Alberto Boatto (Firenze, 1929Roma, 9 febbraio 2017) è stato un critico d'arte italiano.

Nel corso della sua vita ha studiato l’avanguardia (dadaismo, Duchamp, new dada, pop art) e la modernità nei suoi cerimoniali culturali. I suoi libri ed i suoi saggi sono stati tradotti nelle principali lingue europee.

Biografia modifica

Alberto Boatto è una dei personaggi più originali della critica d’arte in Italia dell’ultimo mezzo secolo. Dai primi anni Sessanta ad oggi si è dedicato a importanti studi sull’avanguardia del primo Novecento (dada, Marcel Duchamp), sui caratteri estetici e culturali del mondo moderno, dalle sue origini ottocentesche in avanti, e saggi sulle tendenze più recenti delle arti visive. Ha fondato e diretto le riviste «cartabianca» e «Senzamargine» (1968-69) e «La città di Riga» (1976-77).[1] Nato nel 1929 a Firenze, si formò autonomamente, senza insegnanti – eccetto la figura di Primo Conti, al quale si appoggiò nel periodo giovanile –, ed entrò grazie al concorso alla RAI alla fine degli anni Cinquanta. Questa fu un’esperienza che lo stancò presto e così preferì l'insegnamento nelle Accademie di belle arti, prima a Urbino, dove lo chiamò Concetto Pozzati, e poi a Roma.[2]

Nel 1974 Boatto curò una mostra, Ghenos Eros Thanatos,[3]

«in cui indicava all’arte la possibilità di abitare un territorio sottratto a ogni utilità sociale immediata, dove poter coltivare una irriducibile, e poeticamente fertile, testimonianza individuale, e in cui al tempo stesso riannodare il filo di una tradizione letteraria e teorica capace di esplorare il negativo, il mito, l’inattuale, l’ambivalente potenza del desiderio, la dialettica psichica e storica tra pulsioni di vita e di morte.»

Alberto Boatto andò a New York nell’autunno del 1964 per incontrare gli artisti che in quegli anni stavano radicalmente cambiando l’arte e le sue creazioni. Egli visitò gli studi di Robert Rauschenberg, Jasper Johns, Roy Lichtenstein, Claes Oldenburg ed ebbe un incontro ravvicinato con le opere di Andy Warhol, George Segal, Jim Dine e altri. Frequentò direttamente l’ambiente artistico delle gallerie di Leo Catelli e Sidney Janis. Quegli ambienti gli vengono ricordati dalle immagini scattate da Ugo Mulas e raccolte, nel 1968, nel volume New York: arte e persone. Queste esperienze portarono Boatto a scrivere il suo libro più noto, Pop art in U.S.A. (1967; nuova edizione Laterza 2015), un’opera che è tutt’oggi un modello di lettura utile e originale, basata dalla sua innata curiosità intellettuale e da un’analisi che ha contrastato i pregiudizi avanzati da molti critici del tempo nei confronti della Pop Art. Il critico d’arte fu molto interessato nei primi anni settanta a un contesto in cui gruppi e tendenze si mescolano e convivono. Alcuni artisti che emergono tra i due decenni come Gino De Dominicis, Vettor Pisani, o anche, su altri versanti, Luigi Ontani e Salvo, ne furono testimoni.[4] All’età di 87 anni, Alberto Boatto muore a Roma il 9 febbraio del 2017.

