il proprio dovere, eppure i rispettivi allievi, italiani e tedeschi, combattevano e si uccidevano a vicenda. Di chi era la responsabilità? Era una domanda a cui non sapeva rispondere. Michele era spaventato dalla morte, l’aveva sfiorata diverse volte negli ultimi mesi, ma era giunto alla conclusione che la Provvidenza lo avesse risparmiato per un motivo: aveva una missione e prima di compierla non poteva sicuramente morire. A cosa era destinato? L’unica cosa che sapeva era che avrebbe dovuto amare il prossimo e amare Dio. Cominciò a sentire il desiderio di voler vivere nella fattoria di Benzen insieme a Fernand, Willy, Stan, Leo, Heinrich, Adel, Helga e Penning, persone semplici che condividevano uno stesso ideale: costruire un mondo senza oppressori e oppressi, senza padroni e schiavi, senza odio, senza volontà di dominare, senza sete di potere. Mentre spaccava la legna i pensieri si facevano sempre più chiari: la fattoria Busch era davvero la prova concreta che con la buona volontà era possibile la convivenza di uomini diversi ma uguali. Quando il lavoro della legna terminò, il maestro Penning condusse Michele nella sua scuola e lo invitò a visitare la sua aula: era molto grande, ordinata e piena di luce. Una lavagna percorreva tutte le pareti in modo da permettere agli alunni di svolgere attività diverse. Sopra la lavagna c’erano i ritratti di alcuni personaggi importanti che Michele riconobbe: Shakespeare, Dante, Galileo, Goethe, Pasteur. I banchi erano monoposto e molto puliti. C’erano poi una stufa, un armadio, la biblioteca, una sezione con strumenti scientifici, vari arnesi da lavoro, un erbario e anche piante e vasi di fiori. Parlarono ancora di istruzione e del ruolo che la scuola dovesse avere in uno Stato, dell’importanza che avesse per formare le coscienze, rendere migliore il futuro e di quanto fosse importante insegnare l’appartenenza ad una stessa madre Terra. Entrambi avevano capito di essere molto simili.

Cap. 10 Un pastore senza gregge

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La campana suonava con discrezione. Qua e là donne e vecchietti si avviavano alla chiesetta. Il maestro Penning cercò di affrettare il passo. Aveva visto, poco avanti, la signora Feldmann col figlio Peter. La volle raggiungere per domandarle del marito, Sieger, che era stato suo alunno. Alla sua domanda su Sieger, Peter intervenne rispondendo che suo padre era stato ferito in Russia e che non aveva più le gambe. Guardando l’uniforme di Michele cominciò a incalzarlo chiedendo se avesse fatto lui del male al padre. Sia la madre che il signor Penning cercarono di distogliere Peter da quel pensiero, ma inutilmente. Il maestro cercò di giustificare quel comportamento con Michele. All’interno la chiesetta era semideserta. Michele mentre ascoltava le parole del pastore pregò e domandò con intensità la speranza. Successivamente raggiunse il signor Penning, il quale, avendo saputo che Michele non conosceva ancora il pastore, gli propose di andare insieme a fargli visita. Prima di rientrare al campo, Michele domandò al maestro se egli poteva aiutarlo a cambiare lavoro, lasciare quello della ferrovia e andare nella fattoria di Wilhelm Busch. Il maestro acconsentì. Quando arrivarono dal pastore Brauner, questi lo accolse con molta ospitalità. Cominciò una conversazione molto piacevole e interessante su come fosse vissuta la religione in Italia e in Germania, poi il pastore aggiunse una sua riflessione sullo scopo che, secondo lui, dovesse avere la religione: la realizzazione sulla terra del regno di Dio, attraverso le opere dell’amore. Anche Michele e il maestro Penning diedero il loro contributo alla conversazione, parlando della necessità di mettersi al servizio di Dio, della verità e della giustizia. Il suono del campanello li interruppe, così Michele e Penning si congedarono. Intanto l’estate procedeva e i lavori nei campi si intensificavano. I contadini di Benzen facevano pressione sui militari per ottenere altri prigionieri per il lavoro. A metà agosto arrivarono altri uomini e iniziò l’assegnazione di questi ultimi. La domanda, però, superava l’offerta, si sgomitava per accaparrarsi i prigionieri più robusti, mentre venivano lasciati per ultimi i più denutriti. Stavano quasi per accapigliarsi quando il caporale fece ripristinare velocemente l’ordine, dichiarando che si sarebbe seguito l’ordine di precedenza delle domande inoltrate. Furono quindi chiamate dodici persone, ma gli esclusi protestarono. Penning, Brauner e Siebe il birraio ebbero allora un’idea che forse avrebbe potuto mettere tutti d’accordo: il prestito, cioè la cessione temporanea dei prigionieri. Il mercato terminò il giorno dopo e tutti si ritrovarono nella birreria di Siebe. Tra i clienti c’era anche Wilhelm Busch e Siebe gli chiese chi gli interessasse dei prigionieri. Busch rispose che era interessato a Michele, l’italiano che gli aveva riportato il figlio Heinrich in punto di morte, sotto gli occhi meravigliati del birraio Siebe che considerava tutti gli italiani traditori. Il maestro Penning e il pastore Brauner ammiccarono tra di loro, soddisfatti della scelta di Busch, poi offrirono da bere ai presenti.

Cap. 11 Il prezzo della libertà

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Alla fattoria giunse la notizia che sarebbe arrivato Michele. Fernand e gli altri suoi amici decisero di organizzargli un chiassoso benvenuto. Per prima cosa gli andarono incontro, lo presero in mezzo a loro e lo trattarono con un tale affetto che Michele rimase molto colpito e addirittura si commosse. Fernand fece poi visitare la fattoria a Michele e, dopo strizzatina di occhi a Stan e Leo, partirono una serie di scherzi per rompere il ghiaccio: nella stalla lo fecero inciampare il nuovo arrivato in un mucchio di letame, nel fienile lo fecero cadere in una botola coperta dal fieno che portava nella mangiatoia, infine gli fecero montare un cavallo imbizzarrito che lo disarcionò dopo poco. Alla fine gli diedero la mano e lo abbracciarono, dandogli il benvenuto nel gruppo. Fernand e gli altri due consideravano quegli scherzi, infatti, una specie di prova di iniziazione, un modo per superare le distanze e l’imbarazzo che solitamente c’è all’inizio di ogni conoscenza. Michele non aveva in realtà apprezzato moltissimo quel genere di accoglienza ma, quando i tre compagni furono rimproverati da Adel preoccupata di quello che Michele avrebbe pensato di tutta la compagnia, avvertì subito una certa simpatia verso Fernand e quel suo modo di scherzare. Nella fattoria di Wilhelm Busch, da quando era morto il figlio Heinrich ed era stata ricoverata la moglie Hertha, i prigionieri dormivano nelle camere: Adel dormiva con Helga, Stan e Leo nei letti di Hermann e Heinz, infine Fernand e Michele nei letti di Herbert e Heinrich. I prigionieri, per la verità, erano stati scelti proprio da Wilhelm perché riempissero il vuoto lasciato dai suoi figli, tutti morti: Stan riflessivo e taciturno; Fernand, spigliato e cordiale; Leo, impulsivo e cocciuto; Michele, volitivo ed entusiasta. Erano tutti molto giovani e Wilhelm sperava tanto di poter riportare con loro alla vita quella casa, sperava di ricreare una famiglia attraverso l’unione di questi giovani che lui aveva accolto nella sua casa e pregava Dio per questo. Nel frattempo tra le due ragazze, Adel e Helga, cominciavano le prime confidenze, si affacciavano pensieri legati al futuro, ma mentre Helga sembrava più fiduciosa in una vita nuova in cui poter anche trovare l’amore, Adel era molto scoraggiata e aveva perso ogni fiducia nell’umanità. Il loro ruolo all’interno del gruppo sembrava sempre quello di chi deve richiamare all’ordine la combriccola a causa delle scaramucce e degli scherzi che partivano generalmente da Fernand. Le due ragazze erano consapevoli del fatto che, una volta finita la guerra, dovesse spettare alle donne aiutare gli uomini a ritrovare la speranza, coltivare la pace, ricostruire la loro vita.

Cap. 12 Il falò della pace

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Colti all’improvviso da un temporale, il gruppo di giovani cercò riparo nel bosco dove, per riscaldarsi, accesero un falò. I ragazzi, come al solito, si ritrovarono a battibeccare tra loro e a prendersi in giro, esasperando ancora una volta le due ragazze, che chiesero di far pace. A questo punto, i ragazzi per farsi perdonare, raccontarono delle barzellette. A turno cominciarono a raccontare queste storielle comiche, alcune delle quali sentite nei campi di prigionia. Si divertirono effettivamente tutti, la tensione della mattina si attenuò e anche il temporale sembrò finire nello stesso momento. Siccome il cielo sembrò rasserenarsi, la compagnia decise di avviarsi verso la fattoria. I racconti spiritosi cominciavano ad accompagnarsi a discorsi più seri e filosofici, sulla vita, sulla fratellanza, sulla necessità di sentirsi tutti uguali. Michele e Fernand in particolare si ritrovarono a fare riflessioni profonde sulla patria, sul senso di porre confini, sul significato della parola libertà, sul rispetto delle libertà altrui e infine sulla possibilità di poter vivere tutti in pace sulla Terra. Nel frattempo nel villaggio il gerarca Siebe osservava con disappunto che alcuni sterratori stavano scavando un rifugio, come se fosse una cosa terribile. Siebe, che approvava la politica nazista e si faceva promotore della Propaganda nazista, non poteva ammettere che la Germania potesse indietreggiare o perdere. L’attentato a Hitler era stato un campanello d’allarme per molti gerarchi che avevano cominciato a non essere più così certi della vittoria nazista e dell’appoggio da parte del popolo. Tuttavia Siebe non rientrava tra questi: per lui sembravano non avere alcun peso i cinque anni di guerra in cui la Germania non avanzava e non indietreggiava, mentre i nemici continuavano a resistere; voleva ancora continuare a credere all’idea della guerra-lampo e a quanto leggeva sui giornali di propaganda. In quei giorni Michele ebbe l’occasione di tornare a Walsrode, ma stavolta da uomo libero. Stan infatti aveva avuto il compito, come capitava spesso sia a lui che a Fernand, da parte del padrone della fattoria, di andare al mercato di città. Avevano i documenti in regola e in città c’erano molti altri stranieri in divisa come loro. Quello che trovarono fu impressionante: case diroccate, macerie ovunque, tubature sconnesse. Le persone si muovevano come fossero fantasmi, di tanto in tanto era possibile trovare delle tende dove si distribuivano zuppe alla popolazione in fila. Una donna richiamò la loro attenzione per farsi aiutare a recuperare alcune cose finite sotto le macerie della propria casa. Michele e Stan subito accorsero e aiutarono la signora anziana a recuperare quanto le serviva: c’era stato un bombardamento che aveva centrato in pieno il palazzo accanto al suo, dove erano rifugiati i suoi familiari, tutti morti. Avrebbe provato a raggiungere la città di Sandfeld per cercare ospitalità. I due giovani caricarono la roba sul carro e si offrirono quindi ad accompagnare la signora nella città da lei indicata. Lungo il tragitto non mancarono occhiatacce e offese da parte di una giovane nazista nei confronti di Michele, italiano, e quindi traditore. Una volta giunti a Sandfeld, la signora cercò di ricompensare i giovani con del denaro, ma i due rifiutarono categoricamente. Dopodiché si diressero alla bottega dove trovarono gli scaffali vuoti: non c’era più nulla ormai da comprare.