Pensiero modifica

L’approccio di Boatto è sempre stato caratterizzato dal bisogno di comprendere in profondità il presente, oltre gli schemi e gli automatismi dell’attualità, e dalla necessità di rinnovare la critica d’arte. Distante tanto dai toni evocativi dei “critici-poeti” che dalla secchezza degli accademici, quella di Boatto si è così presentata sin dall’inizio come una visione autonoma, alimentata da una modernità eterodossa e cosmopolita, nutrita di filosofia, psicoanalisi e antropologia, in cui spiccano i grandi “distruttori” (Sade, Freud, Nietzsche), il surrealismo francese (Bataille, Breton, Leiris), ma anche scrittori e saggisti di sensibilità e percorsi diversi (Blanchot, Borges, Jünger, Michaux), che nutriranno a lungo le sue riflessioni, sino ad anni recenti. Boatto ha sempre puntato ad andare oltre all’efficacia immediata della scrittura critica, ideologica e mercantile, riaffermando al contrario l’esigenza “di una libertà non astratta ma concreta”, praticando uno sguardo dal di fuori, come recita il titolo di uno dei suoi libri più intensi e originali (1981; nuova edizione Castelvecchi 2013), ovvero adottando lo sguardo libero e incondizionato del naufrago e dell’astronauta. Tracciando a caldo un giudizio dotato già di prospettiva storica, muovendosi all’indietro sino all’avanguardia di inizio Novecento e impegnandosi in una riflessione sulla modernità riletta attraverso Benjamin e Baudelaire, Boatto univa infatti all’analisi della costellazione pop e dei maestri del new dada una riflessione sul destino dell’arte nell’epoca del consumo universale e della produzione di massa dotata di quell’urgenza e di quella lucidità che sole rendono davvero memorabile il precario esercizio della critica.[5] A partire dalla fine degli anni settanta la sua scrittura si allontana sempre più dallo scenario artistico circostante per inoltrarsi in personalissime esplorazioni al confine tra letteratura, estetica, storia dell’arte. Roberto Lambarelli, direttore del periodico trimestrale ArteeCritica, una rivista di arte contemporanea presente anche online, pubblica un articolo a proposito della nuova edizione de Lo sguardo dal di fuori (1977, nuova edizione Castelvecchi 2013).

In questo articolo Lambarelli riporta una conversazione fatta con lo stesso Boatto proprio riguardo l’opera e inizialmente riportando delle parole dello stesso autore del libro, conclude chiedendo che fine fa l’uomo nella sua visione e se la fase dello specchio porta a ricomporre l’umanità, il saggista risponde:[6]

«L’uomo, pure nell’espressione maggiormente consapevole e aperta all’accoglienza, rappresentata per me dalla figura dello psiconauta, si muove in una situazione precaria e opaca, e tuttavia ricca di numerose prospettive e potenzialità. Per altro, lo psiconauta è una figura ancora tutta da inventare attraverso la via della prova e dell’esperienza. Nel mio libro, identifico lo psiconauta nell’uomo che viaggia “allungato su quel tappeto supremamente invisibile che si chiama droga” (qui, la droga racchiude l’immagine sintetica di ogni stato della coscienza potenziato ed estraniato).[...] In una condizione d’instabilità personale e pubblica, questa tradizione artistica spoglia e discostante mi ha dato un senso di stabilità e di certezza. Dopo la guerra, ho trascorso gli anni iniziali dell’adolescenza abitato da un sentimento divorante d’angoscia – di morte? – e mi sono aggrappato all’arte oggettuale, un po’ come un naufrago ad un’insperata boa di salvezza.»

Opere principali modifica

Narciso infranto. L’autoritratto moderno da Goya a Warhol modifica

In Narciso infranto. L’autoritratto moderno da Goya a Warhol, Boatto inizia ponendo un interrogativo strettamente personale del mondo della ritrattistica:"Chi sono io?", a cui si impegna di rispondere l’autoritratto. L’autore spiega come l’autoritratto non corrisponda affatto al ritratto, ma sia anzi il suo opposto, in quanto l’artista dinnanzi al suo volto si sente dire "questo è il tuo volto", pensando però "questo è il mio volto". Boatto spiega come, proprio nella differenza dell’aggettivo possessivo si trovi l’ineluttabile differenza di pittura, nonostante entrambe si dedichino alla fisionimia e all’apparenza dei corpi.