Cap. 13 Tutto passa e si scorda

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La guerra continuava ormai da sei anni. Non era più un conflitto che riguardava solo Germania e Polonia: si erano infatti susseguite a catena le dichiarazioni di guerra degli altri Paesi e l’apertura di altri fronti. A partire dal 1944, però, le cose cominciavano a mettersi male per i tedeschi, che non promettevano più con grande sicurezza la vittoria, ma assicuravano piuttosto armi più potenti e distruttrici. Dalla città di Muna partivano quindi con maggiore frequenza i treni che trasportavano armi, munizioni, esplosivi. I prigionieri, di varie nazionalità, sollecitati dalle sentinelle, lavoravano senza sosta. Avevano il compito di passarsi di mano in mano l’arsenale, il cui deposito era nascosto nel bosco, per poi caricarlo sui carri ferroviari. Gli alleati avevano più volte tentato di individuare e colpire il deposito, ma inutilmente. Erano due le motrici che avevano il compito di trasferire le armi: una era guidata da un cecoslovacco altezzoso e poco simpatico che non rivolgeva mai la parola ai prigionieri, l’altra era invece guidata da un greco di nome Pseftudis, un uomo di mezza età dal viso buono e triste. Ogni volta che arrivava per il carico, si avvicinava nel tratto dove non c’erano i guardiani e allungava di nascosto una mela, una carota o del pane nero. Con il suo sorriso rassicurante e le poche parole gentili e di incoraggiamento era diventato un’istituzione; il suo arrivo era atteso sempre con grande affetto. Un giorno accadde che, proprio mentre si avvicinava la locomotiva di Pseftudis, la sirena diede l’allarme. Arrivarono i caccia degli alleati che cercavano il deposito di Muna. Partirono i colpi a raffica, sia da parte dei caccia alleati che dei cannoni tedeschi. A farne le spese fu Psefdutis, che fu trovato morto nella cabina, con le mani ancora sul battente. Tutti i prigionieri accorsero, ma ormai non c’era niente da fare. Spesso, affinché il lavoro non si interrompesse mai, venivano portati a Muna anche i prigionieri di Benzen, invece che essere condotti al Lager. A Muna le attività proseguivano con un ritmo incessante e c’era un fitto viavai. I prigionieri lavoravano come schiavi, tuttavia anche in questo posto restavano ancora tracce di umanità e di solidarietà, ad esempio, al momento del pranzo, quando le donne ucraine offrivano il loro pasto ai prigionieri che ne erano privi, per consentire loro di affrontare il duro lavoro. Le difficoltà e la miseria portate dalla guerra mettevano a dura prova tutti e bastava un nonnulla per provocare dissapori o contrasti. Anche alla fattoria Busch era inevitabile che accadesse. Una sera che Leo si era trattenuto, più del dovuto, fuori con Adel, suscitò una reazione brusca in Stan, risentito per il comportamento adottato dal compagno. Cominciò quindi un diverbio tra i due in una lingua poco comprensibile dagli altri, tranne che da Adel che, ad un certo punto, preferì seguire Helga in cucina. Stan e Leo arrivarono alle mani e dovettero intervenire i compagni per dividerli. Proprio in quel momento giunse nella stanza Wilhelm Busch che, molto saggiamente, tentò di riportare la vicenda sotto la giusta luce, individuando nelle difficoltà che stavano vivendo la causa dei dissapori emersi in quell’occasione. Egli soggiunse, inoltre, che nessun motivo poteva essere considerato così grave da non potersi riconciliare subito. Leo, colpito dalle parole di Wilhelm, nonostante fosse ancora scosso e risentito, fece un passo avanti e offrì la mano a Stan. Stan rifiutò l’invito e preferì andarsene, lasciando gli altri stupefatti, compreso Wilhelm, che cercò tra i presenti i motivi di quel litigio. Si fece avanti Adel, raccontando, in modo nervoso e parlando in fretta, di essere lei la causa del litigio tra i due, aggiungendo che nutriva dei sentimenti verso Leo, ricambiata, e che non era successo nulla tra i due. Helga cercò quindi di consolare Adel e si offrì di parlare a Stan per spiegare la situazione e rassicurarlo del fatto che Leo si fosse comportato in modo rispettoso nei confronti di Adel. Nel frattempo arrivavano dall’altra stanza le urla furiose tra Stan e Fernand, che lo aveva seguito per cercare di calmarlo. Helga si rese conto che la reazione di Stan non era di gelosia, non era innamorato di Adel, quanto di protezione nei suoi stessi confronti e di suo padre Wilhelm. Helga era l’unica a cui Stan avrebbe potuto dare ascolto, perché lui era innamorato di lei e lei di lui, così si decise a parlargli. Nel frattempo gli eventi stavano precipitando alla fattoria: Adel, temendo che Stan potesse denunciare Leo alle autorità, scappò via con lui. Diede l’allarme Michele. Provarono a cercarli nei dintorni, ma non ebbero fortuna, così decisero di rientrare tutti in casa. Stan ed Helga ebbero modo di parlarsi e dichiarare velatamente i rispettivi sentimenti, poi presero una decisione nei confronti dei due compagni scappati: toccava a Stan cercarli, scusarsi e riportarli alla fattoria. Ci sono dei momenti in cui anche gli uomini volti a tutte le fatiche, ricchi di varie esperienze, colmi di crucci, non hanno che un pensiero: la casa. Nella vita dei prigionieri capitarono spesso questi momenti di riflessione. Durante il giorno non si pensava ad altro che non fosse la madre, la sposa, i figli, la casa, la vita comoda, la pace. Si arrivava perfino a commuoversi alle lacrime, per dar sfogo alle sofferenze del cuore e sentirsi dopo più leggeri. Il ritorno a casa significava tutto, specialmente per chi non aveva altra speranza che ritornarvi. Spesso il pianto liberatorio era accompagnato dal canto: a volte era un omaggio alla mamma, altre volte alla casa o all’amore. Era un altro modo per alimentare la speranza. Il luogo che più si prestava a questo genere di pensieri era il rifugio antiaereo, soprattutto quando scattavano le sirene dell’allarme. La mente galoppava cercando di aggrapparsi a questi pensieri di speranza, le lacrime quindi scorrevano e lì partiva il canto che accomunava un po’ i pensieri e le emozioni di tutti i presenti, quasi come a voler scacciare la paura in quel modo. E ogni volta era così. Generalmente partiva Guidone, un granatiere toscano che cantava da tenore. Ognuno era chiuso in sé ma si lasciava andare durante queste esibizioni, soprattutto se si trattava delle canzoni di Beniamino Gigli, ormai conosciute in tutto il mondo. L’applauso finale non era tanto una forma di apprezzamento per Guidone, quanto più un rito liberatorio per il proprio desiderio inappagato e a lungo perseguito. A Siebe non piaceva però che il rifugio si trasformasse ogni volta in un luogo di canto e cercava in tutti i modi di evitare che le persone lì si lasciassero andare a questi sentimentalismi che non condivideva per niente. Una volta il maestro Penning intervenne per smontare le sue convinzioni, facendogli presente che di fronte alla morte ogni uomo aveva il diritto di agire nel modo che riteneva più giusto. Quella riflessione fu accolta da tutti con grande approvazione: di fronte alla morte, il gerarca di Benzen non faceva più paura. Anche la notte prima di Ferragosto suonarono le sirene dell’allarme, tuttavia la permanenza nel rifugio durò meno delle altre volte. Approfittando di questo, Fernand propose di organizzare una festa, Adel si offrì di invitare alcune ragazze. La festa sembrò a tutti una buona idea, tuttavia il rischio di litigare era sempre dietro l’angolo, soprattutto perché erano molto diversi. Stan in particolare sentiva questa diversità come un peso, inoltre la paura dello straniero e la tendenza agli stereotipi e ai luoghi comuni lo avevano portato a generalizzare sulle caratteristiche di un intero popolo. Michele non la pensava allo stesso modo e provò a farlo ragionare, portando come esempio la sua stessa esperienza lì nella fattoria di Busch e il suo rapporto di amicizia con Helga. La sera si riunirono tutti alla birreria di Siebe. C’era un forte desiderio di ritornare alla vita precedente, senza rinunce, senza sacrifici, un desiderio di evasione. Siebe, per quanto non potesse tollerare questo atteggiamento, rimaneva pur sempre un commerciante e la vista della sua birreria così piena di clienti fece prevalere in lui l’atteggiamento accomodante e accondiscendente verso certi discorsi e certe esternazioni contro la guerra. Stan aveva preferito accompagnare Wilhelm Busch e sua figlia Helga alla festa del Ferragosto anziché restare alla fattoria e festeggiare con i suoi amici. Continuava a ripensare alle cose dette da Leo, sulle caratteristiche dei vari popoli. Tra polacchi e russi non c’era mai stato buon sangue, tuttavia, riflettendoci bene, non vedeva nel compagno di sventura quelle caratteristiche che venivano generalmente attribuite ai russi. Si era reso conto che forse stava incolpando ingiustamente il suo compagno Leo per le scelte politiche della Russia. Vedeva, cioè, uno spiraglio, la possibilità di stringersi la mano, coltivare un’amicizia attraverso la pace. Rifletté anche sulla sua condizione di cittadino senza patria, poiché la sua terra era diventata territorio russo. Tornare a casa per lui avrebbe significato vivere da straniero. Si sentiva decisamente più a casa lì, alla fattoria. Il suo pensiero andò a Wilhelm e a sua figlia Helga, per la quale nutriva un forte sentimento. Questo pensiero lo rasserenò enormemente. Se Wilhelm avesse acconsentito, avrebbe avuto finalmente una vita felice e questo pensiero gli permise di vedere con occhi diversi anche la sua amicizia con Leo. Le decisioni politiche di Russia e Polonia non erano più così importanti: aveva trovato qualcosa più importante. Ritornò quindi alla fattoria e si unì ai compagni per le danze. Per l’occasione erano state invitate anche altre tre ragazze, di tre nazionalità diverse, una ucraina, una slovacca e una finlandese, accolte dal polacco con un’esclamazione quasi profetica: “Buongiorno, Europa!”.