Egli parla dell’"uomo invisibile" presente in ognuno di noi; spiega che la natura tende a conservarci in uno stato ombroso, di cecità nei confronti di noi stessi e prende ad esempio una stanza affollata in cui ci troviamo: ognuno sa di essere diverso dall’altro e ciò lo avverte dalla propria fisionomia e da quella altrui, ma si trova in una condizione di invisibilità sconosciuta pure a se stesso. Il volto dell’altro ci appare più familiare del nostro volto e l’uomo invisibile dentro ciascuno di noi si manifesta nella solitudine.[7]

«Il pittore riflette le porprie fattezze dentro lo specchio per rappresentarsi-per definire la propria natura»

dichiara, ma è qui che sta la sottile frode: vi è un inversione dell’asse facciale, un mutamento nell’ordine simmetrico, così che l’artista non possa mai vedersi come gli altri lo vedono.

Il pittore non è più uno, ma due, si sdoppia divenendo così il soggetto agente (l’artista) e l’oggetto inerme che viene ritratto. Egli, in questo modo, si guarda e inevitabilmente si giudica e si misura, prendendo le distanze da se stesso e studiandosi. Ecco che infatti Boatto presenta questa condizione di solitudine tanto temuta e al contempo desiderata dall’animo umano.

In questo modo il critico riesce a trattare il tema della morte, o meglio: la paura della morte, di una fine. Il pittore, dipingendo se stesso, cerca di imprimere sulla tela un io eterno, anche se in parte sconosciuto,[8]

«l’autoritratto rappresenta una puntata giocata contro il tempo, una polizza assicurativa emessa contro la morte.»

Così l’artista sa che lascerà una memoria di sé e combatte quel lato oscuro e quasi spaventoso della solitudine, tanto temuta in vita quanto fuori da essa.

Dopo questa prima introduzione viene fatta risalire l’origine mitica dell’autoritratto proprio a Narciso, come ci suggerisce il titolo stesso dell’opera. Narciso respinge il tu, dall’altro sesso al mondo nella sua interezza, Narciso preferisce il duplicato di se stesso, negandosi la vita; preferisce la solitudine a “quel copioso universo che si agita alle sue spalle”, ma la morte è il prezzo che dovette pagare per poter avere la conoscenza di se stesso. Secondo l’autore, l’autoritratto, come espressione della modernità, nasce dalle fratture che accompagnano la Cristianità, in quanto è necessario che il legame tra l’uomo e il sacro cominci a lacerarsi in modo da rendere l’uomo indipendente e autonomo. E così nei primissimi autoritratti «moderni» sembra di poter intravedere la psicologia di questo passaggio epocale, come si può vedere nell’autoritratto di Filippo Lippi nella pala monumentale della Incoronazione della Vergine a cui lavorò fra il 1441 e il 1447.

Insorge la domanda del perché allora il titolo di Narciso Infranto, a cui Boatto risponde spiegando come gli ultimi due secoli e l’avvenimento del moderno segnino la profonda disgregazione di Narciso e, con lui, quella dell’autoritratto. Nel corso dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento ritorna quel mondo che Narciso aveva rifiutato con noncuranza, fanno ritorno [9]

«le potenze inconscie e notturne che rodono in profondità la coscienza dell’uomo e, in compagnia discorde e consonante con esse, sono le potenze cupe e luminose del cosmo.»

Goya si era chiesto com’è mai possibile affrontare soli la morte quando la speranza che era stata condivisa per secoli dall’Europa cristiana non vi è più, e Warhol, un secolo e mezzo più tardi, si pone lo stesso interrogativo, caricandosi del peso della morte e inquadrandola con il suo obiettivo fotografico, guarda all’epoca della comunicazione di massa. È a questo punto che Boatto si occupa di confrontare e presentare una grande varietà di autoritratti partendo proprio da Goya e arrivando allo stesso Warhol, sulla soglia del terzo millennio e conclude riallacciandosi all’immagine di Narciso, che però ha ora imparato a volgere lo sguardo in direzione dell’universo.