Cap. 14 Buongiorno, Europa!

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La guerra continuava ormai da sei anni. Non era più un conflitto che riguardava solo Germania e Polonia: si erano infatti susseguite a catena le dichiarazioni di guerra degli altri Paesi e l’apertura di altri fronti. A partire dal 1944, però, le cose cominciavano a mettersi male per i tedeschi, che non promettevano più con grande sicurezza la vittoria, ma assicuravano piuttosto armi più potenti e distruttrici. Dalla città di Muna partivano quindi con maggiore frequenza i treni che trasportavano armi, munizioni, esplosivi. I prigionieri, di varie nazionalità, sollecitati dalle sentinelle, lavoravano senza sosta. Avevano il compito di passarsi di mano in mano l’arsenale, il cui deposito era nascosto nel bosco, per poi caricarlo sui carri ferroviari. Gli alleati avevano più volte tentato di individuare e colpire il deposito, ma inutilmente. Erano due le motrici che avevano il compito di trasferire le armi: una era guidata da un cecoslovacco altezzoso e poco simpatico che non rivolgeva mai la parola ai prigionieri, l’altra era invece guidata da un greco di nome Pseftudis, un uomo di mezza età dal viso buono e triste. Ogni volta che arrivava per il carico, si avvicinava nel tratto dove non c’erano i guardiani e allungava di nascosto una mela, una carota o del pane nero. Con il suo sorriso rassicurante e le poche parole gentili e di incoraggiamento era diventato un’istituzione; il suo arrivo era atteso sempre con grande affetto. Un giorno accadde che, proprio mentre si avvicinava la locomotiva di Pseftudis, la sirena diede l’allarme. Arrivarono i caccia degli alleati che cercavano il deposito di Muna. Partirono i colpi a raffica, sia da parte dei caccia alleati che dei cannoni tedeschi. A farne le spese fu Psefdutis, che fu trovato morto nella cabina, con le mani ancora sul battente. Tutti i prigionieri accorsero, ma ormai non c’era niente da fare. Spesso, affinché il lavoro non si interrompesse mai, venivano portati a Muna anche i prigionieri di Benzen, invece che essere condotti al Lager. A Muna le attività proseguivano con un ritmo incessante e c’era un fitto viavai. I prigionieri lavoravano come schiavi, tuttavia anche in questo posto restavano ancora tracce di umanità e di solidarietà, ad esempio, al momento del pranzo, quando le donne ucraine offrivano il loro pasto ai prigionieri che ne erano privi, per consentire loro di affrontare il duro lavoro. Le difficoltà e la miseria portate dalla guerra mettevano a dura prova tutti e bastava un nonnulla per provocare dissapori o contrasti. Anche alla fattoria Busch era inevitabile che accadesse. Una sera che Leo si era trattenuto, più del dovuto, fuori con Adel, suscitò una reazione brusca in Stan, risentito per il comportamento adottato dal compagno. Cominciò quindi un diverbio tra i due in una lingua poco comprensibile dagli altri, tranne che da Adel che, ad un certo punto, preferì seguire Helga in cucina. Stan e Leo arrivarono alle mani e dovettero intervenire i compagni per dividerli. Proprio in quel momento giunse nella stanza Wilhelm Busch che, molto saggiamente, tentò di riportare la vicenda sotto la giusta luce, individuando nelle difficoltà che stavano vivendo la causa dei dissapori emersi in quell’occasione. Egli soggiunse, inoltre, che nessun motivo poteva essere considerato così grave da non potersi riconciliare subito. Leo, colpito dalle parole di Wilhelm, nonostante fosse ancora scosso e risentito, fece un passo avanti e offrì la mano a Stan. Stan rifiutò l’invito e preferì andarsene, lasciando gli altri stupefatti, compreso Wilhelm, che cercò tra i presenti i motivi di quel litigio. Si fece avanti Adel, raccontando, in modo nervoso e parlando in fretta, di essere lei la causa del litigio tra i due, aggiungendo che nutriva dei sentimenti verso Leo, ricambiata, e che non era successo nulla tra i due. Helga cercò quindi di consolare Adel e si offrì di parlare a Stan per spiegare la situazione e rassicurarlo del fatto che Leo si fosse comportato in modo rispettoso nei confronti di Adel. Nel frattempo arrivavano dall’altra stanza le urla furiose tra Stan e Fernand, che lo aveva seguito per cercare di calmarlo. Helga si rese conto che la reazione di Stan non era di gelosia, non era innamorato di Adel, quanto di protezione nei suoi stessi confronti e di suo padre Wilhelm. Helga era l’unica a cui Stan avrebbe potuto dare ascolto, perché lui era innamorato di lei e lei di lui, così si decise a parlargli. Nel frattempo gli eventi stavano precipitando alla fattoria: Adel, temendo che Stan potesse denunciare Leo alle autorità, scappò via con lui. Diede l’allarme Michele. Provarono a cercarli nei dintorni, ma non ebbero fortuna, così decisero di rientrare tutti in casa. Stan ed Helga ebbero modo di parlarsi e dichiarare velatamente i rispettivi sentimenti, poi presero una decisione nei confronti dei due compagni scappati: toccava a Stan cercarli, scusarsi e riportarli alla fattoria.

Cap. 15 Tutto a posto, tutto da rifare

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Willy redarguì tutti: nessuno doveva sapere che erano fuggiti. Poi si divisero: il patron con Fernand e Michele con Stan, gli uni per il bosco, gli altri per le fattorie. L’italiano desiderava da tempo conoscere bene il polacco e fare amicizia con lui. Michele era convinto che “Il domani sarebbe diventato più interessante dell’oggi”, una teoria che arricchiva d’imprevisti le sue attese. Stan e Michele progettavano insieme, intanto, un piano per aiutare Leo. Verso sera Adel comparve allo steccato, tutti accorsero e la trovarono più stanca del solito. Appena fatta sedere le chiesero subito di Leo e lei rispose che era in un posto sicuro e di non preoccuparsi. Helga propose di accompagnarla a casa. L’inverno batté puntuale alle porte di Benzen. Wilhelm, dalla finestra, vedeva i bambini felici che giocavano con la neve e pensava ai figli, alla moglie ricoverata in una clinica dove vegetava. Michele chiese il permesso al signor Willy di andare a fare due chiacchiere col maestro, il signor Penning. Passando davanti al lager 6247 salutò gli amici rimasti nel campo a occuparsi del bucato e della cucina. Arrivato dal birraio, gli parve di vedere un sorriso sul volto di costui. Penning gli sventolò sotto al naso un giornale sopra al quale si annunciava l’offensiva delle divisioni corazzate germaniche sul fronte franco-belga. Il pastore si limitò a salutare il prigioniero con un sorriso. Durante la conversazione, Michele volle sapere se loro erano nazisti. Il pastore sottolineò che coloro che sono coerenti al loro equilibrio spirituale non possono essere nazisti, né fanatici, né estremisti di nessun genere. Michele bevve un bicchiere di liquore che lo scaldò. Provò nostalgia della sua fanciullezza senza problemi. A quel punto desiderò solo di tornare all’aperto, di sentirsi solo.

Cap. 16 L'augurio del 1945

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Stan e Leo erano tornati a lavorare insieme: era tornato il sereno, dopo la burrasca. Natale era vicino e il suo potere di speranza aleggiava su tutti. Un giorno, si recarono tutti insieme a Walsrode a comprare regali. Michele nel tornare, però, si fermò in chiesa perché aveva ricevuto un biglietto di invito dal pastore. Una volta entrato, si sedette e i due iniziarono a conversare. Il pastore spiegò a Michele che aveva atteso quel momento con ansia e gli parlò del futuro. Prima di andare via, il pastore regalò una piccola Bibbia a Michele come dono di Natale dicendogli che era tutto ciò che aveva, ma sperava che potesse trasformarsi in un dono di vita. Si salutarono, Michele se ne andò e tornò alla fattoria. Una volta arrivato, riferì le parole di conforto del pastore agli amici. Insieme fecero l’albero di Natale, che pochi giorni prima avevano tagliato nel bosco. Il tempo sembrava essersi fermato, ogni malinteso cessato, ogni ira placata. Venne la sera della Vigilia, alla fattoria, si misero a festeggiare e tutti insieme si augurarono Buon Natale ognuno nella propria lingua. Tra Natale e Capodanno venne la neve e la campagna e i boschi di Benzen parevano luoghi di fiaba. Arrivò Capodanno, quando il cucù della Selva Nera batté i dodici colpi della mezzanotte attesa tutti urlarono: "Urrà" tre volte, in segno di augurio. Il 1945 era finalmente arrivato e tutti, nel loro cuore, si augurarono che la guerra finisse.