Pop Art modifica

In Pop Art (1983) Alberto Boatto apre con una premessa, nella quale sottolinea il pieno diritto della Pop Art a far parte del corpo vivo dell’arte del XX secolo. Presenta l’artista pop come un uomo che si è lasciato appassionare dalla metropoli con i suoi prodotti prefabbricati in serie e i suoi mezzi di comunicazione di massa e tutto questo accade negli anni Sessanta. Ma è nel 1968 che la Pop Art manifesta le sue ultime spinte creative, quando cioè la città va incontro a una violenta contestazione che partiva sia dal suo interno, che dalla periferia geografica, dove cioè si trova quel gruppo marginale che non accetta di sottoporsi alla violenza dispotica propria del mondo metropolitano. Nel 1968 abbiamo perciò la conclusione di un unico centro propulsivo e l’inizio di un evoluzione costante dei singoli artisti. L’avanguardia, che si è sempre proposta di essere una pratica di vita, vede nel fervore del ’68 l’occasione per concretizzarsi e lo fa attraverso quei linguaggi che le sono sempre appartenuti: il gesto e il comportamento; inizia a fare politica, vedendo in essa modo di eversione e insurrezione. Tuttavia la storia parla di sconfitta e con essa venne trascinata anche l’avanguardia, ponendo fine ad essa; così quei concetti intimamente legati all’avanguardia, come l’antipittura, l’antivalore, l’esteticità non erano solo delle parole, ma degli obiettivi da raggiungere. Come sappiamo, anche la Pop Art fa parte dell’avanguardia, ma nell’ultimo periodo di essa, quello chiamato seconda avanguardia o la neo-avanguardia.

Boatto descrive la Pop Art come[10]

«un’avanguardia lucida, spesso cinica e quasi sempre costatativa, coinvolta nel presente.»

A differenza dell’artista passato, quello moderno è circondato da immagini fotografiche, televisive, di oggetti tutti uguali fra loro ed egli decide proprio di fare di tutto ciò arte, a differenza anche degli stessi futuristi o dadaisti, che pure già guardavano alle tecniche industriali di produzione dell’immagine. Ma se gli artisti pop non creano effettivamente nulla di nuovo, ma ripresentano immagini già conosciute dalla città imitandole, qual è il senso o l’utilità di ciò? Boatto parla di un pensiero che percorre tutta la modernità, che si esprime nella convinzione che l’uomo abbia perso la sua esperienza proprio a causa di quei processi di standardizzazione e massificazione sempre più serrati. La Pop Art ha esteso al massimo due procedimenti di base del moderno:[11]

«il raddoppiamento e la dislocazione, come l’elaborazione del «doppio» di un fumetto, di un cartellone pubblicitario o di una macchina da scrivere, e la loro esposizione estraniata, insolita, allarmata.»

Gli artisti pop colgono il concetto del doppio che è intrinseco alla modernità e lo mostrano al mondo per quello che è.

Questo libro è la riedizione del volume Pop Art in USA, edito da Lerici nel 1967 e presenta una piccola novità, in quanto nell’appendice sono stati riuniti per la prima volta alcuni testi, scritti e pubblicati in tempi successivi. Questi seguono un percorso dell’arte d’oltreoceano; parlano di New York dalla prospettiva del fotografo William Klein e presentano un profilo di Rauschenberg.

Ghenos Eros Thanatos modifica

Il libro di Alberto Boatto, Ghenos Eros Thanatos e altri scritti sull’arte (1968-1985), a cura di Stefano Chiodi, è un documento e l’espediente forse più originale e audace con cui la critica, negli anni Settanta, ha reinventato se stessa. Il libro si compone dei testi e delle foto del libro-mostra di Ghenos Eros Thanatos, la mostra organizzata da Boatto il 15 novembre 1974 alla Galleria de’ Foscherari di Bologna.[12] Nutrito di letture filosofiche e letterarie, psicoanalitiche e antropologiche, con una preferenza per i grandi distruttori – Sade, Freud, Nietzsche, e Artaud e Bataille fonti del Foucault della Trasgressione (1963) – Boatto pensa l’immaginario come luogo del doppio.

Capisce perciò che l’evento accade attraverso l’oggetto e comprende, confrontandole, le poetiche di Pascali e Kounellis. Nel primo, che ha ripreso possesso dell’infanzia, l’immaginario mira a sostituire la realtà con animazioni e contraffazioni; nel secondo reale e immaginario non sono ancora separati dalla ragione e risultano uniti temporalmente, in visioni mitiche o arcaiche (L’immaginario in Pascali e Kounellis, 1973). [13] Le componenti psicologiche, estetiche e culturali che propone Boatto, vanno a comporre lo scenario artistico di Ghenos Eros Thanatos; si nota il desiderio[14]

«di evocare in forma tacita i fantasmi spaventosi della vicenda novecentesca, l’ancora indigerita eredità dei fascismi, il culto della morte e la vertigine erotica che li avevano accompagnati: di riconnettere il presente alla parte maledetta della vicenda europea – come in quegli stessi anni facevano, in forme e contesti diversi, Fabio Mauri e Hans-Jürgen Syberberg – vista da dentro la condizione scettica e spettacolare propria della loro contemporaneità.»

Boatto scrive che Ghenos Eros Thanatos è una “mostra-libro” concepita come [15]

«un periplo attorno alle situazioni limite della vita, che si configura per gran parte come una circumnavigazione del negativo e in cui compie il passaggio dal reale al significativo, come un tempo si andava dal profano al sacro, o dal materiale allo spirituale.»

Un capitolo di questa “mostra-libro” contiene già un’anticipazione dei temi che svilupperà più ampiamente nel Cerimoniale di messa a morte interrotta di tre anni dopo.

Boatto stesso dice di aver fatto ricorso alla mitologia, che gli erano familiari i nomi e le vicende di Narciso, di Anteo, d’Icaro, di Dioniso. Egli parla della mitologia come qualcosa ricondotta nell’oscurità dell’inconscio, da cui alcuni spezzoni vengono tratti fuori da Freud e da Jung.

[16]

«Nella sfera pubblica, al posto della mitologia classica col suo componente di luce, sono succedute pessime ideologie fatte solo d’ombra, che poi sono risultate delle mitologie degradate. Ma la piena adesione ad una Terra ruotante, al pari di un velivolo, nello spazio, questo sì alla terra che segue l’esempio di Nietzsche, è veramente un sì inaudito nel nostro mondo votato alla distrazione televisiva e consumistica. Un sì di questa portata ha bisogno, per essere pronunciato ed esercitato, del sostegno della figura di Dioniso. Del resto, l’esperienza dionisiaca, in una delle sue innumerevoli manifestazioni, resta un’esperienza accessibile a ciascun uomo.»

Opere modifica

  • Alberto Boatto, Pop Art in USA, 2ª ed., Laterza, 2015.
  • Alberto Boatto, Cerimoniale di messa a morte interrotta, Cooperativa Scrittori, 1977.
  • Alberto Boatto, Lo sguardo dal di fuori, 2ª ed., Castelvecchi, 2013.
  • Alberto Boatto, Della ghigliottina considerata una macchina celibe, 2ª ed., Scheiwiller, 2008.
  • Alberto Boatto, Della guerra e dell’aria, 1ª ed., Costa & Nolan, 1992.
  • Alberto Boatto, Narciso infranto. L’autoritratto moderno da Goya a Warhol, 2ª ed., Laterza, 2015.
  • Alberto Boatto, Di tutti i colori. Da Matisse a Boetti, le scelte cromatiche dell’arte moderna, 1ª ed., Laterza, 2008.
  • Alberto Boatto, Chi è cacciato dal Paradiso? Estetica e teologia del giardino, Mudima, 2016.
  • Alberto Boatto, Ghenos Eros Thanatos, a cura di Stefano Chiodi, L'orma editore, 2016.

Note modifica

Collegamenti esterni modifica

Stefano Chiodi, Alberto Boatto: 1929-2017, su doppiozero.com.

Stefano Chiodi, Alberto Boatto: Ghenos Eros Thanatos, su doppiozero.com.

Tiziana Migliore, Alberto Boatto, cieco dentro la luce, su alfabeta2.it.

Roberto Lambarelli, Come dentro ad uno specchio. Arte, cultura e civiltà in Alberto Boatto, su arteecritica.it.

L'orma editore, Alberto Boatto, su lormaeditore.it.


[[Categoria:Critici d'arte]]