Cap. 17 Che sarà di noi?

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La primavera si annunciò con sicure promesse: il crescente nervosismo dei nazisti, un'accentuata frequenza delle incursioni aeree, l’avanzata degli eserciti alleati, il fallimento per la Germania sui fronti del Reno e della Vistola. I comunicati ufficiali non potevano mascherare oltre la realtà. Iniziava per l’ambizioso Reich, il principio della fine. Le sirene non suonavano più, popoli e paesi erano liberi dai nazisti. Leo non stava più nella pelle. L’impazienza si era fatta grande. E un giorno, si udì con una esplosione di gioia che era finita la guerra. Fernand disse che ci voleva calma e che bisognava restare nei lager per un rimpatrio più agevole. Qualche giorno più tardi Fernand lesse una lettera della tanto agognata liberazione: si diceva che tutti i prigionieri dovevano recarsi presso la Croce Rossa. Ormai si vedeva che la guerra era finita, i germogli che nascevano, i fiori che sbocciavano, annunciavano la Primavera; la natura si stava riprendendo.

Cap. 18 Un'altra vita

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Dopo una giornata piovosa, mentre erano intenti a lavorare nel bosco, Michele, Fernand, Leo e Stan videro un aereo avvicinarsi in direzione di Muna, verso di loro. D’improvviso dal velivolo si staccò un sacco nero, poi apparve un paracadute giallo, sotto il quale si dondolava il corpo di un uomo. Gli uomini accorsero sul luogo, dove il paracadutista aveva toccato terra e aiutarono il malcapitato a districarsi da un albero. Era un soldato canadese, il suo nome era Jefferson Cartier ed era in missione per sabotare i piani dei nazisti. Fu sistemato in un ripostiglio del seminterrato il cui accesso era guardato dalla scala che prendeva d’infilata la camera di Stan e Leo. La sera, con l’aiuto di tutti fu recuperata una radio trasmittente ed una attrezzatura da sabotaggio e fu deciso di piazzare la trasmittente alla fattoria. Michele e Stan indicarono il ponte che collega la linea Walsrode – Verden come obiettivo. Poco prima che l’alba segnasse i lividi della nuvolaglia di aerei in corsa verso oriente, una formazione aerea tedesca passò sopra il cielo. Successe il finimondo, il cielo di Benzen si arrossò per le esplosioni e l’aria rintronò come percossa da boati vulcanici. Altri scoppi sconvolsero il bosco, ma il ponte non fu toccato.

Cap. 19 Il bene più grande

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Le trasmissioni radio vennero intercettate dalla vigilanza tedesca che iniziò a perlustrare case, fattorie e, tra quelle, non mancò la fattoria dei Busch. Un poliziotto del S.D ordinò a tutti di uscire, mettendoli faccia al muro, mentre setacciavano la fattoria. Per fortuna non trovarono la radio poiché era stata nascosta in un luogo sicuro. Il canadese aveva preferito rimanere nel bosco, aspettando la sera. I perquisitori trovarono un foglio di informazione gettato dagli aerei alleati per i prigionieri. Il poliziotto chiese di chi fosse e Fernand disse che lo aveva raccolto lui in quanto indirizzato a prigionieri come lui, poi volle provocare l’ira del poliziotto, dicendogli che non era stato gettato soltanto quel foglio, ma migliaia e Leo confermò. Il poliziotto lo picchiò e sputò in faccia a Fernand. Wilhelm Busch venne sottoposto ad un interrogatorio stringente, ma negò la conoscenza di quel foglio, i militi perquisirono tuttavia, di nuovo, la fattoria, senza successo. Quando i tedeschi se ne andarono, i prigionieri si diressero in cucina per trovare Wilhelm e lo ringraziarono. Qualche minuto dopo sentirono urla provenienti dal bosco e in seguito videro uscire un gruppo di facinorosi con un uomo, Jeff, che era stato catturato. I quattro prigionieri corsero allo steccato per salutarlo, mentre veniva spinto. Ad un certo punto Fernand scavalcò il cancello e urlò in francese a Jeff di dire che era un prigioniero belga scappato da un Lager, ma non riuscì nell’intento. Fernand cadde stremato per lo sforzo emotivo. Portarono così via Jeff e gli altri si augurarono che ce la facesse. Insieme Michele e gli altri, decisero che avrebbero concluso loro la missione di Jeff. Per Michele non aveva senso andare al ponte, visto che Jeff aveva fallito e loro non sarebbero riusciti nell’impresa. Gli altri però, gli dissero che era un fifone e che doveva convincere Wilhelm e le ragazze a lasciarli andare. Tornarono a casa per la cena e si stabilì che Leo, Fernand e Stan si sarebbero diretti verso il ponte per finire la missione; Fernand e Leo diedero dei biglietti a Michele da consegnare ad Adel ed Helga. Quando li consegnò, le ragazze vollero sapere la verità e così fu. Michele dopo aver spiegato loro la verità, accompagnò le ragazze al ponte. I due gruppi si ricongiunsero e, avendo appreso che le due cassette erano state ritrovate e sistemate, si misero a sistemare la dinamite al pilone terminale del ponte e a portare la trasmittente vicino alla campata. Quando fu sistemata, si udì il fischio di un treno, Leo disse a Fernand e Stan di portar via le ragazze, mentre Michele diede una mano a Leo. Dopo aver acceso la miccia, i due si misero a correre e quando il ponte esplose, distruggendo il treno, lo spostamento dell’aria fece cadere i due a terra in una nuvola di polvere. Quando tornarono alla fattoria, i ragazzi si misero a lavorare nei campi, ma qualche minuto dopo ricevettero visita da un graduato, che volle chiamare i quattro prigionieri con l’ordine di portarli in un campo di raccolta. I quattro rimasero ammutoliti ed il graduato chiese a Wilhelm di firmare un documento, ma egli disse che l’avrebbe firmato solo dopo averli accompagnati insieme alle ragazze. Il graduato gli proibì di accompagnarli ed ordinò di rientrare nella fattoria alle ragazze. I quattro dissero a Willy che non avrebbe dovuto preoccuparsi e così partirono.

Cap. 20 Un brindisi per la pace!

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Arrivarono a Walsrode. Il centro di raccolta di Walsrode era pieno di prigionieri e vi regnava, disordine e confusione. Tutti erano affamati e si aggiravano torvi e induriti nel volto in cerca di cibo, mentre le guardie impedivano la fuga. Ben presto, mentre il rombo dell’artiglieria aumentava e si vedevano gli aerei alleati incrociarsi, dal bosco sbucò un grosso carro armato e da più voci si cominciò a sentire la parola libertà. Due prigionieri issati sul tetto della baracca ammainarono la bandiera nazista, il vessillo cadde sulla ressa che attendeva a terra, cento mani si protesero a ridurlo a brandelli e a lacerarlo senza pietà. Quella notte nessuno al campo dormì. Michele, buttato in un angolo, sbarrava le pupille al buio e ripassava gli avvenimenti che lo avevano visto protagonista o spettatore. Il giorno dopo Michele e gli altri, tornarono alla fattoria e brindarono insieme al Patron per la Pace. Alla fattoria uomini di diverse nazioni avevano vissuto, lavorato insieme come fratelli, comprendendosi, sperando di vivere in pace e liberi.

Cap. 21 Appuntamento con il domani

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Michele prima di lasciare la Germania, andò a salutare il maestro che fu molto contento nel vederlo. Lo fece accomodare e gli fece molte domande, gli chiese anche se provasse rancore nei confronti dei tedeschi. Il maestro si vergognava quasi a chiederlo perché sapeva che i suoi connazionali avevano sbagliato. Michele rispose dicendo che sicuramente non avrebbe mai dimenticato il male subito, ma poi aggiunse che se tutti i tedeschi fossero stati come Herr Busch, come Herr Penning, come Herr Brauner nessuno avrebbe mai odiato la Germania. Poi il maestro gli chiese cosa avessero intenzione di fare i suoi amici. Michele rispose che solo il polacco Stanislaw Kaczmarek sarebbe rimasto in Germania perché avrebbe sposato la figlia di Wilhelm Busch. Commosso il maestro allungò la mano e gli augurò di stare bene, allora Penning lo accompagnò fuori e Michele si allontanò. Paul Siebe subì però, la vendetta di Fernand per tutto quello che aveva fatto. Fernand radunò dei gruppi di persone che stavano rimpatriando e minacciò il birraio spaventando a morte, ricordandogli la modalità con cui i nazisti agivano, ma lo risparmiò consigliandolo di smettere con la politica e di continuare a produrre birra. Poi, se ne andò alla fattoria per la cena di addio fischiettando la solita Marsigliese. Una volta mangiato si salutarono ognuno nella loro lingua Michele disse: “Arrivederci”, Leo e Adel dissero “Do svidània”, Fernand disse “Au revoir” e infine Helga e Stan tenendosi per mano dissero “ Aufwiedersehen”. Willy sorrise quando udì il polacco dire arrivederci in tedesco, comprese e ne fu felice. Ognuno quindi, prese la strada per tornare alla terra natia, diversa e uguale nello stesso tempo.


Bibliografia

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(IT) Lino Monchieri, Buongiorno Europa, collana Il Deltaplano, illustrazioni di Gianni Ciferri, copertina di Giuliano Prati, Editrice La Scuola, pp. 284, ISBN 8835042747.